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Società in house: no conversione del contratto a progetto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 420/2024, ha stabilito che per le società in house non è possibile la conversione automatica di un contratto di collaborazione a progetto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, anche se il progetto è fittizio. Questa regola, derivante dall’estensione delle norme sul pubblico impiego, mira a garantire il rispetto delle procedure concorsuali per l’assunzione, impedendo l’accesso stabile all’impiego tramite vie alternative. La Corte ha quindi cassato la decisione di merito che aveva disposto la conversione, rinviando la causa per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Divieto di Conversione del Contratto nelle Società in House: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 420/2024, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: la possibilità di convertire un contratto di collaborazione a progetto in un rapporto a tempo indeterminato all’interno di una società in house. Questa pronuncia stabilisce un principio fondamentale: anche se il contratto di collaborazione è illegittimo, il divieto di conversione prevale, poiché tali società sono equiparate alla pubblica amministrazione per quanto riguarda le procedure di assunzione.

Il Contesto: Dal Contratto a Progetto alla Causa in Tribunale

Il caso nasce dalla vicenda di una lavoratrice assunta nel 2011 da una società in house di un grande comune italiano con un contratto di collaborazione a progetto. Successivamente, la lavoratrice ha agito in giudizio sostenendo che il rapporto, in realtà, mascherasse un vero e proprio lavoro subordinato, data la natura fittizia del progetto indicato nel contratto e le concrete modalità di svolgimento della prestazione.

La Decisione della Corte d’Appello: Conversione e Risarcimento

In secondo grado, la Corte d’Appello aveva dato ragione alla lavoratrice. I giudici di merito avevano accertato che il contratto di collaborazione non era genuino, in quanto il progetto non era rispondente alle mansioni effettivamente svolte. Di conseguenza, avevano dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dall’inizio della collaborazione, ordinando alla società la riammissione in servizio della dipendente e condannandola al pagamento di un risarcimento e delle differenze retributive.

L’Analisi della Cassazione sul Ruolo delle Società in House

La società ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su due motivi principali. Il secondo motivo, relativo a una diversa qualificazione del contratto, è stato dichiarato inammissibile perché sollevato per la prima volta in sede di legittimità. Il primo motivo, invece, è stato accolto e si è rivelato decisivo.

La società ha sostenuto che, in qualità di società in house, è soggetta alle stesse regole della pubblica amministrazione in materia di reclutamento del personale. Tali regole impongono l’espletamento di procedure concorsuali o selettive pubbliche e vietano la conversione di contratti flessibili in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, al fine di non aggirare il principio costituzionale del pubblico concorso.

Il Divieto di Conversione nelle società in house e le Procedure Pubbliche

La Corte di Cassazione ha confermato questa impostazione, ritenendo fondato il motivo di ricorso. Ha chiarito che la disciplina applicabile, in particolare l’art. 18 del D.L. n. 112/2008, estende espressamente alle società in house le limitazioni previste per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni. Questo regime speciale, che impone trasparenza e imparzialità, ha carattere imperativo.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la violazione delle norme sul reclutamento tramite concorso impedisce la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con un ente pubblico o con un soggetto ad esso equiparato, come una società in house. Permettere la conversione di un contratto di collaborazione illegittimo in un rapporto stabile sarebbe in totale contrasto con la volontà del legislatore di garantire l’accesso al pubblico impiego attraverso procedure selettive. Il tenore letterale della norma non lascia dubbi: l’obbligo di procedure concorsuali si applica a tutte le forme di assunzione, per garantire trasparenza, oggettività e imparzialità. Di conseguenza, la sanzione per l’illegittimo ricorso a un contratto di collaborazione non può essere la conversione, ma, eventualmente, il solo risarcimento del danno.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e ha rinviato la causa a un’altra sezione della stessa Corte territoriale. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi al principio di diritto secondo cui, per i rapporti di lavoro con le società in house sorti dopo l’entrata in vigore della normativa del 2008, è preclusa la conversione di un contratto di collaborazione illegittimo in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Questa sentenza rafforza il principio secondo cui le regole del pubblico impiego prevalgono sulla disciplina privatistica ordinaria quando si tratta di assunzioni in enti strumentali della pubblica amministrazione.

Un contratto di collaborazione a progetto stipulato con una società in house può essere convertito in un contratto a tempo indeterminato se il progetto si rivela inesistente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la violazione delle norme imperative che impongono alle società in house di reclutare personale tramite procedure concorsuali o selettive impedisce la conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, anche se il contratto di collaborazione è illegittimo.

Perché la normativa sul pubblico impiego si applica anche a una società in house che è formalmente una S.p.A.?
Perché il legislatore (con il D.L. n. 112/2008 e successive modifiche) ha esteso a queste società le limitazioni e i divieti previsti per le pubbliche amministrazioni in materia di assunzioni. L’obiettivo è garantire trasparenza, oggettività e imparzialità nel reclutamento del personale, dato il loro stretto legame con l’ente pubblico controllante.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione un’argomentazione non discussa nei gradi di merito?
No. La sentenza ribadisce che è inammissibile porre per la prima volta in sede di legittimità una questione mai trattata nei precedenti giudizi. Il giudizio di Cassazione è un controllo di legittimità sulle decisioni già prese, non una nuova valutazione del merito della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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