Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34480 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6636-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
nonchè contro
NOME COGNOME NOME
– intimati –
avverso la sentenza n. 122/2023 della CORTE DI APPELLO di CATANIA, depositata il 25/01/2023;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione dell’11.4.2012 Di NOME COGNOME evocava in giudizio NOME NOME e NOME COGNOME NOME innanzi la sezione distaccata di Avola del Tribunale di Siracusa, invocando l’accertamento della nullità o inefficacia di tre atti pubblici di compravendita, del 12.4.2001, del 12.5.2003 e del 17.1.2006, con i quali alcuni beni immobili erano stati intestati alla moglie NOME COGNOME NOME la proprietà di alcuni suoi beni immobili, perché simulati, nonché la condanna della predetta intestataria fittizia al risarcimento del danno.
Con altro atto di citazione del 23.4.2012 lo stesso attore evocava in giudizio NOME COGNOME NOME ed altri innanzi il medesimo ufficio giudiziario, invocando l’accertamento della nullità o inefficacia di altri atti pubblici di compravendita, del 23.12.2003 e del 23.11.2004, sempre perché simulati, e la condanna della moglie al risarcimento del danno.
Secondo la prospettazione del COGNOME, i trasferimenti di proprietà oggetto degli atti di vendita di cui anzidetto erano stati simulati al solo fine di impedire che i beni immobili che ne costituivano oggetto potessero essere aggrediti dai suoi creditori. Allegava poi che l’accordo esistente con la moglie era venuto meno a seguito della crisi del rapporto coniugale, con conseguenti procedimenti penali a carico di esso attore, che per alcuni mesi era stato posto in stato di detenzione, e che pertanto egli non era riuscito a recuperare, presso la ex-casa
coniugale, la scrittura privata a suo tempo predisposta con la moglie comprovante l’esistenza dell’accordo simulatorio.
Riuniti i procedimenti il Tribunale di Siracusa, con sentenza n. 451/2020, rigettava la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 122/2023, la Corte di Appello di Catania rigettava il gravame proposto dal COGNOME avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale riteneva in particolare che la domanda dell’appellante, di accertamento della natura simulata delle compravendite oggetto delle due citazioni poi riunite, fosse stata rigettata dal Tribunale sulla scorta di plurime rationes decidendi , rappresentate in particolare dall’assenza di atto scritto idoneo a comprovare l’esistenza del presunto accordo simulatorio e della mancata prova della partecipazione ad esso dei terzi. Osservava poi che l’appellante aveva contestato solo la prima di dette rationes , nulla argomentando sulla seconda, e riteneva quindi il primo motivo di appello inammissibile. Rigettava invece il secondo, avente ad oggetto il governo delle spese nei confronti di alcune delle parti evocate in giudizio e riteneva non necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti del venditore dell’atto oggetto del preteso accordo simulatorio intercorso tra l’acquirente simulato e quello effettivo, in ragione della ravvisata inammissibilità del primo motivo di gravame. Infine, la Corte distrettuale ha rigettato anche l’ultima censura, con la quale l’odierno ricorrente aveva contestato la mancata ammissione, da parte del giudice di prime cure, delle istanze istruttorie da lui proposte.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME COGNOME affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME NOME
Le altre parti intimate, NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
A seguito di proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art.380 bis c.p.c. la parte ricorrente, con istanza del 21.8.2023 corredata da procura speciale in pari data, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611/2024 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 10/04/2024, Rv. 670667) non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Sempre in via preliminare, va rilevata la infondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata a pag. 8 del controricorso, dovendo trovare applicazione la regola dell’art. 111 cpc.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 2724, 2725 c.c., 228, 233 e 244 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché l’illogicità, lacunosità e contraddittorietà della motivazione, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda proposta fosse inquadrabile nel
paradigma della simulazione soggettiva relativa per interposizione fittizia di persona, anziché di simulazione assoluta.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia invece la nullità della sentenza per illogicità manifesta e la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato la decisione di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto non conseguita la prova dell’accordo simulatorio trilaterale, anche con la partecipazione dei venditori, ed aveva di conseguenza omesso di ammettere la prova, per interrogatorio, testimoni e giuramento decisorio, che l’odierno ricorrente aveva articolato per dimostrare l’esistenza dell’accordo stesso con la moglie, intestataria fittizia dei cespiti oggetto delle compravendite di cui è causa.
Le due censure sono infondate, perché con esse si contesta la ricostruzione operata dalla Corte di Appello e si afferma che, nel caso di specie, si configurerebbe una ipotesi di simulazione assoluta. Al contrario, il ricorrente aveva prospettato, sin dal primo atto difensivo, che i beni oggetto delle compravendite impugnate erano stati intestati fittiziamente alla moglie per sottrarli all’aggressione del suo ceto creditorio, e dunque aveva allegato l’esistenza di una ipotesi di simulazione non assoluta, bensì relativa, incidente in particolare sulla persona dell’effettivo titolare dei beni stessi. La ricostruzione operata dal primo giudice, e confermata poi dalla Corte distrettuale, secondo cui nella specie si configura una simulazione relativa per interposizione fittizia di persona, è dunque corretta, alla luce della stessa prospettazione dell’odierno ricorrente. Del pari corretta, come indicato anche in proposta, la considerazione che, per far valere la predetta ipotesi (interposizione fittizia di persona) occorre fornire la prova dell’accordo trilaterale, con la partecipazione dunque anche dei
venditori dei vari beni oggetto delle vendite impugnate. In assenza di tale dimostrazione, e financo della stessa deduzione della partecipazione dei terzi venditori al presunto accordo simulatorio, la decisione di rigetto della domanda è corretta e coerente con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui ‘Nella simulazione soggettiva relativa, il requisito della forma scritta ad substantiam deve essere rispettato dal contratto apparente, mentre l’accordo simulatorio tra interponente, interposto e terzo contraente che può essere anteriore o contemporaneo al contratto simulato, ma non posteriore ad essova provato, tra le parti, con la controdichiarazione scritta, che, non essendo espressione della voluntas simulandi, ma atto ricognitivo della volontà manifestata in precedenza, è idoneo mezzo di prova anche se sottoscritta solo dalla parte contro cui sia prodotta in giudizio e anche se successiva all’accordo simulatorio, essendo soggetta solo alle regole della forma scritta ad probationem” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18049 del 06/06/2022, Rv. 665165; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18204 del 24/07/2017, Rv. 645095; Cass. cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7537 del 23/03/2017, Rv. 643529; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6357 del 05/03/2019, Rv. 652934 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4565 del 22/05/1997, Rv. 504610). Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto non censurata la qualificazione della domanda in termini di interposizione fittizia e non conseguita la prova dell’esistenza dell’accordo trilaterale (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Merita anche di essere ribadito l’ulteriore principio, egualmente affermato da questa Corte, per cui ‘… la mancanza della controdichiarazione osta all’ammissibilità dell’interrogatorio formale, ove rivolto a dimostrare la simulazione soggettiva relativa, giacché la confessione, in cui si risolve la risposta positiva ai quesiti posti, non
può supplire al difetto dell’atto scritto, necessario per il contratto diverso da quello apparentemente voluto …’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6262 del 10/03/2017, Rv. 643369). E’ dunque corretta l’esclusione della prova orale, in mancanza della controdichiarazione, anche con riferimento all’interrogatorio formale della parte presunta interposta.
Per quanto invece concerne la mancata ammissione della prova questione sulla quale il ricorrente torna anche nel terzo motivo di ricorso- la Corte di Appello ha ritenuto la stessa generica, in mancanza di qualsiasi indicazione delle circostanze di tempo e luogo del presunto accordo simulatorio (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata). Il ricorrente contesta tale statuizione, senza tuttavia neanche riportare i capitoli di prova non ammessi, e dunque non consentendo al Collegio la verifica della loro decisività e rilevanza, né assolvendo l’onere di specificità che deve assistere la censura proposta in sede di legittimità. Stesso dicasi anche per il giuramento decisorio, che è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Appello perché proposto da difensore sfornito di procura speciale: il ricorrente asserisce che, al contrario, la procura sarebbe stata conferita in primo grado, ma non ne riproduce il testo, né specifica che la procura predetta era estesa anche al secondo grado di giudizio.
Il giuramento decisorio, peraltro, non è idoneo a superare la mancanza della prova scritta dell’accordo simulatorio, posto il principio, che merita di essere confermato, secondo cui ‘L’art. 2739 c.c. vieta la prova per giuramento sull’esistenza di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam, perché nessuna prova potrebbe supplire al documento mancante, mentre il giuramento decisorio può essere deferito nel caso in cui l’atto scritto è sussistente e la prova tende a dimostrare non l’esistenza del contratto, ma soltanto il suo carattere simulatorio’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15160 del
28/10/2002, Rv. 558063; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3899 del 18/02/2010, Rv. 611536).
Le prime due censure, quindi, sono nel complesso infondate.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta invece l’omessa, insufficiente esame e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto decisivo, nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la prova per interrogatorio formale della NOME COGNOME NOME, quella per testimoni ed il giuramento decisorio deferito dal ricorrente, tutte finalizzate a dimostrare che il mancato reperimento della scrittura contenente l’accordo simulatorio tra i due coniugi era stato causato anche dall’allontanamento del COGNOME dalla casa coniugale, conseguenza delle querele (poi risultate infondate) che la moglie aveva presentato nei suoi confronti.
La censura è infondata.
Come evidenziato in proposta, la questione dello smarrimento incolpevole della controdichiarazione non è stata ritenuta rilevante dalla Corte di Appello, la quale, piuttosto, ha escluso l’ammissione della prova orale ritenendola generica e non decisiva ai fini del giudizio. La statuizione è corretta poiché, una volta affermato che nel caso di specie si configura non un’ipotesi di simulazione assoluta, bensì di simulazione relativa, per interposizione fittizia di persona, e che sia dunque necessario fornire la prova della partecipazione del terzo, venditore, all’accordo simulatorio dedotto, diviene irrilevante la dimostrazione dell’esistenza di un accordo tra interponente ed interposto, poiché la mancata partecipazione ad esso del terzo lo rende comunque inidoneo ai fini della prova della pretesa simulazione relativa.
Quanto invece alla mancata ammissione delle prove, per interpello e testimoni, e del giuramento decisorio, si rinvia alle argomentazioni già esposte in occasione dello scrutinio delle prime due doglianze proposte dal Di COGNOME.
Non sussiste, invece, alcun profilo di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dovendosi ribadire, al riguardo, che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 116 c.p.c., va ribadito che ‘In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativasecondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile,
ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02; conf. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021, Rv. 661360). Nessuna delle suindicate ipotesi ricorre nel caso di specie.
Alla luce delle esposte argomentazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore pari a quella sopra liquidata per compensi, nonché al pagamento della somma di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda