Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10459 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2242/2020) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore ;
-intimata –
R.G.N. 2242/20
C.C. 18/03/2025
Vendita -Quote societarie -Individuazione prezzo
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1347/2019, pubblicata il 3 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 17 aprile 2007, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Lucca, la RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE Mauro RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE chiedendo che le società convenute fossero condannate, in solido, al pagamento della somma di euro 318.000,00, quale corrispettivo residuo dovuto per la cessione della totalità delle quote della RAGIONE_SOCIALE, quale titolare di un’azienda di bar -caffetteria sita in Forte dei Marmi denominata RAGIONE_SOCIALE, oltre al risarcimento dei danni, sul presupposto che, a fronte del prezzo pattuito di euro 636.000,00, era stata corrisposta dagli acquirenti soltanto la metà, così provocando un danno evidente alla venditrice.
Si costituivano separatamente in giudizio la NOME RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta NOME di NOME Carmine RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE, le quali contestavano la fondatezza in fatto e in diritto delle domande avversarie e ne chiedevano il rigetto. La COGNOME spiegava domanda riconvenzionale di risarcimento danni.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1932/2014, depositata il 17 dicembre 2014, ritenuto che non fosse stato corrisposto il complessivo prezzo pattuito pari ad euro 636.000,00, accoglieva la domanda proposta di condanna al pagamento del corrispettivo residuo e, per l’effetto, condannava, in solido, le società convenute al pagamento della somma di euro 313.000,00 (sebbene nel corpo della pronuncia avesse fatto riferimento alla somma dovuta di euro 318.000,00), mentre rigettava la domanda di risarcimento danni.
In specie, nella motivazione adduceva la circostanza che parte acquirente aveva consegnato alla venditrice due assegni, l’uno di euro 150.000,00 e l’altro di euro 168.000,00, rimasti impagati.
-Con atto di citazione notificato il 12 giugno 2015, la RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) la nullità della sentenza di primo grado per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;
il travisamento delle risultanze documentali, avendo erroneamente il Tribunale ritenuto che il prezzo pattuito per la cessione delle quote sociali fosse pari ad euro 636.000,00, come indicato nel contratto preliminare, anziché ad euro 436.000,00, come indicato nel contratto definitivo, per effetto di uno sconto di euro 200.000,00, concordato tra le parti dopo che il COGNOME aveva verificato la minore redditività del bar rispetto alla rappresentazione inizialmente avvenuta a cura della venditrice; 3) l’errata attribuzione all’avvenuta consegna, in favore della venditrice, di due assegni rispettivamente di euro 150.000,00 e di euro 168.000,00, rimasti entrambi impagati -del significato di
riconoscimento di un maggior debito rispetto al prezzo di euro 436.000,00, pur non essendo tali assegni destinati all’incasso, bensì alla mera esibizione all’ex coniuge della venditrice, che era contrario alla riduzione del prezzo; 4) l’erronea determinazione della somma percepita dalla venditrice, che non era pari ad euro 318.000,00, come ritenuto dal Tribunale, bensì al maggior importo di euro 436.000,00, pari al prezzo finale stabilito, come progressivamente corrisposto tra il settembre 2010 e il settembre 2011 attraverso plurimi assegni e il versamento di somme in contanti; 5) l’estraneità della F.G.A. alla negoziazione per l’acquisto delle quote sociali, sicché tra le due cessionarie non sarebbe sussistito alcun collegamento negoziale e, pertanto, la condanna in solido al pagamento della somma riconosciuta in sentenza sarebbe stata destituita di ogni fondamento; 6) l’erroneo disconoscimento della domanda riconvenzionale risarcitoria spiegata da NOME, basata sul minor valore dell’azienda acquistata, come da perizia giurata espletata successivamente al rogito, da cui sarebbe emerso che l’alienante avrebbe tratto in errore l’acquirente con artifizi e raggiri sull’effettiva consistenza patrimoniale della società ceduta all’epoca della cessione e sull’effettivo volume d’affari, notevolmente inferiore a quello prospettato in fase precontrattuale; 7) l’ingiusto e immotivato diniego dei mezzi istruttori richiesti.
Con separato atto di citazione notificato in pari data proponeva appello avverso la medesima pronuncia la RAGIONE_SOCIALE la quale contestava: A) che era rimasta estranea alla contrattazione preliminare e non aveva mai avuto contatti con la COGNOME, fino all’incontro davanti al notaio del 27
giugno 2011 per il perfezionamento dell’acquisto, né era a conoscenza del rilascio degli assegni rimasti impagati; B) che la venditrice, nell’atto pubblico, aveva rilasciato quietanza liberatoria in ordine al prezzo di euro 218.000,00 pagato da RAGIONE_SOCIALE per le quote di sua spettanza, senza che l’alienante avesse mai dimostrato la simulazione del prezzo e/o della quietanza; C) che la motivazione della condanna al pagamento del prezzo residuo era del tutto carente o apparente; D) che la domanda di adempimento era comunque inammissibile, in quanto la COGNOME aveva già chiesto formalmente la risoluzione del contratto di compravendita; E) che, in ogni caso, l’eventuale prova della simulazione del prezzo indicato nel rogito non poteva essere fornita, se non producendo una contro-scrittura, nella specie inesistente; F) che la cessione a RAGIONE_SOCIALE del 50% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, al prezzo di euro 218.000,00, era stata del tutto indipendente dall’analoga cessione a favore di NOME, sicché non aveva alcun fondamento giuridico la condanna solidale delle due società acquirenti.
Si costituiva in entrambi i giudizi COGNOME NOMECOGNOME la quale instava per il rigetto degli appelli, con la conferma della sentenza impugnata.
Previa riunione dei due procedimenti, decidendo sui gravami interposti, la Corte d’appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava le impugnazioni e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che l’indagine volta alla ricostruzione della disciplina impressa dalle parti al trasferimento
di quote societarie non poteva fermarsi alla superficie formale, ma doveva verificare se le parti si fossero o meno limitate a formalizzare tale cessione nei confronti della società, senza riprodurre tutti gli impegni negoziali da esse reciprocamente assunti, considerato altresì che la cessione di quote sociali poteva concludersi in forma libera; b ) che, per l’effetto, la verifica non poteva essere limitata alla constatazione della mancanza di una controdichiarazione scritta, in grado di smentire documentalmente il prezzo di euro 436.000,00, come indicato nell’atto notarile di vendita, emergendo, nella specie, con chiarezza elementi istruttori di altro tipo, i quali rivelavano come la volontà delle parti, in ordine alla determinazione del prezzo di euro 636.000,00, si fosse già manifestata anteriormente in via definitiva, riservando al rogito un ruolo meramente esteriore e di comodo, atto a minimizzare i costi fiscali, dissimulando una parte del prezzo pattuito; c ) che l’assunto era inequivocabilmente dimostr ato dalla regolazione dei mezzi di pagamento, contestuale eppure non coerente al rogito, bensì perfettamente allineato alle pregresse scritture private redatte inter partes , dalle quali emergeva che il prezzo della cessione della totalità delle quote era stato convenuto per il corrispettivo di euro 636.000,00, da soddisfarsi per euro 195.000,00 mediante versamenti in acconto, come riconosciuto nell’ultima scrittura privata sottoscritta, per euro 286.000,00 da versare alla stipulazione del contratto definitivo e per euro 155.000,00 da versare entro il 30 settembre 2011, con il rilascio a garanzia di assegni di corrispondente importo; d ) che, di fatto, contestualmente al rogito, le cessionarie avevano rilasciato alla Milesi cinque assegni: due da euro 59.000,00, uno da euro
168.000,00, uno da euro 5.000,00 ed uno da euro 150.000,00, per un totale di euro 441.000,00, così da integrare, insieme agli acconti versati di euro 195.000,00, il prezzo complessivo appunto di euro 636.000,00; e ) che la decisione di prime cure doveva essere confermata anche con riferimento all’imputazione soggettiva del debito, apparendo giuridicamente configurabile un’unica cessione a favore di due soggetti co -acquirenti, come emergeva da una pluralità di elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, tali da integrare una convincente prova presuntiva: essendo gli esponenti (soci e amministratori) dell’RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE legati da stretti vincoli familiari; -essendo state le trattative negoziali unitarie; – essendo stata la regolazione del prezzo unitaria; – essendo gli atti di cessione delle quote del 50% cadauna contenuti nello stesso contesto spazio-temporale e perfino formalizzati nello stesso documento notarile; – avendo il contenzioso insorto successivamente tra la parte venditrice e le parti acquirenti una genesi unitaria; – essendo stata la querela sporta congiuntamente dalle due società acquirenti; – ed essendo le loro strategie coordinate in via unitaria.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la FRAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, COGNOME NOME.
È rimasta intimata la Allegra di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
-La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente deve essere affrontata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza del requisito dell’autosufficienza, come sollevata dalla controricorrente.
1.1. -L’eccezione è infondata.
Infatti, il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità contiene una sufficiente esposizione dei fatti oggetto del giudizio e delle vicende processuali rilevanti, tale da consentire che si possa desumere l’ evoluzione dinamica del processo nei suoi tratti più significativi, sia in primo grado, sia in secondo grado.
Ancora, il percorso motivazionale criticato, con riferimento alla sentenza impugnata, è analiticamente descritto in ciascuna censura proposta.
2. -Tanto premesso, con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2722 e 2726 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la volontà espressa nel definitivo, con riferimento alla determinazione del prezzo, potesse essere superata dal richiamo al prezzo stabilito nel preliminare, applicando un arresto giurisprudenziale che si sarebbe riferito alla diversa fattispecie in cui alcune delle clausole contenute nel preliminare non fossero state riprodotte nel definitivo, ma non fossero con esso incompatibili, mentre, nella fattispecie, il rogito del 27 giugno 2011 sarebbe stato del tutto autonomo e distaccato dal preliminare e, inoltre, la ricorrente RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai avuto alcun collegamento con il dedotto diverso accordo.
Obietta l’istante che la prova richiesta dalla venditrice circa il fatto che il prezzo totale della cessione delle quote sociali risultasse essere pari ad euro 636.000,00, come indicato nel preliminare, anziché ad euro 436.000,00, come indicato nel definitivo, non atteneva ad una pattuizione pretermessa nel definitivo, bensì ad una pattuizione del tutto contraddetta dallo stesso, sicché detta prova, in assenza di un idoneo documento, avrebbe riguardato un patto contrario al contenuto di altro documento, per il quale si allegava che la stipulazione fosse stata anteriore o contemporanea, il che avrebbe precluso la prova testimoniale e quella presuntiva, indipendentemente dal fatto che, per la cessione delle quote sociali, non fosse richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem .
3. -Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte territoriale reputato che la mancanza di una controdichiarazione scritta, in grado di smentire documentalmente il prezzo di euro 436.000,00 indicato nell’atto notarile di compravendita, non precludesse di utilizzare altri elementi istruttori, dai quali si sarebbe potuta ricavare la volontà delle parti in ordine alla determinazione del prezzo in euro 636.000,00, avendo, sotto questo profilo, il rogito un ruolo meramente esteriore e di comodo, indirizzato a minimizzare i costi fiscali, dissimulando una parte del prezzo pattuito.
Osserva l’istante che le limitazioni stabilite per l’ammissibilità della prova testimoniale si estendevano anche alla prova per
presunzioni, sicché, nella fattispecie, sarebbe stato inibito avvalersi sia dell’una che dell’altra ai fini della dimostrazione della simulazione del prezzo, per la quale sarebbe stata richiesta una controdichiarazione scritta coeva al contratto di compravendita, e ciò a maggior ragione verso la RAGIONE_SOCIALE, che non era stata partecipe del preliminare.
D’altronde, la sentenza impugnata avrebbe altresì omesso di indicare in quale atto e/o fatto effettivamente riferibile alla ricorrente potesse essere ravvisata la concreta volontà di RAGIONE_SOCIALE di convenire con la Milesi l’acquisto ad un prezzo diverso da quello contenuto nel rogito del 27 giugno 2011, atteso che questa si era resa autonomamente parte acquirente di una quota pari al 50% del capitale ed era del tutto estranea al contratto preliminare, al contratto di fitto di azienda, agli assegni corrisposti dal COGNOME e a tutte le vicende dedotte dalla COGNOME intercorse con il COGNOME.
3.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono infondati, benché la motivazione debba essere corretta, sulla scorta delle risultanze richiamate dalla pronuncia impugnata, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
3.1.2. -Al riguardo, occorre precisare che, nel caso in cui le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, siano addivenute alla stipulazione del contratto definitivo, effettivamente quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, alla stregua del c.d. principio di assorbimento, in quanto il contratto preliminare,
determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare; tale presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12090 del 06/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 30735 del 21/12/2017; Sez. 2, Sentenza n. 7064 del 11/04/2016; Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012; Sez. 2, Sentenza n. 15585 del 11/07/2007; Sez. 2, Sentenza n. 233 del 10/01/2007; Sez. 2, Sentenza n. 8515 del 28/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 2824 del 25/02/2003; Sez. 3, Sentenza n. 7206 del 09/07/1999; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13210 del 14/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 7624 del 21/03/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 23210 del 31/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9961 del 28/03/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 30466 del 23/11/2018).
Nondimeno, il suddetto principio non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti nel preliminare, occorrendo in tal caso accertare la volontà negoziale delle parti, valutando tra l’altro il contenuto di detto preliminare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5179 del 06/04/2001; Sez. 3, Sentenza n. 7206 del 09/07/1999; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19275 del 12/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3521 del 06/02/2023).
Pertanto, l’omessa riproduzione, nel contratto definitivo, di una clausola già inserita nel preliminare non comporta, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, che non resta assorbita ove sussistano elementi in senso contrario ricavabili dagli atti ovvero offerti dalle parti.
Ne consegue che il giudice è tenuto ad indagare sulla concreta intenzione delle parti, tanto più che le clausole aggiuntive risultanti dal preliminare non interferiscono con la produzione dell’effetto traslativo delle quote societarie, per la quale non è richiesta la forma scritta ad substantiam (il vincolo di forma non si estende, infatti, ai contratti di cessione delle quote di partecipazione societaria, neppure nel caso in cui la società sia proprietaria di beni immobili, rientrando tali beni nel suo patrimonio: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9139 del 19/05/2020; Sez. 1, Sentenza n. 25626 del 27/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 23203 del 11/10/2013; Sez. 2, Sentenza n. 25468 del 16/12/2010; Sez. 2, Sentenza n. 3556 del 11/03/2003).
Per cui occorre verificare se, con la nuova scrittura, le parti si siano limitate, o meno, solo a ‘formalizzare’ la cessione, senza riprodurre tutti gli impegni negoziali in precedenza assunti (con specifico riguardo ai contratti di cessione di quote societarie, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 662 del 11/01/2022; Sez. 1, Sentenza n. 22984 del 29/10/2014; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29412 del 10/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 29409 del 10/10/2022), poiché, in tal caso, le clausole del preliminare non riprese non possono reputarsi abbandonate, ma hanno un’efficacia integrativa dell’autoregolamento definitivo lacunoso.
Ebbene, questa conclusione non può riguardare l’ipotesi, come quella cui si allude nella fattispecie, in cui le parti abbiano regolato in termini esaustivi gli impegni assunti con il definitivo, ma in modo difforme da quanto avevano stabilito nel preliminare.
Ed invero, l’ipotesi in cui la clausola già inserita nel preliminare non comporti, necessariamente, la rinunzia alla pattuizione ivi contenuta, ove nessuna regolamentazione in senso difforme sia contenuta nel definitivo, non può estendersi appunto all’ipotesi in cui quella clausola sia stata disciplinata in modo diverso nel definitivo.
Nel caso in esame, a fronte di un prezzo di cessione stabilito nel preliminare di euro 636.000,00, il corrispettivo determinato nel definitivo ammontava ad euro 436.000,00.
Non si tratta, allora, di mancata ‘formalizzazione’ nella cessione definitiva di tutti gli impegni negoziali in precedenza assunti, bensì della regolamentazione della cessione in modo differente dagli impegni in precedenza assunti.
In questa evenienza la diversa pattuizione contenuta nel definitivo sulla quantificazione del prezzo prevale sulla pattuizione stabilita nel preliminare, salvo che ricorra una simulazione di detto prezzo.
3.1.3. -Quanto alla simulazione del prezzo, cui si riferisce la sentenza impugnata, questa Corte ha costantemente sostenuto che la pattuizione con cui le parti di un negozio soggetto al vincolo della forma scritta abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del
contratto che deve risultare per iscritto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3234 del 18/02/2015; Sez. 2, Sentenza n. 21442 del 19/10/2010; Sez. U, Sentenza n. 7246 del 26/03/2007; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21130 del 29/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 37189 del 20/12/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 21426 del 06/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 24914 del 15/09/2021; Sez. 2, Sentenza n. 2619 del 04/02/2021).
Si tratta, dunque, di simulazione relativa parziale, che coinvolge un elemento essenziale inerente all’oggetto del contratto. Pertanto, la prova per testimoni della pattuizione atta a celare una parte del corrispettivo di un contratto incontra, fra le parti, i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. e contrasta col divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto una tale pattuizione deve essere equiparata all’ipotesi di dissimulazione del contratto ( contra l’ormai superato orientamento di Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4901 del 02/03/2007).
Ora, in tema di simulazione di un contratto formale, la prova per testi soggiace a limitazioni diverse a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa.
Nel primo caso, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722 c.c., non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem , menzionati dall’art. 2725 c.c., avendo natura ricognitiva dell’inesistenza del contratto apparentemente stipulato, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c. Nel secondo caso, occorre distinguere, in quanto se la domanda è proposta da creditori o da terzi -che, essendo
estranei al negozio, non sono in grado di procurarsi le controdichiarazioni scritte -la prova per testi o per presunzioni non può subire alcun limite; qualora, invece, la domanda venga proposta dalle parti o dagli eredi, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724 citato, cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento, ovvero quando la prova è diretta a fare valere l’illiceità del negozio (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10933 del 05/04/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 36283 del 23/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 10240 del 04/05/2007; Sez. 2, Sentenza n. 16021 del 14/11/2002; Sez. 2, Sentenza n. 2906 del 27/02/2001; Sez. 2, Sentenza n. 4704 del 21/07/1981).
A contrario , allorché la simulazione relativa concerna un contratto a forma libera, come nella specie, non opera la limitazione di cui all’art. 2725 c.c., sicché, nel rapporto tra le parti, potrà essere invocata la prova per testimoni o per presunzioni, sia quando la prova venga richiesta per dimostrare l’illiceità del contratto dissimulato ex art. 1417 c.c., sia quando ricorra una delle condizioni prescritte dall’art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento), che costituiscono eccezioni al divieto di prova testimoniale del patto aggiunto o contrario al contenuto del documento simulato, per il quale si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contestuale ex art. 2722 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 740 del 18/03/1970; così anche Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22978 del
22/07/2022; con riferimento ai contratti di trasferimento di quote di partecipazione sociale, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13857 del 07/07/2016, riferita ad un’ipotesi di simulazione soggettiva assoluta; con riferimento agli ordini inerenti alle negoziazioni in valori mobiliari, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 612 del 15/01/2016).
Pertanto, a fronte della paventata simulazione del prezzo nel contratto di cessione di quote societarie, la prova di tale simulazione avrebbe dovuto essere desunta da una controdichiarazione scritta, fatta salva l’integrazione di una delle condizioni prescritte dall’art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento). Solo in presenza di una simile condizione avrebbe potuto farsi ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni.
Del che la pronuncia impugnata dà atto, desumendo dai richiamati indici presuntivi la simulazione del corrispettivo, in forza del principio di prova per iscritto ricavato dal riferimento ai due assegni bancari rilasciati per euro 150.000,00 e per euro 168.000,00 (la cui sommatoria corrisponde, appunto, alla somma di cui è stato chiesto il pagamento di euro 318.000,00), non oggetto di riscossione per le ragioni addotte (quanto ad un assegno perché, all’esito della sua consegna provvisoria agli acquirenti, ne veniva compiuta la distruzione e, quanto all’altro, per mancata corrispondenza tra la cifra corretta indicata in numeri e quella indicata in lettere).
Ebbene, in tema di eccezioni al divieto della prova testimoniale, ex art. 2724, n. 1, c.c., il documento costituente principio di prova per iscritto non deve necessariamente
contenere un preciso riferimento al fatto controverso, essendo sufficiente che tra lo scritto e il fatto medesimo esista un nesso logico dal quale scaturisca la verosimiglianza del secondo. Sicché può essere ammessa la prova testimoniale o per presunzioni della simulazione parziale del prezzo del contratto di vendita, considerando, come principio di prova scritta, l’assegno bancario rilasciato dall’acquirente in favore della venditrice (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24903 del 21/08/2023; Sez. 1, Sentenza n. 17766 del 16/10/2012; Sez. 3, Sentenza n. 27013 del 07/12/2005; Sez. 2, Sentenza n. 12980 del 06/09/2002; Sez. 1, Sentenza n. 426 del 15/01/2000; Sez. L, Sentenza n. 3583 del 07/04/1998; Sez. 1, Sentenza n. 2710 del 18/12/1970; in tema di simulazione assoluta sostengono lo stesso principio Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7093 del 20/03/2017; Sez. 3, Sentenza n. 3869 del 26/02/2004).
Ne discende che il ragionamento presuntivo svolto per giungere alla prova della simulazione del prezzo era percorribile, alla luce del principio di prova per iscritto ricavabile dal richiamo a tutti gli assegni rilasciati, il cui ammontare complessivo era pari ad euro 636.000,00 (secondo l’espresso assunto della pronuncia impugnata), prezzo reputato corrispondente a quello effettivamente concordato rispetto al corrispettivo dichiarato nel definitivo di euro 436.000,00.
4. -Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. nonché degli artt. 2722, 2729 e 1294 c.c., la nullità della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di
discussione tra le parti, per avere la Corte distrettuale, con riguardo all’imputazione soggettiva del debito, ritenuto che fosse configurabile un’unica cessione a favore di due soggetti co -acquirenti, sulla scorta di elementi indiziari, così addivenendo, nella sostanza, ad una sorta di declaratoria di simulazione del contratto del 27 giugno 2011 (non solo in ordine al prezzo) ma anche sotto il profilo soggettivo dell’individuazione degli acquirenti (riconducendo l’acquisto ad un’unica parte acquirente plurisoggettiva), senza che la venditrice avesse mai proposto una simile domanda.
Deduce l’istante che nessuna prova sarebbe stata fornita circa la circostanza che ciascun soggetto acquirente delle singole quote fosse stato in realtà un co-acquirente diretto della partecipazione insieme all’altro, dovendo tale prova essere fornita in via documentale e non già mediante presunzioni.
Il che avrebbe dovuto escludere la natura solidale dell’obbligazione.
4.1. -Il motivo è fondato.
La Corte d’appello ha, sul punto, confermato la decisione di prime cure con riferimento all’imputazione soggettiva del debito.
Ed ha appunto argomentato sostenendo che sarebbe giuridicamente configurabile un’unica cessione a favore di due soggetti co-acquirenti, come sarebbe emerso da una pluralità di elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, tali da integrare una convincente prova presuntiva: – essendo gli esponenti (soci e amministratori) dell’RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE legati da stretti vincoli familiari; -essendo state le trattative negoziali unitarie; -essendo stata la regolazione del prezzo unitaria; – essendo gli atti
di cessione delle quote del 50% cadauna contenuti nello stesso contesto spazio-temporale e perfino formalizzati nello stesso documento notarile; -avendo il contenzioso insorto successivamente tra la parte venditrice e le parti acquirenti una genesi unitaria; -essendo stata la querela sporta congiuntamente dalle due società acquirenti; – ed essendo le loro strategie coordinate in via unitaria.
Tale ricostruzione non vale a confutare il dato oggettivo della ricorrenza di due cessioni contenute nello stesso atto, aventi ad oggetto beni diversi: ciascun acquirente ha acquistato la quota del 50% del capitale della RAGIONE_SOCIALE, titolare di un’azienda di bar -caffetteria sita in Forte dei Marmi denominata RAGIONE_SOCIALE.
A fronte della eterogeneità delle partecipazioni sociali trasferite in favore di ciascuno degli acquirenti, le circostanze addotte non avrebbero potuto giustificare l’integrazione di un’obbligazione solidale, in mancanza dell’assunzione espressa di tale vincolo nel contratto.
Piuttosto, ciascun acquirente, in forza di plurimi patti (collegati) di cessione contenuti nello stesso atto, sarebbe stato tenuto al pagamento del prezzo di propria pertinenza, in collegamento sinallagmatico con i rispettivi beni acquistati.
5. -Con il quarto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, la nullità della sentenza o del procedimento nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417, 2722, 2726, 2732, 2733 e 2735 c.c., per avere la Corte del gravame
tralasciato di considerare la prova fornita dalla F.RAGIONE_SOCIALE in relazione alla quietanza liberatoria rilasciata in suo favore dalla venditrice, in ordine al pagamento della somma di euro 218.000,00 all’atto della stipula della compravendita, senza che tale venditrice avesse provato l’assunta falsità della quietanza, attraverso il deposito di esplicita controdichiarazione, ovvero il rilascio della quietanza per errore o violenza.
Espone, in conseguenza, l’istante che vi sarebbe stata in atti la prova legale dell’integrale pagamento del prezzo di cessione e della formale liberazione della FRAGIONE_SOCIALE per aver versato il saldo del prezzo, in ragione della valenza probatoria di tale quietanza indirizzata alla controparte, con efficacia liberatoria, come comprovato anche dalle informazioni assunte nel procedimento cautelare ante causam .
5.1. -Il motivo è inammissibile.
In ordine all’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, sussiste la preclusione della ‘doppia conforme’ di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c. vigente ratione temporis (oggi art. 360, quarto comma, c.p.c.).
Inoltre, la circostanza posta a fondamento della doglianza è stata addotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, nel quale è preclusa la rilevazione di nuovi fatti.
In ogni caso, a fronte della quietanza collegata alla consegna di assegni bancari non incassati per le ragioni evocate, era escluso che essa avesse valenza liberatoria (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26161 del 12/12/2014).
Ed invero, la dichiarazione che il creditore rilasci al debitore di avvenuta ricezione in pagamento di un assegno bancario non
costituisce quietanza liberatoria in senso tecnico, a prescindere dal nomen che il dichiarante le abbia attribuito, trattandosi di una mera dichiarazione di scienza asseverativa della ricezione dell’assegno, ma non anche dell’effetto giuridico dell’adempimento dell’obbligazione, il quale consegue solo alla riscossione della somma portata dal titolo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12685 del 09/05/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 1572 del 22/01/2019).
6. -In definitiva, il terzo motivo del ricorso deve essere accolto, nei sensi di cui in motivazione, mentre i rimanenti motivi vanno respinti.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata, limitatamente al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi agli enunciati principi di diritto e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 18 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME