Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7642 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7642 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26765/2021 R.G. proposto da :
NOME COGNOME personalmente e nella qualità di liquidatore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, elettivamente domiciliato in UDINE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in UDINE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n.
356/2021 depositata il 06/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 356/2021, depositata il 6.10.2021, la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato il reclamo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del 28.6.2021 con cui il Tribunale di Udine ne aveva dichiarato il fallimento.
Il secondo giudice ha evidenziato che il COGNOME, che aveva proposto reclamo personalmente e nella qualità di liquidatore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, non aveva introdotto alcun elemento idoneo a dimostrare la corrispondenza al vero dei bilanci della fallita ma, comunque, anche ad ammettere la veridicità dei dati inseriti in bilancio, ‘ l’esposizione debitoria di RAGIONE_SOCIALE alla data di dichiarazione di fallimento del 17.6.2021 non si esauriva nell’importo di 314.438,60 euro, indicato nel prospetto debiti al 31.3.2021 redatto dal reclamante nella sua qualità di liquidatore della società, dovendosi aggiungere a quell’importo quelli di 316.637,95 euro di cui all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2020 e di 197.627,08 euro di cui all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2020 per omesso pagamento IRES e Iva rispettivamente per l’anno 2014 e per l’anno 2015 per interessi e sanzioni … si tratta di debiti per evasione fiscale di cui si
deve tener conto perché gli indicati avvisi di accertamento sono stati notificati alla società il 23.3.2021 vale a dire prima della decisione presa dal Tribunale di Udine sull’istanza di fallimento avanzata da RAGIONE_SOCIALE e sono divenuti definitivi in quanto, come risulta dalla comunicazione del 6.9.2021 della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate, all’impugnazione proposta contro quelli non ha fatto seguito la costituzione in giudizio…..’.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME nella sua qualità di liquidatore e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandolo a due motivi.
La curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso ed ha depositato la memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 1206-1210, 1218 e 1256 c.c., 210 e 609 c.p.c. in relazione all’art. 1 comma 2° lett. c) L.F. nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 c.c., 116 c.p.c.
Lamenta il ricorrente di aver dimostrato che la mancata produzione in giudizio delle scritture contabili è stata determinata da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, atteso che la RAGIONE_SOCIALE, sua locatrice, in violazione degli obblighi derivanti dal rapporto locativo, aveva portato in discarica la documentazione contabile della CSM RAGIONE_SOCIALE senza preventivamente invitare il conduttore a liberare l’immobile dai beni di sua proprietà, a norma degli artt. 1209 e ss. c.c.
Inoltre, la Corte d’Appello aveva inopinatamente respinto le proprie istanze istruttorie finalizzate ad ottenere l’esibizione degli estratti conto bancari, che avrebbero consentito di ricostruire tutti i
pagamenti e gli incassi della fallita, eventualmente con l’ausilio di una CTU -salvo poi affermare che il reclamante non aveva introdotto alcun elemento idoneo a dimostrare la corrispondenza al vero dei bilanci della società fallita.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2423, 2423 bis-ter c.c., 22 d.P.R. n. 600/1973 in relazione all’art. 1 comma 2 lett c) L.F.
Espone la ricorrente che non è contestato che L’Agenzia delle Entrate di Udine ha notificato a RAGIONE_SOCIALE in data 23 marzo 2021, due avvisi di accertamento e, segnatamente, l’avviso n. TI9030701561/2020, relativo a IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2014, portante un importo complessivo di maggiore imposta, interessi e sanzioni, pari a € 316.637,95, e l’avviso n. TI9030701565/2020, relativo ai medesimi tributi, per l’anno 2015, portante un importo complessivo di maggiore imposta, interessi e sanzioni, di € 197.627,08, per un complessivo importo di € 514.265,03.
Si tratta di contestazioni afferenti all’accertamento di asserita evasione impositiva, il cui importo derivava dalla rilevazione di una serie di fatture emesse a carico della CSM RAGIONE_SOCIALE dalla società RAGIONE_SOCIALE nel periodo compreso fra luglio 2014 e gennaio 2016, per prestazioni ritenute inesistenti.
Rileva il ricorrente che i suddetti avvisi di accertamento sono divenuti definitivi prima della dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, in quanto la società, dopo aver presentato in data 5 maggio 2021 due ricorsi avverso gli avvisi medesimi, non aveva poi provveduto a costituirsi in giudizio e ad iscrivere la causa a ruolo, nel termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992 che disciplina il processo tributario, termine che era conseguentemente scaduto il 4 giugno 2021.
Ne conseguiva che la somma di € 514.000,00, risultante dai predetti avvisi, costituiva, alla data della pronuncia della sentenza
di fallimento (emessa il 17 giugno 2021 e pubblicata il 28 giugno 2021), effettivamente un debito certo e incontestabile.
Espone, tuttavia, il ricorrente che gli importi contestati non potevano essere iscritti nei bilanci degli anni di riferimento quali debiti, laddove per debiti si intendono le passività di natura determinata ed esistenza certa, che rappresentano obbligazioni a pagare importi fissi o determinabili di disponibilità liquide, o di beni/servizi aventi un valore equivalente, di solito ad una data stabilita. Il ricorrente avrebbe, tuttalpiù, potuto fare degli accantonamenti a bilancio, ma anche tale ipotesi è inverosimile, proprio in ragione delle contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate (evasione fiscale).
La questione afferente all’iscrizione di un accantonamento poteva porsi nel 2021, allorché l’Agenzia delle Entrate aveva notificato a RAGIONE_SOCIALE i due avvisi di accertamento, contestando l’evasione fiscale.
In ogni caso, anche a voler ritenere che il ricorrente avesse dovuto immediatamente iscrivere a bilancio un accantonamento, tale iscrizione non poteva che riguardare il bilancio 2021 e non certamente i bilanci 2018-2019-2020 relativi ai tre anni precedenti a quello di deposito dell’istanza di fallimento, che rilevano ai fini del presente giudizio.
Se è pur vero che gli avvisi di accertamento sono, in seguito, divenuti definitivi e i relativi importi sono oggi debiti certi e incontestabili, tuttavia si tratta di debiti sorti nel giugno 2021, ossia dopo la redazione del bilancio 2020, depositato unitamente ai bilanci anni 2018-2019 nella fase prefallimentare ed esaminati dal Collegio.
In conclusione, ad avviso del ricorrente, essendo gli avvisi di accertamento divenuti definitivi il 4 giugno 2021 e poiché solo da tale data costituivano un debito, il ricorrente avrebbe dovuto registrare tale debito solo entro i sessanta giorni successivi (come
statuito dall’articolo 22 del d.P.R. n. 600/73), e l’importo sarebbe stato iscritto quale sopravvenienza passiva nel bilancio da redigere entro il marzo 2022, relativo all’esercizio 2021.
Alla data della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, pertanto, il debito portato dagli avvisi di accertamento non doveva ancora essere registrato in contabilità e non doveva essere esaminato e posto a fondamento della declaratoria di fallimento.
Entrambi i motivi possono essere esaminati unitariamente contenendo, rispettivamente, censure alla doppia ratio decidendi della Corte d’Appello, che ha rigettato il reclamo:
perché il COGNOME non aveva introdotto alcun elemento idoneo a dimostrare la corrispondenza al vero dei bilanci della fallita;
perché, anche ammettendo la veridicità dei dati inseriti in bilancio, l’esposizione debitoria di RAGIONE_SOCIALE, alla data di dichiarazione di fallimento del 17.6.2021, non si esauriva nell’importo di 314.438,60 euro, indicato nel prospetto debiti al 31.3.2021 redatto dal reclamante nella sua qualità di liquidatore della società, dovendosi aggiungere a quell’importo quelli di 316.637,95 euro di cui all’avviso di accertamento n. TI9030701561/2020 e di 197.627,08 euro di cui all’avviso di accertamento n. TI9030701565/2020 per omesso pagamento IRES e Iva, rispettivamente per l’anno 2014 e per l’anno 2015 per interessi e sanzioni.
Il ricorrente ha censurato quest’ultima ratio decidendi , affermando che, essendosi i debiti di cui agli avvisi di accertamento formati solo nel giugno 2021 (qualche giorno prima della sentenza dichiarativa di fallimento), essi non dovevano ancora essere registrati in contabilità e, conseguentemente, non potevano e non dovevano essere esaminati e posti a fondamento della declaratoria di fallimento.
Tale censura è infondata.
Va premesso che l’art. 1 L.F. così recita:
‘Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Va osservato che, come del resto statuito anche costantemente da questa Corte (cfr. Cass. n. 3158/2018; Cass. n. 17951/2016; Cass. n. 501/2016; Cass. n. 24630/2010), ‘Il requisito di fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, lett. c) l. fall., costituito da un indebitamento complessivo almeno pari ad euro 500.000, deve essere valutato, stando al tenore letterale della norma, confrontato con quello delle lettere a) e b) dello stesso comma, solo con riferimento al momento della dichiarazione di fallimento, non anche con riferimento al periodo di tempo corrispondente ai tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento’.
E’ stato condivisibilmente osservato che la mancata previsione nella lett. c) della L.F. del riferimento al triennio antecedente, presente invece per le soglie dimensionali indicate nelle lett. a-b), non è certamente casuale ed è, altresì, significativo l’uso di tempi diversi dei verbi con riferimento alle altre soglie dimensionali (“avere avuto” a proposito dell’attivo patrimoniale e “avere realizzato” a proposito dei ricavi, in entrambi i casi “nei tre esercizi antecedenti”), a differenza dell’infinito presente (“avere”) utilizzato per la soglia di indebitamento.
È pur vero che la citata sentenza n. 3158/2018 ha, altresì, osservato con riferimento all’indebitamento, ‘ che deve risultare dalla contabilità dell’impresa al momento della dichiarazione di fallimen to’ ; tuttavia, la contabilità deve essere intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti i documenti che riguardano l’impresa e che così incidono sulla sua situazione contabile-finanziaria.
D’altra parte, l’art. 1 lett . c) cit. non prevede in alcun modo, affinché l’indebitamento superiore ai 500 mila euro rilevi quale requisito di fallibilità, che esso risulti dalla contabilità dell’impresa al momento della dichiarazione di fallimento.
Inoltre, la stessa lett. b), relativamente ai ricavi lordi, nel far riferimento ai tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento, neppure richiede che essi risultino necessariamente dalla contabilità, essendo, a tal fine, significativa l’espressione ‘in qualunque modo risulti’.
Va, altresì, osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 21188/2021) ha già affermato che, ai fini della verifica di sussistenza dei requisiti di non fallibilità, ciò che conta è ‘ la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa medesima, comunque questa sia raggiungibile. Con la conseguente possibilità di avvalersi dell’intero arco documentale costituito dalle scritture contabili provenienti dalla medesima impresa del cui fallimento si discute (ivi compresa pure la c.d. corrispondenza d’impresa di cui all’art. 2220 cod. civ.), come pure di qualunque altra documentazione, formata da terzi o dalla parte stessa, che possa nel concreto risultate utile’ .
Nel caso di specie, non è contestato (vedi pag. 24 ricorso) che i debiti portati dagli avvisi di accertamento della Agenzia delle Entrate -tali da determinare il superamento della soglia di fallibilità – fossero diventati definitivi in data antecedente alla dichiarazione di fallimento e tanto basta ai fini della valutazione della sussistenza del requisito dimensionale.
L’infondatezza delle censure svolte nei confronti della seconda ratio decidendi comporta l’inammissibilità delle doglianze (contenute nel primo motivo) svolte nei confronti della prima ratio decidendi .
In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).
Va, infine, osservato che le circostanze riferite dalla curatela nella memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c., ovvero relative alla chiusura del fallimento e al decesso del ricorrente, non rilevano ai fini della decisione.
Quanto al primo profilo, va osservato che questa Corte (Cass. n. 25603/2018) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui ‘la chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio, fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, determinando il subentrare dello stesso fallito tornato “in bonis” al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura; tale principio, peraltro, non vale per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c., sicché non è consentito il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c. di documenti attestanti la chiusura del fallimento'(vedi anche Cass. n. 4514/2019).
Quanto al decesso del ricorrente, va osservato che è orientamento costante che nel giudizio di Cassazione non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte l’ingresso nel processo (Cass. n. 22194/2021).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 15.1.2025