Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18551 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18551 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6275-2019 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME
COGNOME, rappresentati e difesi giusta procura in calce al controricorso, da ll’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
-contro ricorrenti –
avverso la sentenza n. 8/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI sezione distaccata di SASSARI, depositata il 12/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
COGNOME NOME, premettendo di essere figlio unico di COGNOME NOME e COGNOME NOME, evidenziava che quest’ultima era figlia di COGNOME NOME e COGNOME NOME, dalla cui unione erano nati la madre e COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Di questi era sopravvissuta ai genitori la sola COGNOME NOME, della quale erano figlie COGNOME NOME ed COGNOME NOME.
COGNOME NOME con atti pubblici del 1996 e del 1997 aveva venduto alle nipoti COGNOME i beni di sua proprietà ma tali atti in realtà dissimulavano delle donazioni. Inoltre, il nonno percepiva varie pensioni ed era titolare di un conto corrente presso il Banco di Sardegna di Budoni e di un libretto di deposito postale presso l’ufficio di Budoni, entrambi non rinvenuti alla sua morte.
Conveniva in giudizio le germane COGNOME e COGNOME, quale coniuge in regime di comunione legale di COGNOME NOME, affinché fosse accertata che gli atti di vendita dissimulavano delle donazioni, e che per l’effetto fosse disposta la reintegrazione della sua quota di legittima, vantata in rappresentazione della madre
premorta, con l’accertamento altresì delle eventuali somme di denaro appartenenti al de cuius.
Nella resistenza dei convenuti, ivi inclusa COGNOME NOME, che aderiva alle difese delle figlie, il Tribunale di Nuoro con la sentenza n. 661 del 22 ottobre 2012 rigettava le domande dell’attore, ritenendo che non fosse stata fornita la prova che le COGNOME non avessero versato il corrispettivo della vendita al nonno, emergendo piuttosto dalla prova raccolta l’effettivo scambio del denaro con il venditore, non esistendo altri elementi idonei a fornire la dimostrazione della natura liberale degli atti di alienazione.
La domanda di divisione era poi dichiarata improcedibile in quanto la documentazione prodotta non garantiva l’effettiva integrità del contraddittorio.
Avverso tale sentenza proponeva appello il COGNOME, cui resistevano i convenuti.
La Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari – con la sentenza n. 8 del 12 gennaio 2018 ha rigettato il gravame.
Quanto alla prova della simulazione, che l’appellante riteneva fosse stata offerta, la sentenza, pur dando atto della possibilità per il legittimario di poter offrirne la dimostrazione a mezzo testi ovvero presunzioni, escludeva che però fossero stati offerti elementi in tale direzione.
Il venditore, sebbene in età avanzata, non era affetto da patologie tali da diminuirne la capacità di intendere e di volere.
Dalla consulenza espletata, risultava anche che il prezzo pattuito non si discostava in maniera eccessiva dal valore di mercato, come meglio specificato nella relazione integrativa. Doveva quindi
escludersi che vi fosse stata una cessione a titolo gratuito in favore delle nipoti, al più potendosi ipotizzare che alle stesse fosse stato praticato un prezzo di favore.
Quanto alle condizioni economiche degli acquirenti, era emerso che entrambe le nipoti lavoravano nel settore delle pulizie e che anche il COGNOME, marito di una delle acquirenti, svolgeva attività lavorativa in maniera continuativa. Inoltre, non era stato dimostrato che le due unità abitative insistenti sul terreno acquistato con l’atto del 1997 fossero state edificate da COGNOME NOME per effetto della permuta con un terreno appartenente al de cuius, risultando piuttosto che fossero state costruite a cura e spese degli stessi acquirenti, come confermato dalla testimonianza del preteso autore della costruzione.
Il passaggio del denaro dagli acquirenti al venditore, oltre che risultare dalla quietanza, emergeva dalla prova testimoniale che aveva permesso di appurare che il prezzo era stato versato in contanti con denaro, in parte proveniente dagli acquirenti, ed in parte loro prestato dal fratello del marito della COGNOME.
Risultava, quindi, confermato che si fosse in presenza di vendite effettive e che perciò doveva escludersi la simulazione.
Il solo elemento della parentela tra il venditore e le acquirenti non era sufficiente per affermare la natura simulata delle vendite.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato a tre motivi, COGNOME NOME NOME.
Gli intimati resistono con controricorso.
Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione della legge n. 98/2013, come
interpretata dalla delibera del Plenum (del CSM) del 25 gennaio 2017, port. 1318 del 26 gennaio 2017, art. 193.
Si deduce che la causa è stata decisa da un giudice ausiliario della Corte d’Appello, nominato ai sensi della legge n. 89/2013, sebbene la sentenza di primo grado fosse stata pronunciata dal Tribunale in composizione collegiale.
Il motivo è infondato.
Deve in primo luogo darsi atto che la legge n. 98/2013 di conversione del d.l. n. 69/2013 non contiene alcuna specifica previsione di incompatibilità per i giudici ausiliari di Corte d’Appello rispetto alle cause decise dal Tribunale in composizione collegiale, e che la medesima si rinviene solo nella Delibera del CSM n. 1318 del 26 gennaio 2017 (circolare per la formazione delle tabelle) , il cui art. 193, nel dettare i limiti all’utilizzo dei giudici ausiliari, prevede che la proposta tabellare può prevedere l’impiego dei giudici ausiliari di Corte d’appello con i seguenti limiti: omissis
procedimenti decisi in primo grado dal tribunale in composizione collegiale ai sensi dell’articolo 50 bis c.p.c.
Tuttavia, trattasi di prescrizione che non può determinare la nullità della sentenza impugnata.
Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che allorché un giudice onorario, appartenente all’ufficio giudiziario, decida una causa in materia che, secondo la ripartizione tabellare, sia sottratta alla sua potestà decisoria, il provvedimento non è nullo (salvo che si tratti di procedimenti possessori o cautelari ” ante causam “, espressamente esclusi dall’art. 43 bis del r.d. n. 12 del 1941), in quanto la decisione assunta dal g.o.t. in violazione delle tabelle organizzative dell’ufficio non incide sulla composizione
dell’ufficio giudiziario, né alcuna norma di legge prevede una siffatta nullità, configurandosi, invece, una semplice irregolarità (Cass. n. 19660/2016; in termini analoghi Cass. 466/2016, che chiarisce che le circolari con le quali il C.S.M. disciplina gli incarichi affidabili ai giudici onorari, quali fonti normative di secondo grado, non possono introdurre ipotesi di nullità processuali non previste dalla legge; Cass. n. 727/2013).
Declinati tali principi al caso in esame, in assenza di una specifica previsione di incompatibilità nella fonte primaria, la violazione delle regole di formazione delle tabelle degli uffici giudiziari prescritte dal CSM si traduce anche nel caso in esame in una mera irregolarità della decisione, ma senza che possa invocarsene la nullità.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in correlazione agli artt. 1417 c.c. e 2724 c.c.
Si evidenzia che, una volta concesse al legittimario le agevolazioni probatorie al fine di dimostrare la natura simulata degli atti di alienazione posti in essere dal de cuius, non poteva concedersi altrettanto vantaggio alle controparti.
Si deduce poi l’erronea valutazione delle emergenze probatorie quanto all’esiguità del prezzo di vendita, alle condizioni economiche degli acquirenti, ed alla mancata dimostrazione dell’esistenza di una permuta tra il de cuius ed il COGNOME, la cui contropartita è stata poi l’edificazione a cura e spese del secondo delle due costruzioni realizzate sui terreni alienati alle COGNOME.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la mancata ed erronea applicazione degli artt. 115 e 112 c.p.c., nella parte in cui i giudici di merito hanno ammesso la prova testimoniale a favore dei
convenuti per provare il pagamento del prezzo, le condizioni economiche e l’attività lavorativa degli acquirenti, la costruzione delle villette da parte delle stesse parti acquirenti.
Nelle considerazioni conclusive si deduce che in verità il ricorrente avrebbe fornito la prova della simulazione relativa degli atti di vendita, in quanto idonei a dissimulare delle donazioni, evidenziando altresì che vi sarebbe stata una permuta tra il de cuius ed il sig. NOME COGNOME per effetto della quale, a fronte della cessione di un terreno appartenente al primo, il secondo si sarebbe impegnato a costruire due villette sui terreni alienati alle COGNOME.
Si aggiunge che dall’esame delle emergenze istruttorie risulterebbe la prova di come con gli atti impugnati si sia inteso pregiudicare i diritti del ricorrente, rendendolo quindi un legittimario totalmente pretermesso.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili e comunque manifestamente infondati.
Il tenore complessivo delle censure mosse avverso la sentenza di appello (il cui esito risulta conforme a quella di primo grado, il che appare preclusivo della stessa deducibilità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c., che oggi consente di attaccare la motivazione della sentenza di merito, sebbene in maniera ben più restrittiva rispetto al passato), evidenzia come in realtà le stesse si risolvano nella manifestazione dell’insoddisfazione del ricorrente avverso la complessiva valutazione del materiale probatorio in atti, a fronte della logica e coerente motivazione del giudice di merito che ha ritenuto, sulla base degli esiti della CTU espletata, come in realtà il prezzo concordato non si discosti significativamente dal reale valore di mercato.
La Corte d’Appello ha altresì ritenuto che le parti acquirenti svolgessero un’attività lavorativa che permetteva loro di avere le disponibilità economiche per adempiere all’obbligazione di pagamento del prezzo, e ciò anche avvalendosi di un prestito effettuato dal fratello del sig. COGNOME, aggiungendo che la prova testimoniale aveva anche dimostrato che il denaro era stato effettivamente corrisposto al de cuius, non essendo poi dato sapere quale sorte questi gli avesse riservato, in assenza della titolarità di rapporti bancari sui quali le somme avrebbero potuto essere depositate.
Ha, infine, ritenuto che anche la successiva edificazione delle villette fosse da ricondurre ad un’autonoma attività delle parti acquirenti, negando che potesse assumere portata decisiva il fatto che un progetto era stato redatto da COGNOME NOME, il quale, in sede di escussione testimoniale, aveva però reso delle dichiarazioni che consentivano di riferire l’attività di costruzione al solo COGNOME NOME.
L’evidente obiettivo delle critiche mosse a contrastare quello che è stato l’apprezzamento delle emergenze probatorie, compito questo riservato al giudice di merito, sul presupposto che questo non risulti essere appagante, denota con evidenza come le critiche siano del tutto inammissibili, non potendo legittimare la censura sollevata la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Quanto poi all’ammissione delle prove testimoniali anche in favore dei convenuti, la sentenza impugnata ha in primo luogo evidenziato che trattasi di prove già ammesse in primo grado, sicché la violazione delle regole di ammissione delle prove avrebbe dovuto essere denunciata già con i motivi di appello, e non risulta che siffatta censura sia stata avanzata con uno
specifico motivo di gravame dal ricorrente, già soccombente in primo grado.
In secondo luogo, una volta riconosciute le agevolazioni probatorie di cui all’art. 1417 c.c. al legittimario pretermesso, per il principio di parità delle armi, deve riconoscersi analoga agevolazione ai convenuti al limitato fine di offrire la prova contraria a quella offerta dal legittimario.
In terzo luogo, la prova testimoniale è stata ammessa in favore dei convenuti non su circostanze direttamente afferenti al contenuto del contratto, ma a circostanze diverse ovvero a comportamenti successivi idonei a rafforzare l’apparenza della vendita, come emergente dalla manifestazione di volontà delle parti (avvenuta consegna del denaro, a conforto della dichiarazione di quietanza contenuta nel contratto, capacità economica degli acquirenti, successiva attività edificatoria a cura e spese degli acquirenti), per le quali non può reputarsi operante il limite di cui all’art. 1417 c.c. posto a carico delle parti del negozio simulato.
Le considerazioni conclusive di cui al ricorso mostrano evidentemente come il ricorrente solleciti un diverso apprezzamento delle emergenze probatorie, compito questo che esula da quelli devoluti al giudice di legittimità.
Il ricorso è pertanto rigettato.
Atteso il rigetto del ricorso, il ricorrente è condannato alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo, con attribuzione all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, dichiaratosene anticipatario.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge , con attribuzione all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 giugno 2024