Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15157 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15157 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 15722/23 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-) NOME e NOME , domiciliate ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difese dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 24 maggio 2023 n. 1154;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 aprile 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, imprenditore individuale, contrasse vari debiti con la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. (che in seguito sarebbero stati acquisiti dalla Intesa San Paolo s.p.a.; d’ora innanzi, ‘la ISP’).
NOME COGNOME nel 2013 cedette la propria azienda alla società RAGIONE_SOCIALE di cui era socio (d’ora innanzi, per brevità, ‘la DRT’); e nel 2015 fu dichiarato fallito.
I debiti contratti da NOME COGNOME nei confronti della ISP furono garantiti dalla madre (NOME COGNOME e dalla moglie (NOME COGNOME di
Oggetto: opposizione all’esecuzione – caducazione del titolo esecutivo – conseguenze.
lui: la prima con fideiussione, la seconda con fideiussione ed ipoteca su un proprio immobile.
Nel 2020 NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorsero al Tribunale di Venezia ai sensi dell’art. 700 c.p.c., deducendo:
-) che la società RAGIONE_SOCIALE, divenuta per effetto della cessione d’azienda il debitore della ISP da esse garantito, versava in stato di grave difficoltà;
-) che la ISP aveva minacciato l’avvio dell’esecuzione forzata sui beni delle due garanti;
-) che queste ultime non avevano risorse sufficienti per adempiere l’obbligazione di garanzia e che l’immobile ipotecato a favore della banca era quello ove vivevano.
Chiesero, perciò, al Tribunale di pronunciare in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. un provvedimento anticipatorio degli effetti dell’azione di rilievo di cui all’art. 1953 c.p.c..
Con ordinanza 29.6.2020 il Tribunale di Venezia accolse la domanda ed ordinò alla DRT di versare alla ISP la somma di € 131.438,55 entro il 31.8.2020 o procurare altrimenti la liberazione dei due fideiussori. Impose alla DRT una astreinte , ex art. 614bis c.p.c., di euro 100 per ogni giorno di ritardo.
Con atto notificato il 1° settembre 2022 NOME COGNOME e NOME COGNOME assumendo che la DRT non avesse adempiuto la suddetta ordinanza, intimarono precetto alla DRT e, due settimane dopo, pignorarono due natanti della DRT.
Quest’ultima propose opposizione all’esecuzione, deducendo in punto di fatto:
-) di essersi prodigata per cercare con la ISP un accordo transattivo, per effetto del quale la banca recedesse dall’intento di agire esecutivamente nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-) la banca rispose con notevole ritardo alle proposte della DRT, anche a causa delle limitazioni imposte dalla pandemia;
-) solo il 1° settembre 2020 il legale della ISP comunicò alla DRT che, in attesa di vagliare le sue proposte transattive, era stato autorizzato a ‘ soprassedere a qualsivoglia iniziativa di recupero’ ;
-) la DRT aveva comunque saldato il debito verso la ISP, per il quale quest’ultima aveva chiesto ed ottenuto l’ammissione al passivo del fallimento di NOME COGNOME, riducendo così l’esposizione dei due fideiussori di circa 83.000 euro.
Sulla base di queste premesse in fatto la DRT chiese che il precetto fosse dichiarato ‘ inammissibile e/o improcedibile e/o inefficace e/o nullo e/o annullato’ , assumendo di avere adempiuto gli obblighi scaturiti dall’ordinanza cautelare.
In subordine, chiese che l’importo precettato fosse ridotto alla somma di euro 49.397,02.
In corso di causa la DRT concluse un accordo transattivo con la ISP, in virtù del quale quest’ultima liberò i due fideiussori.
Con sentenza 7.2.2022 n. 160 il Tribunale di Venezia dichiarò cessata la materia del contendere, ma condannò la DRT alla rifusione delle spese di lite in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Tribunale ritenne che l’esecuzione fu legittimamente iniziata, dal momento che la DRT avrebbe dovuto procurare la liberazione delle due creditrici entro il 31.8.2020; che quest’obbligo non fu adempiuto; che la mera pendenza di trattative con la banca e la disponibilità di quest’ultima a ‘soprassedere’ all’inizio d’una esecuzione contro i due fideiussori non equivaleva ad una liberazione di questi ultimi.
La sentenza fu appellata in via principale dalla DRT ed in via incidentale da NOME COGNOME e NOME COGNOME
La prima si dolse di essere stata condannata alla rifusione delle spese di lite; le altre si dolsero della misura della liquidazione di queste ultime.
Con sentenza 24.5.2023 n. 1154 la Corte d’appello di Venezia rigettò ambo gli appelli, ma condannò la DRT alle spese del grado.
La Corte d’appello ritenne che:
-) la DRT, che avrebbe dovuto procurare la liberazione dei due fideiussori entro il 31 agosto, vi provvide solo a novembre; correttamente, pertanto, il Tribunale ritenne sussistere la violazione degli obblighi imposti dal provvedimento cautelare e, di conseguenza, la legittimità dell’esecuzione intrapresa da NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-) nella liquidazione delle spese, il tribunale aveva fatto corretta applicazione dei criteri stabiliti dal d.m. 55/14.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dalla DRT con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e depositato memoria.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1322 e 1337 c.c..
La ricorrente deduce – in sostanza che la Corte d’appello avrebbe malamente valutato la corrispondenza scambiata tra le parti; che da tale corrispondenza emergeva la volontà delle due creditrici di accordare alla DRT una dilazione del termine di adempimento dell’obbligazione c.d. ‘ di rilievo ‘ ex art. 1953 c.c.; che NOME COGNOME e NOME COGNOME, ciononostante, avevano receduto dalle trattative in violazione del dovere di correttezza e buona fede.
1.1. Nella parte in cui prospetta la violazione dell’art. 1337 c.c. il motivo è inammissibile. Il tema del recesso ingiustificato dalle trattative infatti viene proposto per la prima volta in questa sede. Né nell’atto di opposizione a precetto, né nell’atto d’appello, stando al contenuto che ne riportano i soli atti legittimamente accessibili in sede di legittimità, si fa cenno alla violazione dell’art. 1337 c.c. ed alla violazione del dovere di buona fede da parte di NOME COGNOME e NOME Perale.
1.2. Nella parte in cui prospetta la violazione dell’articolo 1322 c.c. il motivo è inammissibile.
La censura, infatti, non pone alcuna questione di diritto, ma investe il giudizio col quale la Corte d’appello ha escluso che le due creditrici avessero accordato alla DRT una dilazione del termine di adempimento della propria obbligazione. Sicché il motivo si rivolge contro la valutazione delle prove documentali o del contenuto dell’effettiva volontà delle parti per come compiuta dal giudice di merito, valutazione che costituisce un apprezzamento di fatto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo è lamentata la violazione dell’articolo 91 c.p.c.. La ricorrente sostiene che, una volta dichiarata la cessazione della materia del contendere per caducazione del titolo esecutivo nelle more del giudizio di opposizione all’esecuzione, quest’ultima si doveva ritenere fondata e, pertanto, l’opponente non poteva esser condannato al pagamento delle spese processuali.
2.1. Il motivo è infondato.
Le SS.UU. di questa Corte, a composizione dei precedenti contrasti, hanno infatti stabilito che, nel caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale successivamente venuto meno, il giudizio di opposizione all’esecuzione deve essere definito con una pronuncia di cessazione della materia del contendere e le spese processuali devono essere regolate secondo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare in base agli originari motivi di opposizione (Cass. Sez. U., 21/09/2021, n. 25478). Il che è quanto ha fatto la Corte d’appello, oltretutto congruamente motivando le ragioni per le quali l’originaria opponente andava qualificata virtualmente soccombente.
Il controricorso depositato da NOME COGNOME e NOME COGNOME è inammissibile.
Il presente giudizio, infatti, ha ad oggetto una opposizione esecutiva, ed in quanto tale è sottratto alla sospensione feriale dei termini, giusta la previsione di cui agli artt. 1 e 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, e dell’art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12.
Nel caso di specie il ricorso per cassazione è stato notificato il 17 luglio 2023, mentre il controricorso è stato depositato (ai sensi del novellato art. 370, primo comma, c.p.c., nel testo applicabile dal 1° gennaio 2023) il 26 settembre 2023, e dunque ben oltre il termine ivi previsto di quaranta giorni dalla notifica del ricorso.
Dalla inammissibilità del controricorso consegue l’irritualità di ogni attività difensiva svolta per le intimate – ivi compreso il deposito della memoria prevista nel rito camerale disegnato dall’ultima riforma del rito civile – e, quindi, che non è luogo a provvedere sulle spese.
P. q. m.
(-) rigetta il ricorso;
(-) dichiara inammissibile il controricorso;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente ed al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile