Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9593 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
Oggetto: gestione servizio di igiene urbana – società in house
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9599/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio del primo, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Comune RAGIONE_SOCIALE Termini Imerese, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difes o dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio del l’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 155/2018, depositata il 24 gennaio 2018
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre
2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, depositata il 24 gennaio 2018, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese che aveva accolto l ‘ opposizione del comune di Termini Imerese al decreto ingiuntivo con cui gli era stato intimato di pagare in favore della società la somma di euro 1.209.893,34, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, a titolo di corrispettivo per la gestione del servizio di igiene urbana, e respinto la domanda della società medesima;
la Corte di appello ha disatteso il gravame evidenziando che le prestazioni di cui era chiesto il pagamento erano estranee al contratto concluso tra le parti e che non poteva trovare accoglimento l’azione di indebito arricchimento in quanto l’ente locale non aveva voluto tale arricchimento o, comunque, non era consapevole dello stesso;
il ricorso è affidato a quattro motivi;
resiste con controricorso il comune di Termini Imerese;
-ciascuna parte deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2364, 2377 e 2697 cod. civ., per aver la sentenza impugnata omesso di considerare che il bilancio della società, chiuso al 31 dicembre 2018, riportava il credito in contestazione e la sua approvazione aveva carattere vincolante nei confronti dei soci, tra i quali figurava anche il comune di Termini Imerese, asserito debitore;
il motivo è inammissibile;
-la doglianza si fonda sull’assunto che il credito vantato dalla ricorrente
-società costituita al fine dell’erogazione di servizi pubblici nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico
e avente quale socio anche il comune di Termini Imerese -trova riscontro negli estratti del libro giornale della società, nonché nella relazione integrativa al bilancio di esercizio chiuso al 31 dicembre 2018 in cui tale credito risulterebbe «esattamente indicato», e sulla mancata applicazione de l principio secondo cui l’approvazione del bilancio di una società di capitali, ritualmente deliberata, avrebbe efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci anche con riferimento ai crediti della società verso i medesimi che risultano indicati con chiarezza nel bilancio;
la parte, tuttavia, omette di riprodurre, quanto meno nella sua parte saliente, il richiamato bilancio sociale approvato, non consentendo a questa Corte di poter apprezzare la verità e la concludenza della deduzione , anche in considerazione dell’assenza di un accertamento sul punto da parte del giudice di appello;
peraltro va rilevato che la ricorrente fa riferimento, neppure al bilancio, bensì ad una nota integrativa al bilancio stesso che, come tale, è inidonea a comprovare i crediti della società nei confronti dei soci (Cass. 15394/2013);
con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che il credito vantato si riferisse a prestazioni estranee a quelle previste dal contratto concluso tra le parti;
il motivo è inammissibile;
nella sentenza si dà atto che la ragione creditoria si riferiva a servizi aggiuntivi rispetto a quelli retribuiti in forza del piano comunale, i quali, secondo le previsioni del contratto (art. 21), avrebbero dovuto essere concordati tra le parti contraenti e regolati con corrispettivi specifici;
la parte contesta siffatta interpretazione del dato contrattuale, sostenendo la valorizzazione, a fini interpretativi, dell’art. 6 dello statuto sociale , dell’intenzione delle parti e del comportamento dell’ente locale;
tuttavia, non indica in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, limitandosi a contrapporre la sua interpretazione a quella accolta nella sentenza impugnata (cfr., sul punto, Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 27 giugno 2018, n. 19687; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319);
-peraltro, l’art. 6 dello statuto faceva riferimento al ‘costo di ciascun servizio principale svolto dalla società’, ossia ai servizi previsti nel contratto e nel piano comunale, laddove le fatture azionare dalla ricorrente in giudizio facevano riferimento -come accertato dalla Corte d’appello, a ‘servizi aggiuntivi’, che avrebbero dovuto trovare una base negoziale ad hoc, nella specie non ravvisabile;
con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 17, l. Reg. Sicilia 22 dicembre 2005, n. 19, 4, secondo comma, lett. c) l. Reg. Sicilia 8 aprile 2010, n. 9, 113 t.u. enti loc., 22 l. 8 giugno 1990, n. 142, 47, secondo comma, l. Reg. Sicilia 1° settembre 1993, n. 26, e 47, secondo comma, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per aver la sentenza impugnata omesso di considerare che la normativa in tema di società in house e, in particolare, la natura di tale società quale organo dell’ente locale, prevede l’obbligo degli enti pubblici partecipanti al suo capitale di coprire i costi relativi alla gestione del servizio a essa affidato;
il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato;
-la ricorrente non deduce l’avvenuta prospettazione dinanzi al giudice di merito della questione del l’esistenza di un obbligo per i Comuni di coprire interamente gli oneri per la gestione dei rifiuti derivante dalle richiamate disposizioni legislative regionali, né di siffatta deduzione vi è menzione nella sentenza, per cui, sotto tale profilo, la doglianza non può essere esaminata, non essendo questa Corte messa in condizione
di escludere la novità della questione medesima (cfr. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038);
non coglie, poi, nel segno la tesi della ricorrente secondo cui non sussisterebbe la necessità di una convenzione tra le parti per la prestazione dei servizi ulteriori a quelli affidati contrattualmente in ragione dell’assenza di una relazione intersoggettiva tra l’ente pubblico partecipe e la società in house e il Comune sarebbe obbligato a coprire interamente qualsiasi costo di gestione del servizio, in quanto svolto in un rapporto di delegazione organica;
infatti, una società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il soggetto pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni, in quanto il rapporto tra società e il soggetto pubblico è di assoluta autonomia, non essendo consentito a quest’ultimo di incidere unilateralmente sull’attività dell’ente collettivo mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali (cfr. Cass., Sez. Un., 1° dicembre 2016, n. 24591);
-con l’ultimo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2041 cod. civ., per aver la Corte d’appello respinto la domanda di indebito arricchimento in ragione della mancata consapevolezza dell’ente locale delle prestazioni eseguite, senza considerare che il credito vantato atteneva al rimborso di costi sostenuti nell’esecuzione del contratto;
il motivo è inammissibile;
la doglianza si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di appello, la quale ha affermato che « l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di ‘arricchimento imposto’ … »;
una siffatta critica non può trovare ingresso in questa sede, investendo un accertamento riservato al giudice di merito (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 12.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 gennaio 2024.