Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4216 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4216 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
Oggetto: socio occulto responsabilità AC -17/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38403/2019 R.G. proposto da COGNOME NOME , elett.te dom.to in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dall’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del l.r.p.tRAGIONE_SOCIALE, elett.te dom.ta in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dall’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, II sezione civile, n. 8247/2018 del 27 dicembre 2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale, accertato la qualità, in capo a NOME COGNOME, di socio unico occulto della RAGIONE_SOCIALE al tempo in cui era stato concluso il contratto di compravendita tra quest’ultima e l’RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo: ‘la RAGIONE_SOCIALE‘) avente per oggetto l’immobile sito in Roma, INDIRIZZO, aveva dichiarato per l’effetto NOME COGNOME illimitatamente responsabile delle obbligazioni ricadenti a tale titolo sulla venditrice RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, condannandolo a corrisponderle la somma di euro 1.190.110,50, oltre accessori.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha ritenuto: a) che infondate erano le eccezioni sollevate dall’appellante a proposito della integrità del contraddittorio, sia sotto il profilo della dedotta illegittimità della chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE perché già estinta a tale data per intervenuta cancellazione, sia sotto il profilo della dedotta necessità della partecipazione al giudizio sia della società che dei soci ‘apparenti’ della medesima -la società fiduciaria RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME -dato che, quanto al primo profilo, nessuna domanda era stata formulata nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, del resto chiamata in giudizio proprio dall’appellante , e, quanto al
secondo profilo, non sussisteva alcun litisconsorzio necessario poiché ‘ oggetto della domanda formulata dalla RAGIONE_SOCIALE non è la simulazione negoziale, ma l’accertamento della responsabilità patrimoniale del RAGIONE_SOCIALE quale socio unico e occulto della TC per gli obblighi sorti in un dato periodo. La pronuncia di accoglimento non incide in alcun modo sulla validità ed efficacia del contratto sociale, e l’accertamento di una situazione di fatto divergente da quella apparente è in ogni caso incidentale e finalizzato solo alla condanna al pagamento dei debiti sociali, senza alcuna attitudine al giudicato in ordine alla validità del contratto. ‘ ; b) che il socio unico, ai sensi dell’art. 2462, secondo comma, cod. civ., risponde dei debiti della società non a titolo successorio, ma in virtù di titolo autonomo e risponde illimitatamente per i debiti che sono per legge considerati propri senza alcuna limitazione ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., di talché infondata era la deduzione del COGNOME che l’estinzione della società si estendesse anche in RAGIONE_SOCIALE del socio unico, limitandone la responsabilità a quanto riscosso in base al bilancio finale di liquidazione; c) che la doglianza inerente alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione delle prove operate dal primo giudice, in relazione all’accertamento della qualità di socio unico occulto del COGNOME, risultava carente sia sul piano della prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda, sia sul piano della specifica contestazione degli elementi di prova valorizzati dal primo giudice ed era infondata, in particolare, quanto all’efficacia probatoria annessa dal Tribunale al fatto che il COGNOME non avesse reso l’interrogatorio formale deferitogli, in quanto ‘nell’economia della motivazione, la ingiustificata mancata risposta all’interrogatorio formale è considerata dal giudice solo un elemento ulteriore di convincimento e non già una prova vera e propria (che invece viene desunta dagli altri elementi acquisiti, anche su base documentale, e
non specificamente contestati da parte convenuta, oggi appellante)’, né tale elemento di convincimento poteva ritenersi privo di fondamento per il solo fatto che il COGNOME, non avendo reso l’interrogatorio formale, avesse poi reso dichiarazioni in sede di interrogatorio libero: onde, anche ad avviso della Corte d’appello, ‘la circostanza che il COGNOME fosse socio occulto ed unico della società RAGIONE_SOCIALE appare sufficientemente provata … sulla scorta di quegli elementi -documentali e presuntivi -indicati dal Tribunale in sentenza e non oggetto di specifica contestazione’ ; d) che la responsabilità del RAGIONE_SOCIALE, quale socio unico, scaturiva dalla mancata attuazione, in quanto socio occulto, della pubblicità prevista dall’art. 2470 cod. civ. e dal fondato accertamento, da parte del tribunale, dello stato di insolvenza della società; e) che il credito fatto valere dalla RAGIONE_SOCIALE non era stato contestato in giudizio dal RAGIONE_SOCIALE e risultava provato in forza del contenuto del contratto di compravendita depositato in atti e della incontestata documentazione prodotta a dimostrazione dell’inadempimento del venditore agli obblighi derivanti dal contratto stesso.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a nove motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso lamenta:
Primo motivo: «1 – Violazione de ll’a rt. 102 c.p.c., per la mancata integrazione del contraddittorio con riferimento ai titolari delle quote societarie ed in relazione alla violazione dell’art. 360, n. 3 e 4 c.p.c.», deducendo che la Corte avrebbe omesso di
considerare che il contraddittorio processuale non era integro atteso che era incontroverso che le quote di partecipazione alla società RAGIONE_SOCIALE erano intestate per lo 0,50% a NOME COGNOME e per il restante 99,50% alla RAGIONE_SOCIALE, nei confronti dei quali la domanda di accertamento dell’esclusiva qualità di socio occulto da parte dell’ odierno ricorrente non poteva che esplicare un automatico effetto, con la conseguente necessità di estendere nei loro confronti il giudizio ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ.
Il motivo è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui l’accertamento del carattere solo apparente dell’intestazione delle quote societarie, è solo incidentale finalizzato esclusivamente alla condanna del COGNOME al pagamento dei debiti della società e senza alcuna attitudine al giudicato in ordine alla validità del contratto.
b) Secondo motivo: «2 -Violazione dell’art 2462 comma 2 cc e dell’art. 2495 c.c. in relazione alla domanda posta da parte RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata perché i debiti della società si estinguono per effetto dell’estinzione della società stessa, come avvenuto nella specie, non sopravvivendo in tale ipotesi alcuna responsabilità del socio unico occulto, poiché ‘l’art. 2462 c.c. … non afferma, né lo potrebbe, che tale responsabilità sopravvive all’estinzione del debito’ .
Il motivo è infondato perché, come correttamente osservato dalla Corte d’appello, la responsabilità illimitata del socio unico non trova titolo nella successione alla società, bensì ha titolo autonomo nella legge , in presenza dei presupposti indicati dall’art. 2462, secondo comma, c.c. e in particolare dell’insolvenza della società,
cui appunto tale responsabilità tende a porre rimedio a garanzia dei creditori: sicché non si giustificherebbe l’esclusione della stessa -che infatti la legge non prevede -per effetto dell’estinzione della società. L’estinzione della società comporta , secondo i principi generali, l’estinzione dei rapporti giuridici facenti capo ad essa in quanto non trasferiti per successione a terzi, nei limiti in cui ciò può verificarsi -non anche quelli facenti capo a titolo originario a soggetti diversi.
Terzo motivo: «3 – Violazione de ll’ art. 112 c.p.c. In relazione alla domanda posta da parte RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.» laddove la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che la domanda attorea non aveva mai assunto quale suo presupposto la mancata attuazione della pubblicità prevista dall’art. 2470 cod. civ., ma si era fondata esclusivamente sulla supposta condizione di insolvenza della RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile. La mancata attuazione della pubblicità di cui all’art. 2470 c.c. è implicita, manifestamente, nel carattere occulto della partecipazione societaria (la quale appunto presuppone la mancanza di pubblicità) del COGNOME, carattere che era stato dedotto dall’RAGIONE_SOCIALE fin dal primo atto del giudizio, secondo quanto risulta, pacificamente, dalla sentenza impugnata. Dunque, ancora una volta, il ricorrente non si confronta con i reali enunciati della sentenza impugnata.
Quarto motivo: «4 – Violazione dell’art 2462 c.c. in relazione alla dichiarata esistenza dell’insolvenza in violazione dell’art. 2909 con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo che la Corte di appello avrebbe violato il giudicato contenuto nel decreto 26 maggio 2005 con cui il Tribunale di Roma aveva
rigettato l’istanza di fallimento della RAGIONE_SOCIALE formulata dalla medesima RAGIONE_SOCIALE, procedendo a un illegittimo ulteriore accertamento dell’insolvenza, peraltro pronunciato da un giudice incompetente e oltre il termine massimo annuale dalla cancellazione dal registro delle imprese previsto dall’art. 10 della legge fallimentare.
Quinto motivo: «5 – Violazione degli artt. 2462 2495 c.c. 5 e 10 l.f. con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove la Corte territoriale avrebbe dato per esistente una nozione di insolvenza deducibile dalle disposizioni del codice civile del tutto avulsa dal contesto normativo di riferimento, finendo per sovrapporre indebitamente una valutazione civilistica rispetto a quella esclusivamente e correttamente evincibile dalle sole disposizioni della legge fallimentare.
Il quarto e quinto motivo, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
Quanto al la questione del giudicato sull’insussistenza dello stato insolvenza derivante dal rigetto dell’istanza di fallimento, va evidenziato che il decreto ex art. 10 della legge fallimentare non è idoneo al giudicato (giurisprudenza consolidata: cfr., da ult., Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 15806 del 07/06/2021, nonché Cass. Sez. un., Ordinanza 7/12/2006, n. 26181). Né è esatto, quanto al resto, che l’insolvenza possa essere accertata unicamente in sede di procedura prefallimentare. Il tribunale fallimentare accerta ( rectius accertava, essendo la formula ‘fallimento’ superata dal nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza approvato con d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore in epoca successiva ai fatti di causa) l’insolvenza in funzione dell’apertura
della procedura di fallimento (o di altra procedura concorsuale); il che non toglie che situazioni di insolvenza siano accertate, dal giudice volta per volta competente, in funzione di altre statuizioni, nei casi previsti dalla legge. L’art. 2462, secondo comma, c.c., che dà appunto rilievo a una situazione di insolvenza, non richiama né i presupposti né la procedura di cui alla disciplina delle procedure concorsuali , e l’insolvenza è stata in concreto accertata, nella specie, da parte dei giudici di merito, nella sua versione più radicale, quella della impotenza patrimoniale della società debitrice scaturente dalla ‘comprovata mancanza di cespiti patrimoniali’ (sesta pagina della sentenza impugnata’).
f) Sesto motivo: «6 – Violazione dell’art 2462 c.c. in relazione alla esistenza di società unipersonale e con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver omesso di considerare che la domanda della RAGIONE_SOCIALE presupponeva l’accertamento della simulazione dell’intestazione delle quote societarie, di cui non vi è alcun riscontro nella motivazione, che omette di individuare la causa della simulazione e di dimostrare la fondatezza della riconducibilità dell’intera partecipazione societaria al solo RAGIONE_SOCIALE, utilizzando all’uopo meri indizi privi di gravità, precisione e concordanza, per di più in una vertenza in cui la prova presuntiva non era utilizzabile perché l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , che deduce la simulazione, ‘non è un soggetto terzo in quanto agisce per far valere un suo diritto’ .
Il motivo è i nfondato nella parte in cui si sostiene l’inutilizzabilità della prova presuntiva della simulazione per difetto di terzietà della parte richiedente. Il fatto che l’ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE agisca per far valere un suo diritto, come del resto è normale, non toglie che essa sia estranea al rapporto societario attinente alla T.C.
RAGIONE_SOCIALE, e dunque terza nel senso voluto dall’art. 1417 c.c. sulla prova della simulazione. Il medesimo motivo è, invece, inammissibile laddove lamenta la mancanza di prova del carattere fittizio dell’intestazione, poiché tale censura tende a far compiere a questa Corte un non consentito nuovo accertamento di merito, in relazione alla valutazione dei presupposti di fatto della fittizietà dell’intestazione , ricavati dal Tribunale, con accertamento confermato in appello, dalle seguenti circostanze: il COGNOME finanziò l’acquisto dell’immobile (poi ceduto alla RAGIONE_SOCIALE) da parte di RAGIONE_SOCIALE per 4.500.000 euro; tale finanziamento, nel verbale dell’assemblea della società del 20 giugno 2002 viene individuato come ‘finanziamento soci’; all’epoca dell’acquisto risultavano soci della società NOME RAGIONE_SOCIALE per lo 0,50 % e la RAGIONE_SOCIALE per il restante 99,5 %; il COGNOME per effettuare il finanziamento aveva a sua volta ottenuto un finanziamento da un istituto di credito, a garanzia del quale aveva concesso in pegno le quote sociali della RAGIONE_SOCIALE; dopo la vendita dell’immobile alla RAGIONE_SOCIALE, parte del prezzo era stato versato sul suo conto corrente per il rimborso del finanziamento in RAGIONE_SOCIALE della società; il RAGIONE_SOCIALE provvide a sua volta a rimborsare il finanziamento all’istituto di credito che glielo aveva concesso , il quale consentì alla cancellazione del pegno; quanto, poi, alla partecipazione intestata al COGNOME, l’attribuzione al RAGIONE_SOCIALE in via presuntiva derivava dal fatto che il COGNOME, commercialista del RAGIONE_SOCIALE, subito dopo la vendita dell’immobile aveva conferito al RAGIONE_SOCIALE procura per la vendita della sua quota societaria. La contestazione, peraltro generica, della sussistenza in concreto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza dei predetti indizi, da parte del ricorrente, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, nel
quale è incensurabile l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza di tali requisiti, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (da ult., Cass. 1234/2019).
g) Settimo motivo: «7 – Violazione ed errata applicazione degli artt. 1414 c.c. e 2462 c.c. ed all’art. 232 cpc in relazione alla definizione e qualità di socio occulto del dr. NOME COGNOME con riferimento all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata in relazione all’affermata esaustività delle prove agli atti della qualità di socio occulto del ricorrente, specificamente con riferimento agli esiti dell’interrogatorio formale e di quello libero e al generico riferimento a prove testimoniali assunte, così come alla documentazione esaminata ai fini del decidere, in assenza di una motivazione idonea a far comprendere il percorso valutativo delle prove. Si contesta, altresì, preliminarmente l’affermazione della Corte d’appello della mancata contestazione, in sede di gravame, degli elementi di prova valorizzati dal Tribunale.
Partendo appunto da quest’ultimo profilo di censura, va osservato che esso è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza. La Corte d’appello, infatti, ha stigmatizzato la mancanza di ‘specifica’ contestazione degli elementi, documentali e presuntivi, utilizzati dal Tribunale; il ricorrente, invece, si limita a riportare il solo titolo dei paragrafi contenenti, a suo dire, tali contestazioni (per l’esattezza, il paragrafo 4 dell’atto di appello e il paragrafo 4 della successiva comparsa conclusionale), senza però riportarne punto il contenuto, tantomeno chiarendo perché si trattava di contestazioni specifiche.
Del pari inammissibile è, poi, la critica rivolte all’utilizzo dell’argomento di prova basato sulla mancata risposta all’interrogatorio formale da parte del COGNOME. Tale critica, infatti, non intercetta la ratio decidendi , sul punto, della sentenza impugnata, la quale ha ben messo in evidenza, come si è riferito sopra in narrativa, che l’argomento della mancata risposta all’interrogatorio formale era tutt’altro che decisivo, e dunque era estraneo alla ratio decidendi propriamente intesa.
Inammissibili sono, infine, tutte le altre considerazioni svolte dal ricorrente a illustrazione del motivo in esame, trattandosi di censure di merito, per di più riferite, quanto a quelle enunciate nelle pagine dalla ventinovesima alla trentatreesima, alla sentenza di primo grado e non a quella di appello.
Ottavo motivo: «8 – Violazione dell’art 2727 c.c. Per aver fatto ricorso alle presunzioni in assenza dei presupposti in relazione all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha fatto ricorso al ragionamento presuntivo in assenza delle rispettive condizioni di applicabilità, con relativa esclusione della valutazione delle altre prove ritualmente acquisite al processo.
Tale motivo è riferito al passaggio, riportato testualmente nel ricorso, relativo alla prova presuntiva dell’intestazione fittizia della quota di minoranza al COGNOME, passaggio che figurerebbe a pag. 8 della sentenza impugnata. Sennonché esso non si rinviene affatto, né alla pag. 8, né alle altre pagine della sentenza di appello, oggetto del giudizio di cassazione. Può ipotizzarsi che si tratti di un passaggio della sentenza di primo grado, che però non può essere oggetto del giudizio di legittimità; in ogni caso, il solo fatto che venga censurato un passaggio non facente parte della sentenza di
appello è sufficiente a destinare alla inammissibilità la censura, la quale, peraltro, è destinata comunque alla medesima sorte anche in base al suo contenuto, il quale riporta censure sostanzialmente di merito sotto l’egida di una inammissibile critica come già chiarito in diritto nell’esaminare il sesto motivo di ricorso della concreta valutazione dei requisiti della gravità, precisione e concordanza delle presunzioni.
Nono motivo: «9 -Violazione dell’art 2697 c.c. in relazione agli artt. 1382 e 1384 c.c. per omesso accertamento della mancata prova dei fatti da parte della associazione ed omessa ‘re conductio ad legittimitatem ‘ d ella clausola penale d’ufficio in relazione all’art. 360 c. 3 c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per non aver ridotto equitativamente l’importo della penale, manifestamente sproporzionata, costituente il credito dell’RAGIONE_SOCIALE .
Il motivo è inammissibile perché si basa su circostanze di fatto -che, cioè, il credito dell’RAGIONE_SOCIALE consistesse in una penale e la sproporzione del suo ammontare -le quali non risultano affatto dalla sentenza impugnata e che non possono essere accertate nel giudizio di legittimità.
Il ricorso va quindi complessivamente rigettato.
La soccombenza regola le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna COGNOME NOME a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 11.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre