Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34624 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34624 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32672/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
contro
F COGNOME DI COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 3462/2019 depositata il 03/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia concerne un contratto di cessione d’azienda stipulato tra l’RAGIONE_SOCIALE (cedente) e la F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME (cessionaria) ed ha ad oggetto l’accertamento della simulazione relativa al prezzo di cessione di un’azienda. La società che gestisce l’osteria -enoteca si era rivolta al Tribunale di Venezia sostenendo che il prezzo effettivamente concordato era quello indicato nel contratto preliminare (€ 310.000), non quello indicato nel contrat to definitivo (€ 180.000). Pertanto, chiedeva la condanna della controparte al pagamento del residuo. I convenuti, la FRAGIONE_SOCIALE COGNOME ed i suoi soci, negavano l’esistenza di un accordo simulatorio sul prezzo e chiedevano il rigetto. Il Tribunale accoglieva la domanda, ritenendo provata la simulazione del prezzo sulla base della consegna e dei pagamenti di assegni postdatati effettuati da NOME COGNOME. Di conseguenza, condannava la società convenuta e i suoi soci al pagamento solidale della somma di € 110.000. In appello, la sentenza è stata integralmente riformata. La Corte distrettuale ha rilevato che la simulazione del prezzo non poteva essere provata attraverso presunzioni semplici, il cui utilizzo è vietato dall’art. 1417 c.c., né tramite prove testimoniali, escluse dagli artt. 2722 e 2556 c.c. Inoltre, la Corte distrettuale ha sottolineato che, in presenza di un contratto preliminare seguito da un contratto definitivo, è quest’ultimo a costituire l’unica fonte dei diritti e degli obblighi tra le parti. Nel caso attuale, mancava quindi una prova documentale scritta che potesse validamente avvalorare la tesi della simulazione del prezzo.
Ricorrono in cassazione i successori della parte cedente attrice con cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste la parte cessionaria convenuta con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Si antepone per ragioni di connessione l’esposizione congiunta dei primi tre motivi e le repliche dei controricorrenti (paragrafi da 2 a 4), nonché per ragioni di maggiore chiarezza l’e sposizione delle parti salienti della sentenza impugnata (paragrafo 5).
Il primo motivo, p. 6, denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 2556 c.c. per essere stato applicato il principio secondo cui, qualora alla stipula di un contratto preliminare segua quella di un contratto definitivo, quest’ultimo costituirebbe l’unica fonte dei diritti e obblighi. La decisione è viziata per due motivi. In primo luogo, l’art. 2556 c.c. non prescrive la forma scritta ad substantiam per la cessione di azienda, salvo per imprese soggette a registrazione come previsto dall’art . 2195 c.c. Nel caso attuale si tratta di una piccola impresa (costituita da coniugi senza dipendenti), che in quanto tale ex art. 2202 c.c. non è soggetta alla iscrizione nel registro delle imprese. Inoltre, il compendio aziendale non includeva alcun bene immobile né mobile registrato. In secondo luogo, si fa valere che l’art. 1362 c.c. prevede che l’interpretazione di un contratto debba privilegiare l’intenzione comune delle parti, desumibile anche dal comportamento successivo alla stipula. Ciò avrebbe consentito di esaminare la condotta delle parti anche dopo la stipula del definitivo, rendendo possibile l’analisi di elementi in grado di vincere la presunzione di conformità del contratto definitivo alla volontà delle parti. Nella vicenda in esame, risultava pacifico che le parti avessero continuato a rispettare gli impegni economici del contratto preliminare, con pagamenti spontanei e senza riserva di ripetizione, per un importo superiore a quello stabilito nel definitivo.
La parte controricorrente replica al primo motivo, quanto al primo profilo, che il regime probatorio di cui all’art. 2556 c.c., che impone la prova scritta per la simulazione parziale del prezzo in una cessione d’azienda, è applicabile al caso di specie poiché il requisito dell’iscrizione nel registro de lle imprese, previsto dall’art. 2195 c.c., è pienamente applicabile alle imprese di intermediazione di beni come quella
in oggetto. L’attività dell’impresa commerciale, definita dall’art. 2195 co. 1 c.c., include, infatti, l’acquisto di beni per rivenderli, configurando attività commerciale ogni volta che vi sia una funzione di intermediazione nella circolazione dei beni. Si osserva che la questione dell’esclusione dell’applicabilità degli artt. 2195 e 2556 c.c., per via della presunta qualifica di piccolo imprenditore dei sig.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME, non è mai stata sollevata nei gradi di merito. Pertanto, tale questione risulta preclusa in sede di legittimità. Quanto al secondo profilo, si evidenzia che l’argomento dei ricorrenti per avvalorare la simulazione attraverso un presunto adempimento spontaneo del contratto preliminare, contrasta con le limitazioni probatorie imposte dagli artt. 2722, 2725, 2727 e 2729 c.c., i quali precludono l’utilizzo di prova per testimoni e per presunzioni nei casi in cui la legge richieda la prova scritta. Il rispetto di tale vincolo probatorio è stato ribadito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che stabilisce la necessità di una prova scritta proveniente dalla controparte per dimostrare la simulazione, escludendo che tale prova possa essere fornita dalla parte che chiede la prova o da un terzo. In conclusione, si rileva che l’interpretazione de lla volontà simulatoria desunta dal comportamento successivo delle parti risulterebbe comunque inammissibile, configurandosi come prova per presunzioni, vietata dal regime probatorio specifico in materia di cessione d’azienda.
3. – Il secondo motivo, p. 8, denuncia violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per l’errata esclusione di elementi probatori relativi alla simulazione del prezzo. Si censura che la Corte di appello ha negato la possibilità di considerare gli assegni consegnati contestualmente al contratto come prova idonea della simulazione, senza adeguatamente esaminare il contesto negoziale e le modalità di consegna dei titoli, in contrasto con il principio di non contestazione e con il riconoscimento avversario che NOME COGNOME rappresentava di fatto la società RAGIONE_SOCIALE. In particolare, NOME COGNOME aveva
operato per la società RAGIONE_SOCIALE sia nelle trattative con la società cedente che nel perfezionamento degli accordi, consegnando alla stipula del contratto definitivo nove assegni a nome della società cessionaria. La società cessionaria aveva infatti confermato che la consegna degli assegni era avvenuta per volontà dei legali rappresentanti della società e alla presenza di NOME COGNOME. Inoltre, gli assegni riflettevano per importo e scadenze le rate del prezzo maggiore dissimulato, elemento interpretato dal Tribunale come prova della simulazione, ma disconosciuto dalla Corte di appello.
La parte controricorrente replica al secondo motivo che è erroneo inferire dalla consegna degli assegni firmati dal Sig. NOME COGNOME che egli ha agito come rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Si sostiene che il Sig. COGNOME avrebbe agito come falsus procurator, privo di procura formale rilasciata dalla società, la quale non ha mai ratificato il suo operato. Si osserva che la rappresentanza nel contesto di un contratto di cessione d’azienda richiede la stessa forma scritta del contratto stesso, e che la consegna di assegni non può costituire prova scritta del potere rappresentativo, trattandosi di atti aventi natura astratta, autonoma e letterale. In tal senso, si richiama il principio secondo cui un assegno emesso dal rappresentato in esecuzione di un contratto concluso senza poteri dal rappresentante non può costituire ratifica per iscritto del contratto stesso. Si sottolinea inoltre che gli assegni costituiscono documenti che, per loro natura di titoli di credito, non rappresentano la causa sottostante e non sono idonei a provare né il potere rappresentativo né l’accordo simulatorio, nonostante le somme possano coincidere con quelle indicate nel contratto preliminare. Infine, si afferma che i ricorrenti non hanno prodotto alcun documento scritto comprovante il potere rappresentativo di NOME COGNOME per la RAGIONE_SOCIALE, nonostante ciò fosse necessario, dato il carattere formale richiesto per la cessione d’azienda e per l’attribuzione dei relativi poteri rappresentativi.
4. – Il terzo motivo, p. 14 denuncia che la Corte di appello ha ritenuto inammissibile la prova presuntiva relativa alla simulazione del prezzo. Si afferma, invece, che gli assegni costituiscano principio di prova scritta ai sensi dell’art. 2724 co. 1 c.c., rendendo ammissibile la prova testimoniale e presuntiva. Si deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1417, 2722, 2724, 2725, 2729 e 2697 c.c. In particolare, si critica la Corte territoriale per avere ritenuto inammissibile la prova presuntiva per difetto di una controdichiarazione scritta coeva al contratto di cessione d’azienda e ha escluso che la coincidenza tra importi e scadenze degli assegni e il prezzo del contratto preliminare fosse sufficiente a provare la simulazione. Tale conclusione contrasta con la consolidata giurisprudenza che ammette presunzioni volte a chiarire l’effettiva volontà delle parti, superando i limiti legali di ammissibilità della prova orale di cui all’art. 2722 c.c. Inoltre, l’art. 2724 c.c. consente l’uso della prova presuntiva in presenza di un principio di prova scritta, e nel caso di specie, gli assegni costituiscono tale principio di prova, avendo origine da un rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE e trovando riscontro logico nella coincidenza con il prezzo del preliminare. La Corte avrebbe altresì errato nell’interpretare il contratto preliminare come prova irrilevante in quanto assorbita dal contratto definitivo. Infatti, la controdichiarazione è un mero atto di accertamento della simulazione e non deve necessariamente essere contemporanea all’atto simulato. Inoltre, la corresponsione degli assegni va intesa come atto unilaterale dedotto come fatto storico, esente dagli obblighi formali di cui all’art. 2725 c.c. La critica prosegue evidenziando che la controparte ha introdotto, nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c., capitoli di prova sulla funzione di garanzia degli assegni, riconoscendo implicitamente la possibilità di utilizzare tali mezzi di prova. Tale condotta equivale a una rinuncia all’ecce zione di inutilizzabilità della prova presuntiva. In conclusione, si sostiene che la
prova presuntiva, esclusa dalla Corte di appello, avrebbe dovuto essere ritenuta ammissibile alla luce dei principi sopra esposti.
La parte controricorrente replica al terzo motivo che la tesi secondo cui gli assegni emessi dal Sig. NOME COGNOME costituirebbero principio di prova scritta dell’accordo simulatorio è priva di fondamento, poiché tale dimostrazione si basa su prove presuntive, non ammesse nei casi in cui la prova deve essere prodotta per iscritto, come previsto per la cessione d’aziend a. Si rileva, inoltre, che la prova scritta sarebbe idonea solo nel caso in cui fosse già stato dimostrato che NOME COGNOME aveva il ruolo di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE; diversamente, l’emissione degli assegni non potrebbe contemporaneamente valere come prova presuntiva sia del potere di rappresentanza del COGNOME sia dell’accordo simulatorio, poiché ciò configurerebbe una praesumptio de praesumpto, espressamente vietata. Si osserva che, a norma dell’art. 115 c.p.c., i ricorrenti sostenevano che la relazione di immedesimazione organica tra il Sig. NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE poteva essere dedotta dai capitoli di prova della seconda memoria istruttoria, in cui si descriveva la consegna degli assegni come garanzia impropria per il pagamento del prezzo indicato nel contratto definitivo. Tuttavia, tale affermazione è priva di fondamento, poiché le dichiarazioni contenute in quei capitoli di prova riguardano solo la consegna degli assegni come garanzia per il prezzo indicato nel contratto definitivo di € 180.000,00 e non implicano alcuna ammissione di un accordo simulatorio da parte della F.lli COGNOME RAGIONE_SOCIALE Si conclude che l’asserzione secondo cui la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe ammesso giudizialmente un accordo simulatorio è infondata, dato che la consegna degli assegni rappresentava un’iniziativa individuale del Sig. NOME COGNOME e non una condotta concordata con la società. Le garanzie fornite erano comunque riferite al prezzo del contratto definitivo, non avendo quindi alcun valore probatorio della simulazione.
5. – Di seguito si riportano le parti salienti della sentenza impugnata: «Giova premettere che qualora, come nel caso di specie, alla stipula di un contratto preliminare segua tra le stesse parti la conclusione del contratto definitivo, è quest’ultimo che costituisce esclusiva fonte dei diritti e delle obbligazioni, ciò in quanto il preliminare, facendo sorgere il solo reciproco obbligo di stipulazione del definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina pattizia, anche se diversa da quella prevista con il preliminare, configura un nuovo accordo ed è perciò l’unica regolamentazione del rapporto, sicché la presunzione di conformità di tale accordo alla volontà delle parti può essere vinta soltanto dalla prova -che deve risultare da atto scritto ove ciò, come nella specie, sia prescritto dalla norma -di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo. È dunque evidente che nella concreta vicenda in delibazione alcun valido elemento di convincimento potesse trarsi dal contenuto del contratto preliminare in relazione al corrispettivo della cessione ivi indicato, in quanto il prezzo riportato nel preliminare non può essere considerato né un principio di prova per iscritto ai sensi dell’art. 2724 del codice civile, né un elemento presuntivo rilevante ai fini della prova ». « Tale prova documentale il Tribunale ha ritenuto di ravvisarla negli assegni rilasciati dal COGNOME NOME a titolo personale ed in quelli oggetto di successiva sostituzione. L’ordine di ragioni seguito dal Tribunale è però, ad avviso di questa Corte, errato scontando un duplice limite. Per un verso è risultata indimostrata l’attribuzione al detto COGNOME NOME di poteri di rappresentanza, anche solo di fatto, della società cessionaria, laddove invece il Tribunale ha affermato che la consegna dei ridetti titoli era stata effettuata ‘in nome e per conto della RAGIONE_SOCIALE COGNOME Per altro verso il Tribunale non ha tenuto conto della qualificazione giuridica di astrattezza dei titoli in discorso soffermandosi invece sulla coincidenza delle date di scadenza e
dell’importo complessivo, finendo così in definitiva per dare rilievo di prova ad una circostanza di grado meramente presuntivo . Ne consegue, in ultima analisi, che essendo mancata la prova scritta della pattuizione simulatoria relativamente al prezzo di cessione dell’azienda l’originaria petizione attorea va rigettata in ciò riformandosi la pronuncia impugnata ».
6. – I primi tre motivi sono fondati nei profili delineati di seguito.
Innanzitutto, tra tali profili non vi è il primo censurato con il primo motivo, cioè che il contratto di cessione di azienda in questione non richieda la forma scritta. È da accogliere al contrario l’obiezione dei controricorrenti che – per quanto è possibile desumere dagli atti – la qualifica di imprenditore commerciale di RAGIONE_SOCIALE non è stata mai messa in discussione. Ne segue che essa è soggetta a registrazione ex art. 2195 c.c. e che, quindi, il correlativo contratto di cessione di azienda deve essere provato per iscritto ex art. 2556 c.c.
Premesso ciò, il vizio dell’argomentazione della sentenza impugnata risiede nell’impiego che essa fa del principio di diritto secondo il quale « Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare,
sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo » (così, Cass. 9063/2012).
Infatti, l’esordio focalizzato su questo principio (che certamente il Collegio non intende mettere in discussione) ha precostituito una specie di filtro selettivo che ha orientato l’analisi del caso concreto in modo da svalutarne alcuni tratti – messi in luce dal ricorrente nell’arco dei tre motivi – che invece meriteranno una maggiore attenzione nella rinnovata valutazione della vicenda da affidare al giudice di rinvio in via di ricostruzione presuntiva ex art. 2729 c.c. dischiusa dal l’art. 2724 n. 1 c.c., che consente l’uso della prova presuntiva in presenza di un principio di prova scritta, tale essendo nel caso attuale gli assegni emessi da NOME COGNOME. Infatti, « il documento costituente principio di prova per iscritto non deve necessariamente contenere un preciso riferimento al fatto controverso, essendo sufficiente che tra lo scritto e il fatto medesimo esista una nesso logico dal quale scaturisca la verosimiglianza del secondo . Così Cass. 24903/2023 in una fattispecie non dissimile dall’attuale, in cui questa Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ammesso la prova testimoniale della simulazione parziale del prezzo del contratto preliminare di vendita, considerando, come principio di prova scritta, l’assegno bancario rilasciato dal promissario acquirente in favore della società promittente venditrice.
Pur non facendo formalmente parte della compagine sociale dell’impresa acquirente, egli è il padre dei tre soci ed ha svolto (aspetto che non è contestato) un ruolo assolutamente centrale nella trattativa e nella successiva gestione esecutiva del contratto, un ruolo tale da far apparire (specialmente se congiunto al rapporto genitoriale) più verosimile che egli abbia agito come rappresentante di fatto della società, mentre appare meno verosimile che egli abbia agito come falsus procurator (secondo la tesi dei controricorrenti).
D’altra parte, il giudizio di verosimiglianza non è estraneo all’art. 2724 n. 1 c.c.: il principio di prova per iscritto è « qualsiasi scritto,
proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato »; cosicché non è arbitrario ricomprendere nel giudizio di verosimiglianza la qualità di rappresentante (di fatto) della persona da cui proviene il principio di prova (nel caso attuale: gli assegni rilasciati da NOME COGNOME).
In sostanza ciò che si richiede alla Corte di appello in sede di rinvio è di assoggettare l’intera vicenda ad una rinnovata valutazione critica, nel senso appunto della prova critica o per presunzioni. In ciò il giudice di merito sarà « tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (così Cass. 7647/2023). È evidente che, nel caso attuale, un ruolo incisivo dovrà essere affidato al secondo momento, nel senso che la: « successiva valutazione congiunta, complessiva e globale da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza » (così Cass 18327/2023). A mero titolo di esempio, tra tali fatti indizianti rientrano il pezzo indicato nel preliminare, la vicenda dell’emissione degli assegni e il rapporto tra l’entità degli importi di questi ultimi e il prezzo indicato nel preliminare, il ruolo svolto da NOME COGNOME, il contesto negoziale.
Entro i limiti precedentemente delineati i primi tre motivi sono accolti.
7. -L’accoglimento dei primi tre motivi determina l’assorbimento del quarto motivo, p. 16, con cui si denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 1417, 2722, 2729 e 2697 c.c. per
omesso esame delle risultanze probatorie e motivazione apparente. Si sostiene che negli atti di causa e nella documentazione emergeva chiaramente che la società cessionaria aveva avanzato una domanda di risarcimento danni, la cui reiezione l’aveva poi indo tta a disconoscere il prezzo effettivo pattuito e a richiedere di modificare i pagamenti concordati.
8. Il quinto motivo, p. 18, denuncia l’omessa valutazione dell’esecuzione, ancorché parziale, del contratto in modo incompatibile con quanto indicato nel definitivo, costituendo quindi piena prova della effettiva volontà delle parti. Si segnala che il pagamento di somme eccedenti il prezzo indicato nel contratto definitivo e l’assenza di riserva di ripetizione avrebbero dovuto essere considerati elementi determinanti. In particolare, si denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 1417 e 2697 c.c. per omessa valutazione di fatti decisivi. Si evidenzia che la Corte di appello non ha considerato che la sentenza di primo grado si fondava su prove piene e non su presunzioni. Infatti, il contratto preliminare, indicante il prezzo maggiore concordato, era stato consegnato come controscrittura e la reale volontà delle parti si era manifestata nella consegna e nel pagamento di assegni a garanzia del prezzo maggiore, anche dopo la stipula del contratto definitivo. Si argomenta inoltre che l ‘esecuzione parziale dell’accordo, incompatibile con le condizioni del contratto definitivo, costituiva prova della volontà delle parti di attenersi al prezzo indicato nel preliminare. In particolare, si allega che i pagamenti sono stati eseguiti anche durante la pendenza della causa, per somme superiori di € 20.000 rispetto a quanto stabilito nel definitivo, senza alcuna riserva di ripetizione. Ciò dimostra, si sostiene, il carattere dovuto delle somme e la rispondenza di tali pagamenti alla reale volontà delle parti. Dal prospetto dei pagamenti emerge inoltre che gli assegni relativi alle rate del prezzo del preliminare vennero onorati o sostituiti con pagamenti diretti della società RAGIONE_SOCIALE a ulteriore conferma dell’accordo simulato. La
consegna delle prime tre tranche di pagamento senza contestazioni rafforza la tesi dell’effettiva volontà delle parti di seguire il preliminare.
La parte controricorrente replica al quinto motivo che la Corte di appello ha correttamente ritenuto questa prova come presuntiva, e quindi inammissibile, poiché la volontà contrattuale simulata, quale fatto ignoto, è stata dedotta da fatti noti (contratto preliminare, contratto definitivo e pagamenti effettuati. L’uso di tale prova presuntiva è vietato in quanto l’art. 2556 c.c. richiede la prova scritta per gli accordi di cessione d’azienda. Si afferma inoltre che gli assegni emessi dal sig. NOME COGNOME, essendo titoli di credito astratti, non potevano dimostrare il potere di rappresentanza dello stesso né costituire prova scritta della simulazione. Pertanto, il contratto preliminare doveva considerarsi superato dal definitivo e, nel corso della causa, i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova idonea a sostenere le loro domande.
La parte di sentenza censurata dal quinto motivo è essenzialmente la seguente: « Per altro verso il Tribunale non ha tenuto conto della qualificazione giuridica di astrattezza dei titoli in discorso soffermandosi invece sulla coincidenza delle date di scadenza e dell’importo complessivo, finendo così in definitiva per dare rilievo di prova ad una circostanza di grado meramente presuntivo ».
Il quinto motivo è accolto negli stessi limiti delineati nel paragrafo 6, cui integralmente si rinvia per l’argomentazione. Ne consegue che gli elementi indicati nell’esposizione del motivo, così come le obiezioni dei controricorrenti, dovranno essere assoggettati alla rinnovata valutazione della vicenda in via di ricostruzione presuntiva ex art. 2729 c.c. secondo le indicazioni metodologiche già delineate nel paragrafo 6.
-In sintesi, la Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo nei sensi di cui alla motivazione, dichiara assorbito il quarto motivo, cassa il provvedimento impugnato in relazione ai
motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo, dichiara assorbito il quarto motivo, cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024.