Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20439 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20439 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13182-2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1083/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 14/01/2021 R.G.N. 1273/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 13182/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
RILEVATO che
1. Con sentenza del 14 gennaio 2021 , la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE volto ad ottenere l’accertamento di un u nico rapporto di lavoro subordinato dal 20/11/1973 al 31/1/2011 e la condanna al pagamento delle differenze retributive dovute, considerando la qualifica superiore di operaio specializzato e il lavoro straordinario svolto, oltre al trattamento di fine rapporto quantificate nel complessivo importo di euro 483.723,22.
Aveva dedotto il ricorrente in primo grado di aver lavorato, senza soluzione di continuità, per quasi quarant’anni, dal 20 novembre 1973 sino al 20 gennaio 2011, data di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alle dipendenze della società in nome collettivo resistente, nell’azienda di trasformazione di materie plastiche di proprietà del fratello NOME, suo superiore gerarchico per tutto l’arco del rapporto; aveva aggiunto che il rapporto stesso era stato anche formalmente qualificato come di lavoro dipendente durante la fase iniziale, dal 20 novembre 1973 sino al 24 novembre 1981 ed in quella finale, dal 7 settembre 2004 al 31 gennaio 2011, ma non, tuttavia, nella fase intermedia, dal novembre 1981 sino all’agosto 2004 ma che, in fatto, le sue mansioni non erano mai mutate essendosi limitato il fratello ad imporgli di lavorare come socio d’opera per sottrarsi al pagamento dei contributi previdenziali e ridurre il costo del lavoro.
In particolare, la Corte , condividendo l’ iter decisorio del primo giudice – salvo che per la ratio posta a base della condivisa esclusione della applicabilità dell’art. 69, comma I, D. Lgs. 276/03 – ha ritenuto l’inadeguatezza degli elementi probatori acquisiti circa l’espletamento di attività lavorativa di carattere subordinato durante la fase del rapporto formalmente qualificato come societario, escludendo, altresì, il superiore inquadramento originariamente richiesto.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO che
1.Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 69, primo comma, D. Lgs. N. 276 del 2003 di cui la Corte ha ritenuto l’inapplicabilità alla specie per effetto dell’assenza di un contratto di lavoro a progetto.
1.1. Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame della domanda di accertamento della natura fraudolenta della trasformazione del rapporto di lavoro dipendente in apporto di socio d’opera ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. In subordine deduce l’omesso esame della dedotta natura simulata del contratto sociale quanto all’apporto del ricorrente quale socio d’opera ex art. 360, comma 1, n.5 cod. proc. civ. 1.2. Con il terzo motivo, si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., in relazione all’art. 2663 cod. civ. e all’art. 2697 cod. civ. quanto alla simulazione dell’apporto sociale da parte del ricorrente.
1.3. Con il quarto motivo si denunzia l’omesso esame della domanda di pagamento delle differenze retributive, a prescindere da qualsiasi ‘superiore inquadramento’.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Come noto, hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), non solo che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;
-d’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c. p. c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e
trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso ( ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018).
Giova evidenziare, al riguardo, non solo che, come rilevato – seppur in modo non ampiamente articolato dalla Corte di merito – nessun contratto di collaborazione coordinata a progetto risulta essere stato stipulato fra le parti, ma, di più, che alcuna allegazione quanto all’esistenza di un progetto, ovvero alla riconducibilità ad un rapporto di collaborazione a progetto delle mansioni svolte (anche eventualmente dissimulato) si rinviene nell’atto introduttivo del giudizio.
Invero, in difetto di allegazione in fatto, ad hoc, di parte ricorrente circa il riferimento, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e, poi, in appello, ad un contratto di collaborazione coordinata a progetto e basandosi, invece, sulle chiare allegazioni concernenti, tout court, la natura subordinata del rapporto in questione – che si asseriva essere simulata rispetto al conferimento d’opera -deve ritenersi che correttamente il Tribunale prima e la Corte poi abbiano escluso l’applicabilità alla specie del disposto di cui all’art. 69, I co., D. lgs. n. 276 del 2003.
Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per ragioni logico – sistematiche, sono inammissibili.
Occorre, premettere , con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
Nella specie, non solo la motivazione è presente e ben chiara nel suo svolgimento ma parte ricorrente non deduce l’omessa valutazione di un fatto storico ma appunta le proprie censure su aspetti valutativi dell’ iter motivazionale, concernenti la asseritamente erronea valutazione di materiale istruttorio.
Invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022).
Va ricordato poi, che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis , è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod.
proc. civ., in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti” , ma anche a quella di cui all’art. 348 ter , ult. comma cod. proc. civ., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c. d. doppia conforme (v. sul punto, Cass, n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014).
Deve, richiamarsi la già mentovata giurisprudenza di legittimità secondo cui sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c. p. c., le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nel ricorso, atteso che, nella specie, pur alludendo parte ricorrente nella considerata censura ad una fraudolenta operazione ed in particolare, alla natura fraudolenta della trasformazione del rapporto di lavoro dipendente in apporto di socio d’opera ovvero alla natur a simulata del cont ratto sociale quanto all’apporto del ricorrente quale socio d’opera, nessun elemento adduce che consenta di individuare in che modo la relativa domanda fosse stata formulata in appello.
Non è dato al Collegio statuire sul lamentato omesso esame in assenza della puntuale indicazione delle modalità con cui la domanda era stata formulata in appello.
3.1. Quanto al merito delle censure, va rilevato come la Corte d’appello abbia preso le mosse dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che, a partire da Cass. n. 3650 del 1994, ha sottolineato come nelle società di persone, che non sono enti giuridici distinti dai singoli soci, un rapporto di lavoro subordinato fra la società ed uno dei soci (che, assumendo la veste di dipendente, non perde peraltro i diritti connessi
alla qualità di socio) è configurabile, in via eccezionale, nella sola ipotesi in cui il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio, munito di supremazia, e sempre che la suddetta prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale.
Non v’è dubbio, d’altro canto che, n elle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale; b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni (Cass. n. 23129 del 2010).
La non perfetta rispondenza alla specie di tale richiamo si riscontra nell’eccezionalità delle ipotesi di coincidenza nella medesima persona della posizione di socio e di quella di lavoratore subordinato e, quindi, delle ipotesi di cumulo delle posizioni giuridiche di lavoratore e di socio; nel caso in oggetto, ciò che si voleva sostenere, piuttosto, era la sostanziale simulazione di un rapporto di lavoro subordinato a fronte della apparente posizione di socio.
Del pari non del tutto confacente alla specie il richiamo che il giudice di secondo grado effettua alla giurisprudenza di legittimità in tema di associazione in partecipazione (cfr., sul punto, Cass. n. 25221 del 2020), secondo cui la riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con
retribuzione collegata agli utili, esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell’organizzazione aziendale; la questione inerente la distinzione tra associazione e rapporto di lavoro subordinato, tuttavia, rappresenta una indagine di merito, volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti – il cui accertamento non è censurabile in sede di legittimità.
3.2. Ed invero, proprio la non censurabilità in sede di legittimità della valutazione circa l’insussistenza di una ipotesi di rapporto di lavoro subordinato rappresenta, nondimeno l’ ubi consistam della specie in esame.
La Corte di merito, infatti, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cui supra, ha escluso, in fatto, che potessero ravvisarsi gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato, riportando, all’uopo, testualmente, il contenuto delle dichiarazioni testimoniali raccolte in giudizio, dalle quali ha ritenuto di evincere l’insuss istenza degli estremi di quella eterodirezione che avrebbe potuto condurre ad un diverso apprezzamento circa la natura del rapporto in questione.
Tale valutazione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Quanto al lamentato omesso esame, la lettura dell’ iter motivazionale della Corte induce ad affermare che la stessa, escludendo la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, abbia inteso, al contempo e conseguentemente implicitamente escludere una ipotesi di simulazione del rapporto di lavoro in questione che non ha ritenuto di configurare in concreto sulla base delle risultanze probatorie acquisite. Escluso, quindi, che, in fatto, il rapporto in questione potesse rivestire gli indici rivelatori del rapporto di lavoro subordinato, la Corte ha, altresì, escluso l’elemento costitutivo (la subordinazione) della lamentata operazione fraudolenta.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
Parte ricorrente lamenta l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., della domanda inerente alle differenze retributive concernenti il pagamento dei contributi previdenziali e degli istituti di retribuzione indiretta e/o differita quali ferie, mensilità aggiuntive, preavviso, TFR relativamente all’importo – pari a euro 550,00 mensilic.d. ‘fuori busta’, non contestato, al pari delle mansioni, riconducibili a quelle di operaio specializzato di 5° livello, avendo il ricorrente rinunciato al superiore inquadramento in appello.
Tale domanda non può dirsi presente nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, per come trascritto nel ricorso del giudizio di legittimità né è possibile per il Collegio verificare in che modo la stessa fosse stata altresì riprodotta anche in grad o d’appello, prima di essere riproposta in questa sede.
Non può dirsi, quindi, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, che la piana lettura della motivazione della decisione di secondo grado induca ad affermare che la Corte, limitandosi a convenire, nelle poche righe finali della pronunzia, con il giudice di
primo grado, quanto alla mancanza di prova della superiore qualifica essendo stata omessa la produzione del CCNL, il cui onere gravava sul ricorrente, – abbia omesso di esaminare e, quindi, di pronunziarsi sulla domanda relativa alle differenze retributive pretese.
L’assenza di puntuali indicazioni circa le modalità di formulazione della domanda induce a reputare la stessa inammissibile, in ossequio alla già richiamata giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 34469 del 27/12/2019), per violazione del principio di specificità dei motivi di cui all’art. 366 cod. proc. civ.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi professionali e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 14 maggio 2025.