Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6663 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6663 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2233/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), giusta procura speciale in atti
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME , difeso in proprio ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
NOME (CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende, in via disgiunta, giusta procura speciale in atti
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME -intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE DI APPELLO DI MILANO n. 3208/2022 depositata il 13/10/2022; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano NOME COGNOME, la di lui moglie NOME COGNOME e il loro figlio NOME COGNOME, chiedendo di accertare e dichiarare la nullità o l’inefficacia per simulazione assoluta dell’atto pubblico di vendita con il quale, in data 13/02/2002, NOME COGNOME aveva concesso al figlio il diritto di abitazione sull’immobile di sua proprietà, sito in Milano, INDIRIZZO, riservando per sé e la moglie, unitamente alla piena proprietà, il diritto di abitazione.
Si costituiva NOME COGNOME, chiedendo il rigetto della domanda, mentre rimanevano contumaci NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con sentenza n. 3578/2020 il Tribunale di Milano rigettava la domanda attorea.
NOME COGNOME interponeva gravame avverso tale sentenza, reiterando le domande avanzate in primo grado. NOME COGNOME resisteva in giudizio. Gli altri convenuti rimanevano contumaci.
Con sentenza n. 3208/2022, la Corte d’Appello di Milano accoglieva l’appello, dichiarando la nullità dell’atto di compravendita oggetto del giudizio per simulazione assoluta.
In particolare, la Corte territoriale:
-accoglieva il primo motivo di appello, riguardante la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1022, 2729 c.c. e 112 c.p.c., data l’incompatibilità della disposizione con cui il proprietario da un lato costituiva il diritto di abitazione in favore de l figlio, mentre dall’altro si riservava il pieno e totale possesso dell’immobile, originando un negozio, nullo per mancanza di causa a seguito di simulazione assoluta;
-riteneva fondato il motivo di appello in ordine alla mancata prova dell’avvenuto pagamento del prezzo per la costituzione del diritto di abitazione;
-accoglieva anche il terzo motivo di gravame, posto che il diritto di abitazione non è mai stato concretamente esercitato, in quanto il bene è stato utilizzato per finalità non abitative, essendo destinato a sede della società in accomandita di famiglia ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e della RAGIONE_SOCIALE
Nei confronti di tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidando le sue doglianze a quattro motivi.
NOME COGNOME ha depositato controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto inammissibile e comunque infondato.
A seguito di proposta di definizione accelerata formulata dal Consigliere delegato per inammissibilità/infondatezza del ricorso, il ricorrente ha chiesto la decisione del giudizio ex art. 380 bis c.p.c.
In prossimità dell’adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’omesso esame dell’effettivo esercizio del diritto di abitazione, quale fatto decisivo ai fini del giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata sancito la simulazione assoluta dell’atto di costituzione del diritto di abitazione, omettendo di considerare che il ricorrente ha effettivamente esercitato il diritto di abitazione, mediante la destinazione dell’immobile ad abitazione p ropria e del proprio nucleo familiare, con realizzazione dell’effetto tipico del negozio.
2.Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, commi 1 e 2, e 1367 c.c., ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il mero dato letterale della clausola con la quale NOME COGNOME ha riserv ato a sé il diritto di abitare l’immobile con il figli o e la di lui famiglia, rivelerebbe la contraddittorietà dell’atto, che sarebbe nullo per mancanza di causa.
Una simile conclusione viola:
-l’art. 1362 comma 1, c.c., che impone all’interprete di muovere prioritariamente dal tenore letterale del contratto, il quale non attribuisce ad NOME COGNOME un diritto di proprietà pieno ed esclusivo sull’immobile, ma solo la facoltà di abitare l’imm obile ‘unitamente al figlio’ NOME COGNOME e alla sua famiglia;
-l’art. 1367 c.c., in forza del quale la Corte distrettuale avrebbe dovuto accogliere un’interpretazione che cogliesse la compatibilità tra le clausole del contratto in questione;
-l’art. 1362, commi 1 e 2 c.c., posto che non sarebbe stata indagata la comune intenzione RAGIONE_SOCIALE parti, tramite la valutazione del loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto e la circostanza che NOME COGNOME e la sua famiglia hanno abitato l’appartamento, mentre il concedente ha abitato altrove.
3.Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1022 c.c., ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per avere la Corte di appello meneghina affermato che il diritto di abitazione svuota quello di proprietà, quando il primo limita, ma non esclude del tutto il diritto di proprietà del concedente e il di lui diritto di coabitare l’immobile, ove ciò non impedisca lo ius habitationis del titolare dell’abitazione.
4.Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1022 c.c. e dell’art. 1418 c.c., ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., contestando la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’utilizzo del bene immobile, gravato da diritto di abitazione, come sede di società di famiglia sarebbe incompatibile con lo stesso diritto e determinerebbe la nullità dell’atto con cui lo stesso è stato costituito, non risultando all’ habitator preclusa qualsiasi attività professionale che non determini un’alterazione qualitativa della preminente funzione abitativa.
5.Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha affermato la simulazione assoluta dell’atto di costituzione del diritto di abitazione sulla base di elementi che
integrerebbero presunzioni gravi precise e concordanti, e precisamente la clausola dell’atto costitutivo del diritto reale di godimento che attribuisce al proprietario e alla di lui moglie la facoltà di abitare l’immobile, unitamente al beneficiario e alla famiglia di quest’ultimo , senza alcuna limitazione quantitativa o temporale; l’assenza di prova da parte del beneficiario di aver effettivamente pagato il prezzo indicato nel rogito; il mancato concreto esercizio del diritto di abitazione da parte del COGNOME, confermato dall’utilizzo dell’immobile quale sede di società commerciali, dunque con destinazione a finalità estranee e non connesse con quelle abitative.
A dispetto del vizio invocato, le deduzioni del ricorrente secondo le quali la Corte distrettuale avrebbe omesso di prendere in considerazione il fatto dell’effettivo utilizzo dell’immobile quale abitazione familiare di NOME COGNOME si risolvono in censure di merito relative all’accertamento del fatto e alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove acquisite; profili del giudizio, questi ultimi, che non sono sindacabili in sede di legittimità (cfr., ex multis, Cass., Sez. U., sentenza n. 898/1999).
Ciò si evince chiaramente dal contenuto del ricorso, nel quale (cfr. pag. 8) si parla di ‘ differente valutazione degli altri profili valorizzati dalla sentenza impugnata, che – in un contesto fattuale correttamente ricostruito …. risultano inidonei rivelare la pretesa simulazione dell’atto ‘.
Deve aggiungersi che, proprio con specifico riferimento alla prova della simulazione di un contratto, questa Corte ha avuto modo di precisare che ‘ nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano
secondo l'”id quod plerumque accidit”, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico ‘ (tra altre decisioni: Cass. n. 36478/2021; n. 29540/2019).
Nel caso in esame la prova dell’esistenza della dedotta simulazione non è stata desunta da un’unica circostanza ma da una serie di circostanze convergenti, sopra riportate, con una motivazione che sfugge ai rilievi avanzati dal ricorrente.
6.Il secondo m otivo è anch’esso inammissibile.
Deve anzitutto ricordarsi che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o di motivazione radicalmente inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicché, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione RAGIONE_SOCIALE norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).
D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una RAGIONE_SOCIALE possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non
può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che -come nel caso di specie – si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva propost o l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fat to che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
È stato inoltre affermato che ‘ il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 cod. civ. – sussidiario rispetto a quello principale di cui all’art. 1362 comma 1 cod. civ. – condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso l’interpretazione sostitutiva della volontà RAGIONE_SOCIALE parti ‘ (Cass. n. 28357/2011) .
Le censure, comunque, non colgono la ratio della pronuncia impugnata, la quale ha ritenuto la riserva in capo al proprietario del diritto di abitare l’intero immobile (definita dalla sentenza un ‘actus contrarius’ ) incompatibile -per riconosciuta simulazione dell’atto con la volontà dichiarata dalle parti di costituire il diritto di abitazione in capo al ricorrente (sull’applicabilità anche all’abitazione dell’est inzione per confusione ex art. 1014 comma 2 c.c. cfr. Cass. n. 15667/2019, in motiv., p. 10).
A nulla valgono le considerazioni del ricorrente, secondo le quali l’atto oggetto del giudizio ‘ non attribuisce ad NOME COGNOME ‘il diritto di proprietà pieno ed esclusivo dell’immobile’ … ma gli riconosce esclusivamente la facoltà di ‘abitare l’immobile … unitamente al figlio NOME COGNOME e alla sua famiglia ” , visto che le facoltà esprimono e costituiscono comunque il contenuto del diritto. Nella specie non si è verificata alcuna compressione della
facoltà di godimento del proprietario-concedente atta a restringere la piena proprietà fino alla nuda proprietà , espressione dell’elasticità del dominio e tipica della costituzione di un diritto minore su cosa altrui.
7.Il quarto motivo è infondato.
La sentenza impugnata è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui il limite sancito dall’art. 1022 c.c., riguardo ai bisogni del titolare del diritto di abitazione e della sua famiglia, deve essere inteso come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l’abitazione diretta dell'”habitator” e dei suoi familiari (cfr. in particolare Cass., Sez. 2, Sent. n. 14687/2014). È dunque esente da censure la statuizione della Corte distrettuale, che ha ravvisato nella destinazione dell’immobile a sede di società commerciali (precisamente, le società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) ulteriori elementi di conferma circa il mancato esercizio in concreto del diritto di abitazione.
Questa conclusione non muta neppure tenendo in considerazione che l’uso del titolare del diritto di abitazione su ll’immobile oggetto della sua costituzione non risulta incompatibile con le attività di lavoro – dipendente ma anche professionale – che si svolgono all’interno dell’alloggio (quali le forme di c.d. lavoro agile incrementate dall’era della pandemia), quando le stesse risultino intimamente connesse alle esigenze della persona.
Tale non risulta essere il caso de quo , in cui l’abitazione era stata destinata a sede anche di società di capitali, costituita nella forma della società per azioni.
8.In conclusione, per quanto argomentato, il ricorso va rigettato e parte ricorrente deve essere condannata al rimborso RAGIONE_SOCIALE
spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
Essendo la decisione resa in tema di procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380 bis c.p.c. novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere inoltre condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE ulteriori somme ex art. 96 commi 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, c.p.c. in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: Cass. S.U. 27195/2023).
9.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P .R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di RAGIONE_SOCIALEzione rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Condanna altresì parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 2.000,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96 comma 4 c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione