Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19358 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19358 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12891/2021 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME E NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME elettivamente domiciliati in CANAZEI INDIRIZZODOM. DIGITALE), presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TRENTO n. 65/2021 depositata il 05/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente causa riguarda la successione testamentaria di COGNOME NOME, la quale ha lasciato sei figli. La de cuius ha istituito eredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME dichiarando di pretermettere il figlio NOME COGNOME per averlo già liquidato in vita.
Con atto di citazione del 3 novembre 2010 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali discendenti subentranti per rappresentazione nel luogo e nel grado di COGNOME NOME, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trento, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, questi ultimi due in qualità di eredi di COGNOME NOME, al fine di ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni effettuate in vita dalla de cuius in favore dei convenuti NOME NOME e NOME e il conseguente scioglimento della comunione ereditaria, mediante assegnazione agli attori di beni o denaro corrispondenti alla quota di riserva.
Costituitisi, i convenuti chiedevano l’accertamento delle seguenti donazioni effettuata dalla de cuius al figlio premorto NOME: a) donazione avente ad oggetto il credito vantato dalla de cuius nei confronti della figlia NOME, credito derivante dalla vendita, intercorsa fra la de cuius e la stessa NOME, dell’immobile particella ed. 26, sito in Canazei, ora ‘ Chalet Valeruz ‘; b) l’accertamento della simulazione dell’atto di compravendita in data 20 maggio 1976 del medesimo bene stipulato tra il già menzionato figlio NOME e la germana NOMECOGNOME in quanto dissimulante una donazione; c) l’accertamento della simulazione della
compravendita in data 3 giugno 1975 avente ad oggetto la p.f. 307/2 in P.T. 75 C.C. Canazei intercorsa tra la de cuius ed il figlio NOME, trattandosi di donazione fatta dalla genitrice in favore del suddetto NOME. In relazione a tali negozi, i convenuti chiedevano accertarsene la nullità per difetto della forma prescritta per la validità della donazione; chiedevano in subordine, per l’ipotesi che i negozi fossero ritenuti validi, disporsi la collazione del donatum per intero o, in ulteriore subordine, quanto meno nei limiti della parte donata, ricorrendo l’ipotesi del negotium mixtum cum donatione .
Il Tribunale di Trento, con sentenza non definitiva n. 355/2013, accoglieva l’eccezione di inammissibilità delle prove testimoniali volte a dimostrare la simulazione degli atti di compravendita, rigettava le domande riconvenzionali e disponeva la prosecuzione del giudizio per la determinazione del valore del relictum e del donatum ; poi, con sentenza definitiva n. 383/2017, a seguito di riassunzione nei confronti di NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME NOME, deceduto in corso di causa, sulla base della consulenza tecnica, operava la divisione dei beni relitti, in due lotti, uno attribuito agli attori e l’altro ai convenuti.
Contro le sentenze, non definitiva e definitiva, proponevano appello COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME cui resistevano COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’appello di Trento, con sentenza n. 65/2021, per quanto qui rileva, osservava che il primo giudice aveva negato l’utilizzabilità delle prove testimoniali assunte, argomentando che gli eredi non potevano considerarsi terzi rispetto agli atti simulati
posti in essere dalla de cuius , essendo subentrati nella stessa posizione di lei in quanto eredi. La Corte d’appello riteneva erronea tale statuizione, valorizzando il fatto che la prova era stata ammessa ed espletata senza che l’inammissibilità fosse stata eccepita. Nondimeno, secondo la Corte trentina, il rilievo dell’errore commesso dal primo giudice non bastava a giustificare l’accoglimento dell’appello, rimanendo il quadro probatorio, pure arricchito dalle deposizioni, insufficiente ai fini della prova degli assunti dei convenuti, e ciò con riferimento al complesso degli atti di cui i medesimi avevano dedotto la simulazione.
In ordine alla divisione, la Corte d’appello, dopo avere rinnovato nel grado la consulenza tecnica, confermava l’attribuzione, già operata dal primo giudice, del lotto 1, p. ed. 31 agli attori, rigettando la pretesa degli appellanti, i quali pretendevano che l’immobile fosse assegnato in loro favore, in considerazione dei miglioramenti da essi apportati. Quindi la Corte di merito condannava gli appellanti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, fatta eccezione delle spese di consulenza tecnica del primo e del secondo grado, che poneva per metà a carico degli appellanti e per metà a carico degli appellati, riformando su questo punto soltanto la decisione di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidato a quattro motivi. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. ─ I motivi di ricorso possono così riassumersi:
violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di ripartizione dell’onere probatorio e degli artt. 2727 e 2729 c.c. in tema di presunzioni. In presenza di un nutrito numero di indizi chiari precisi e concordanti, che suffragavano l’ipotesi della simulazione , spettava alle controparti dimostrare l’effettività del pagamento. Si sostiene, da parte dei ricorrenti, che le controparti non avevano assolto a tale onere, essendosi limitati a sostenere, senza provarlo, l’avvenuto pagamento del prezzo in contanti. Le testimonianze acquisite su questo aspetto non potevano supplire a tale carenza probatoria;
b) violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente interpretato gli elementi di prova, in particolare il testamento di NOME NOME e la dichiarazione resa da NOME in sede di interpello, avendoli ritenuto contraddittori e in ogni caso travisandone la portata. Invero, il complesso degli elementi istruttori, correttamente interpretati, comprovavano la tesi degli attuali ricorrenti sulla natura liberale dell’acquisto della particella ed. 26 da parte di NOME, realizzato grazie al collegamento fra la cessione del credito e la successiva compravendita;
violazione degli artt. 720 e 727 c.c., per essersi la Corte d’appello limitata ad un mero richiamo delle valutazioni del consulente tecnico sui criteri da seguire nella divisione dei beni ereditati, senza averle supportate con idonei argomenti logicogiuridici, che soli avrebbero consentito di superare, se ineccepibili, l’obbligo di comprendere il bene indivisibile nella porzione dei condividenti titolari della quota maggioritaria;
violazione dell’art. 92 c.p.c., relativamente all’erronea liquidazione delle spese di lite, in quanto operata senza enucleare le spese giustificate dall’interesse comune allo scioglimento della comunione, che andavano regolate diversamente.
Il primo motivo è infondato. La violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 7919/2020; n. 13395/2018; n. n. 15107/2013).
A sostegno della censura i ricorrenti richiamano il principio secondo il quale qualora l’azione di simulazione di una compravendita immobiliare si fondi su elementi presuntivi che, in ottemperanza all’art. 2697 c.c., indichino il carattere fittizio dell’alienazione, l’acquirente ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo, potendosi, in mancanza, trarre elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto, con la precisazione che tale onere probatorio non può, tuttavia, ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile (Cass. n. 18347/2024; n. 5326/2017).
Fatto è, però, che la Corte d’appello ha ritenuto debole il quadro indiziario nel complesso delle prove acquisite. In ogni caso, essa ha poi comunque ritenuto che l’omesso versamento di qualsivoglia corrispettivo «viene messo seriamente in dubbio, e anzi per taluni aspetti efficacemente contraddetto dalle deposizioni».
La Corte d’appello, quindi, non è incorsa in alcuna violazione del criterio di riparto, ma ha fatto una valutazione degli elementi istruttori, cui i ricorrenti intendono opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (fra le tante, Cass. n. 21381/2006, Cass. n. 8758/2017, Cass., sez. un., n. 34476/2019).
Anche in tema di presunzioni il libero convincimento del giudice di merito è sindacabile in cassazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., e cioè quando il giudice abbai omesso l’esame di un elemento indiziario, il quale veicoli un fatto storico decisivo idoneo a ad invalidare, con un giudizio di certezza, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, nonché quando la motivazione non sia rispettosa del minimo costituzionale (Cass. n. 10253/2021); che non sono affatto le ipotesi prospettate con il motivo o comunque ravvisabili rispetto alla sentenza impugnata, che non è incorsa in alcun vizio di omesso esame, né tantomeno essa è affetta da motivazione assente, come emergerà con evidenza dall’esame del secondo motivo.
3. Il secondo motivo è infondato . È stato precisato al riguardo (cfr. Cass. n. 825/2021; Cass. n. 24395/2020; ed altre) che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte
dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali.
La censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per errata lettura dei documenti processuali è inammissibile, in quanto tale valutazione resta affidata al discrezionale apprezzamento del giudice del merito.
In relazione a tali principi, deve ritenersi che, al pari della censura veicolata dal primo motivo, anche la censura in esame si risolve in una inammissibile pretesa di rivalutazione del fatto, avendo la sentenza impugnata esaminato le prove e svolto le proprie argomentazioni. In particolare, con riferimento all’asserita simulazione dell’atto di compravendita stipulato tra NOME NOME e il figlio NOME -avente ad oggetto la p.f. 307/2 in P.T. 75 C.C. Canazei -la Corte d’appello ha rilevato che l’assunto degli appellanti, circa l’omesso versamento del corrispettivo, era contraddetto dalle deposizioni testimoniali; e quanto agli elementi indiziari addotti a sostegno della domanda, la Corte di merito li ha ritenuti non decisivi, tenuto conto anche del testamento della de cuius , la quale, nel motivare la preterizione del figlio NOME, richiamava solo la cessione del credito, senza menzionare ulteriori liberalità.
Per quanto attiene, invece, all’immobile p. ed. 26 in P.T. 991 C.C. Canazei, la Corte distrettuale ha messo in luce innanzitutto l’intrinseca contraddizione che emergeva dal testamento di NOME NOME e quanto dichiarato in sede di interrogatorio formale della figlia NOME NOME. Ed invero, secondo l’atto testamentario della COGNOME, la prima cessione dello ‘ Chalet Valeruz ‘ in favore della figlia NOME sarebbe avvenuta a titolo oneroso e, in forza di questa, sarebbe sorto il credito poi ceduto al figlio NOME e da questi utilizzato per il pagamento del prezzo nel momento successivo in cui NOME gli aveva trasferito l’immobile; dall’altro lato, sulla base delle risposta date in sede di interrogatorio formale da NOME, entrambi i passaggi di titolarità sull’immobile sarebbero avvenuti a titolo gratuito, trattandosi di atti di liberalità della madre, pur senza la retrocessione formale del bene a quest’ultima da parte della figlia. Si deve tuttavia sottolineare che, nonostante il rilievo di tali contraddizioni, la Corte distrettuale ha comunque esaminato gli elementi probatori acquisiti alla causa, ritenendoli inidonei a dimostrare tanto l’esistenza del credito asseritamente ceduto quanto la sua cessione a titolo gratuito in favore del figlio pretermesso.
Pertanto, l ‘esame della decisione impugnata rende palese che i ricorrenti, sotto l’egida della violazione si legge, intendono ripetere il giudizio sul fatto, che non può essere riproposto in sede di legittimità. Il giudizio di fatto è, invero, riservato al giudice del merito, laddove il motivo mira a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte ricorrente, prospettando una mera migliore valutazione dei dati acquisiti. Onde tali aspetti del giudizio restano
interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, di pertinenza esclusiva del giudice del merito, ma preclusi in sede di legittimità, trattandosi di una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. 4. Il terzo motivo è infondato. Le norme concernenti le ipotesi di indivisibilità assumono – rispetto alla normale divisibilità dei beni carattere di eccezioni limitative, la sussistenza delle situazioni da esse previste deve essere accertata rigorosamente, dovendosi assicurare, finché possibile, la salvaguardia del diritto del singolo compartecipe ad ottenere lo scioglimento della comunione e l’assegnazione in natura della parte di sua spettanza (Cass. n. 2309/1981; cfr. n. 7083/1995; n. 12406/2007; n. 14577/2012). Nel ricorso è dato per scontato la ricorrenza dell’essenziale presupposto dell’indivisibilità; tuttavia, l’assunto è in contrasto con il contenuto della sentenza, la quale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha operato la divisione ai sensi degli artt. 718 e 727 c.c., tramite ripartizione dei beni comuni fra i due gruppi di condividenti. Invero, la Corte territoriale, sulla scorta delle conclusioni della C.T.U., rinnovata nel grado di appello, ha fatto propria l’ipotesi divisionale recepita dal giudice di primo grado, ritenendo non sussistenti i presupposti per la realizzazione delle due ipotesi divisionali prospettate dagli appellanti nei propri scritti difensivi, atteso che per esse non venivano raggiunte le necessarie convergenze sui nodi critici.
Si ricorda che nella comunione ereditaria, in quanto ha per oggetto una massa di beni individuati per universitatem , il diritto di ciascun coerede alla quota in natura, sancito dall’art. 718 c.c., non significa diritto a una porzione di ciascun bene bensì, come chiarisce il primo
comma dell’art. 727, diritto a una porzione formata per, quanto possibile in modo da riprodurre la composizione qualitativa della massa. La divisione non avviene, per regola, dividendo i singoli beni della massa, ma distribuendoli nelle varie porzioni, secondo un criterio di proporzione non solo quantitativa, ma anche qualitativa (Cass. n. 17862/2020; n. 8286/2019; n. 15105/2000). Trattandosi di immobili è frequente il caso che non si possa distribuirli nei vari lotti secondo il criterio indicato, o perché non si trovano in numero sufficiente a tale scopo o perché qualitativamente diversi o di valore troppo disuguale. La divisione si effettua allora mediante il loro frazionamento, se sono comodamente divisibili, altrimenti sorge il problema risolto dall’art. 720 c.c. È noto che tale norma detta una particolare disciplina per gli immobili non comodamente divisibili ovvero il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia o dell’igiene. Essi devono preferibilmente essere compresi nelle porzioni di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nella porzione di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto (Cass. n. 36736/2022). In base a tale posizione teorica, unanime in giurisprudenza, la disciplina dettata dall’art. 720 c.c., finisce per caratterizzarsi, oltre che per la sua eccezionalità, per il carattere del tutto eventuale del tipo di giudizio che viene demandato all’interprete. Solo la presenza nell’asse di immobili in numero inferiore ai condividenti o qualitativamente troppo diversi o di valore troppo disuguale rende attuale il problema del frazionamento.
In rapporto al contenuto della sentenza il richiamo dell’art. 720 c.c., operato dai ricorrenti, è pertanto fuori luogo, risolvendosi
piuttosto la censura nel rimprovero, mosso alla Corte d’appello, di aver preferito un progetto di divisione rispetto ad altre soluzioni, che i ricorrenti ritengono preferibili: il che costituisce oggetto di valutazione di merto incensurabile in questa sede.
5. Il quarto motivo è infondato. La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui nei procedimenti di divisione giudiziale, le spese occorrenti allo scioglimento della comunione vanno poste a carico della massa, in quanto effettuate nel comune interesse dei condividenti, trovando, invece, applicazione il principio della soccombenza e la facoltà di disporre la compensazione soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione (Cass. n 22903/2013).
Infatti, sono state poste a carico di tutte le parti le spese sia della consulenza di primo grado, sia della consulenza fatta in appello; mentre sono state regolate secondo il criterio della soccombenza le spese di causa. Secondo i ricorrenti la corretta applicazione del principio di cui sopra avrebbe imposto alla Corte d’appello di ulteriormente distinguere fra prima fase del giudizio di primo grado, fino alla sentenza non definitiva, e la fase successiva. In questo senso, però, l’assunto costituisce petizione di principio, non comprendendosi la ragione per la quale si dovrebbero considerare fatte nell’interesse comune le spese di difesa sostenute nell’ambito di una divisione giudiziale definita con sentenza, evidentemente in presenza di contestazione persino riproposte in appello proprio dagli attuali ricorrenti. Proprio al fine di dare risposta alle obiezioni degli appellanti la Corte di merito ha rinovato la consulenza tecnica, tuttavia confermando la ripartizione operata con la sentenza di primo grado.
Per completezza di esame, si rileva che, a sostegno della infondata censura, i ricorrenti richiamano Cass. n. 1635/2020 e Cass n. 3083/2006, che non fanno altro che ribadire il noto principio destinato a governare le spese nei giudizi divisori. Quanto al richiamo di Cass. n. 21184/2015, il medesimo è palesemente fuori luogo, discutendosi in quel caso sull’opposizione proposta avverso decreti di liquidazione del compenso spettante a soggetti nominati rispettivamente direttore ed esecutore dei lavori nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata di sentenza di divisione ereditaria.
6. In conclusione, il ricorso deve essere interamente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti, liquidate in € 6.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda