Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20844 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20844 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27383/2020 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME
-controricorrentinonché contro COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 67/2020 depositata il 20/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che :
-la presente controversia trae origine da un contratto preliminare intercorso fra COGNOME NOME e COGNOME in data 3 gennaio 2002;
-precisamente COGNOME NOME, quale procuratore generale del padre COGNOME NOME, ha promesso di vendere al Maglia un complesso immobiliare, per il prezzo pattuito di € 200.000;
-il NOME ha chiamato in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia, gli eredi di COGNOME NOMECOGNOME chiedendo l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c. e la condanna dei convenuti al risarcimento del danno;
-in subordine, ha chiesto accertarsi il proprio diritto al recesso dal contratto, con condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo pagato e al versamento del doppio della caparra (sulla base dell’esposizione operata dall’attore, l’acquirente aveva versato la somma di € 50.000,00 al momento della sottoscrizione e il resto in 15 rate mensili di € 10.000,00 ciascuna a decorrere dal febbraio 2002);
-il giudice di primo grado ha rigettato la domanda, ritenendo che, in rapporto al contenuto del preliminare, il quale comprendeva anche beni di proprietà non del rappresentato, ma del coniuge COGNOME non ci fossero i presupposti per la pronunzia di una sentenza costitutiva;
-il giudice ha parimenti rigettato le domande subordinate dell’attore, ritenendo che non fossero maturate le condizioni contrattuali che avrebbero reso esigibile l’obbligazione del promittente venditore di procurarsi la proprietà del bene appartenente al terzo;
-in altre parole, il Tribunale ha negato, già in via di principio, l’inadempimento degli eredi del promittente venditore (ossia il fatto posto a fondamento del complesso delle domande attoree) e in ragione di ciò, in una supposta applicazione del principio della ‘ragione più liquida’, ha ritenuto di poter definire la causa senza esaminare le plurime eccezioni di nullità del contratto formulate dai convenuti;
-la Corte d’appello di Catanzaro, adita dal COGNOME, non condivideva l’impostazione del Tribunale, riconoscendo che, in linea di principio, potesse ipotizzarsi l’inadempimento degli eredi di COGNOME NOME, sub specie di mancata acquisizione della proprietà del bene del terzo e/o di consenso del medesimo al trasferimento;
-nondimeno, la domanda, secondo la Corte territoriale, non era ugualmente accoglibile, essendo fondata, secondo il giudice d’appello, l’eccezione di simulazione assoluta del contratto, che la sentenza impugnata assumeva proposta dagli appellati e riproposta in appello;
-in particolare, l’eccezione era ravvisata dalla Corte di merito in quelle deduzioni di parte in cui si denunziava che il contratto era un’operazione fraudolenta di COGNOME Giovanni;
-sul piano della prova della simulazione la sentenza valorizzava una pluralità di elementi indiziari, desunti in particolare dal contenuto anomalo del preliminare, quanto al prezzo, tempi e modalità di pagamento;
-il rilievo della simulazione assoluta del contratto comportava, nella valutazione del giudice d’appello, l’irrilevanza delle quietanze;
-per la cassazione della decisione NOME ha proposto ricorso sulla base di tre motivi: il primo motivo denunzia violazione degli artt. 112 c.p.c. e 2909 c.c., deducendosi che le controparti non avevano proposto, né in primo grado d’appello, alcuna eccezione di simulazione; il secondo denunzia violazione degli artt. 1414, 1417 c.c. e 112 c.p.c., rimproverandosi alla Corte d’appello di avere riconosciuto la simulazione assoluta in forza della prova per presunzioni, che era invece preclusa in quanto la simulazione era stata opposta dagli eredi del contraente; con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 112 c.p.c. e degli artt. 2732, 1414, e 1417 c.c., sostenendosi che la Corte d’appello ha riconosciuto la simulazione delle quietanze in assenza di eccezione e perché, comunque, ha utilizzato la prova per presunzioni, che non è ammissibile nel caso in esame, non essendo gli eredi del COGNOME terzi rispetto alla promessa di vendita;
–COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso;
–COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME restano intimati;
-le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
-il primo motivo è infondato in tutte le sue articolazioni;
-la constatazione del giudice d’appello in ordine alla proposizione e riproposizione, da parte degli appellati, dell’eccezione «secondo la quale il contratto null’altro sarebbe che il frutto di un’operazione
fraudolenta» trova precisa conferma negli scritti difensivi richiamati, il cui esame è consentito alla Corte di cassazione in considerazione della natura, di error in procedendo , del vizio dedotto (Cass. n. 20716/2018);
-si deve aggiungere che le deduzioni inziali valorizzate dalla Corte d’appello sono ampiamente trascritte nel controricorso;
-ciò posto, l’interpretazione della Corte d’appello, nella parte in cui ha ravvisato nella deduzione di cui sopra un’eccezione di simulazione assoluta, è del tutto corretta, non richiedendo una tale eccezione, al pari di qualsiasi altra eccezione, l’uso di formule sacrali, essendo invece sufficiente che la volontà della parte emerga dal contenuto sostanziale dell’atto (Cass. n. 8225/2004; n. 2256/1963);
-in questo senso, la denunzia del carattere fraudolento di una operazione, che, secondo la prospettazione di parte, sarebbe stata attuata dal rappresentante ‘con un prestanome nullatenente’, senza la reale previsione di un prezzo, costituiscono deduzioni che, nel contesto complessivo degli atti, ben si prestano ad essere intese alla stregua di un’eccezione volta a far valere un fenomeno di apparenza negoziale;
-è del pari infondata la censura di violazione del giudicato;
-il giudicato è ravvisato dal ricorrente in quella affermazione con la quale il primo giudice avrebbe riconosciuto ‘la validità della promessa di vendita’;
-in verità, tale affermazione della sentenza del tribunale costituisce un semplice passaggio argomentativo inserito pur sempre nella prospettiva della supposta ‘ragione più liquida’ , identificata ne ll’inesistenza dell’inadempimento imputabile, essendo il promissario a conoscenza della proprietà del terzo;
-in altre parole, il primo giudice ha negato i presupposti dell’inadempimento già in linea di principio, ciò che gli ha consentito di rigettare la domanda senza esaminare nello specifico le eccezioni dei convenuti;
-infatti, si legge nella sentenza di primo grado « anche in virtù del cd. criterio della ragione più liquida, infatti, le domande (così come) proposte da NOME COGNOME sono infondate (compresa quella restitutoria, dato che il contratto preliminare non viene meno per recesso ex art. 1385 c. II c.c.), senza che vi sia la necessità di approfondire tutte le difese dei convenuti, che quindi restano assorbite»;
-gli appellati, pertanto, non avevano altro onere se non quello di riproporre in appello le stesse eccezioni proposte in primo grado, cosa che hanno puntualmente fatto;
-vale infatti il principio secondo cui «la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo» (Cass., S.U., n. 13195/2018);
-è infondato anche il secondo motivo, anche se la motivazione della Corte d’appello calabrese deve essere in parte integrata ai sensi dell’art. 384, comma 4, c.p.c.;
-la Corte d’appello, pur avendo riconosciuto che gli eredi del rappresentato non potevano ritenersi terzi, ha ritenuto nondimeno ammissibile la prova per presunzioni della simulazione assoluta, nonostante l’oggetto immobiliare del preliminare (artt. 1417, 2724, 2725, 2729 c.c.);
-nel controricorso si sostiene che il giudice avrebbe implicitamente fatto leva sulla posizione della COGNOME, terza rispetto al contratto;
-il rilievo non è decisivo, perché ammessa e non concessa la possibilità di riconoscere la legittimazione della Perri a far valere la simulazione, il problema non era risolto, in quanto gli eredi non avrebbero potuto giovarsi della prova offerta dal terzo: «In tema di prova della simulazione, la parte (o i suoi successori universali) ed un terzo che agiscano, nello stesso processo, per l’accertamento della simulazione di un contratto intercorso tra la parte stessa ed un altro soggetto, sono, tra loro, litisconsorti soltanto facoltativi (e non necessari, atteso che, nei confronti del terzo, nella ipotesi di sua inerzia processuale, non risulterebbe in nessun caso adottabile un provvedimento di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. con la conseguenza che, per effetto del diverso regime probatorio di cui all’art. 1417 c.c. (connesso alla diversità delle situazioni di diritto sostanziale in cui versano le parti del negozio simulato ed i terzi), è ben possibile che lo stesso negozio, alla stregua delle emergenze probatorie in concreto acquisite, debba essere dichiarato simulato rispetto al terzo, e non anche nei riguardi della parte – pur se parte e terzo agiscano nello stesso processo e con riferimento alla medesima convenzione negoziale -, non essendo consentito, in punto di diritto, il riconoscimento, a taluni dei litisconsorti facoltativi (quale, nella specie, la parte del negozio in contestazione), della possibilità di ottenere una
declaratoria di contenuto più ampio rispetto a quella cui avrebbero potuto aspirare in caso di autonomo esperimento della propria azione in un diverso processo» (Cass. n. 326/1999; n. 13963/2005) ;
-sul piano delle illazioni, forse, si potrebbe più verosimilmente sostenere che, stante il carattere assoluto della eccepita simulazione, le presunzioni siano state ammesse avendo il giudice implicitamente ritenuto l’esistenza di un principio di prova scritta, ciò che consente appunto, ai sensi dell’art. 2724 c.c., la prova per presunzione della simulazione assoluta anche di contratti per cui è prevista la forma scritta ad substantiam (cfr. Cass. n. 10240/2007)
tuttavia, non è minimamente necessario accertare il fondamento di tali illazioni, perché, nella specie, esiste una ragione assorbente che rende incondizionatamente ammissibile la prova per presunzioni della simulazione, a prescindere dal carattere assoluto o relativo della medesima, derivante dalla qualità di terzi anche degli eredi del rappresentato;
-in generale, la nozione di terzo abbraccia tutti coloro che non abbiano partecipato all’accordo simulatorio, cosicché ne sono esclusi i contraenti ed i loro successori a titolo universale;
-la qualità di terzo è stata riconosciuta da questa Corte, fra l’altro, in favore del mandante, non partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio, rispetto al contratto concluso dal mandatario con rappresentanza (Cass. n. 6235/1980; n. 125/2000; n. 10743/2008);
-è stato così chiarito che «la prova della partecipazione del rappresentato all’accordo simulatorio occorre se ad agire per la simulazione sia un terzo che tragga pregiudizio dall’atto e che agisca contro il rappresentato ed il rappresentante (Cass. n.
8530/2001), non quando ad agire sia il rappresentato stesso che quindi in qualità di terzo rispetto al negozio può fornire la prova della simulazione “senza limite” ai sensi dell’art. 1417 c.c., pertanto, sia a mezzo di testimoni che di presunzioni senza che occorra la prova della sua partecipazione all’accordo simulatorio» (Cass. n. 20107/2009);
-con il motivo in esame il ricorrente censura, inoltre, il ragionamento presuntivo proposto dal giudice d’appello;
-per questa parte la censura è inammissibile, richiedendosi dalla Corte di merito una rivisitazione del fatto non consentita in questa sede;
-ed invero, il ragionamento presuntivo della Corte d’appello, fondato su una pluralità di elementi richiamati analiticamente nella sentenza, non rivela alcun vizio né logico, né giuridico, essendo pertanto incensurabile in questa sede: «in tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l’ id quod plerumque accidit , restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico» (Cass. n. 28224/2018);
-va da sé che, in applicazione degli stessi principi, è infondato anche il terzo motivo: «il mandante, non partecipe ed ignaro dell’accordo simulatorio, il quale agisca per la dichiarazione di simulazione della quietanza, relativa all’avvenuto pagamento del prezzo, in relazione ad una vendita posta in essere dal suo
mandatario con rappresentanza, è da considerarsi “terzo” rispetto a siffatto contratto: conseguentemente egli può fornire la prova della simulazione “senza limiti”, ex art. 1417 c.c., e, quindi, sia a mezzo di testimoni, sia a mezzo di presunzioni, dovendosi inoltre escludere che, in dipendenza della natura di confessione stragiudiziale della quietanza, possano valere, riguardo alla sua posizione, i limiti di impugnativa della confessione stabiliti dall’art. 2732 c.c., applicabili esclusivamente nei rapporti fra il mandatario e il preteso simulato acquirente» (Cass. n. 2619/2021);
-consegue che il ragionamento della Corte d’appello, laddove ha riconosciuto la simulazione delle quietanze, in via consequenziale dalla simulazione dell’accordo a monte, è immune da censure;
-in conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese, in favore dei controricorrenti;
-nulla sulle spese nei confronti delle parti intimate;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti, liquidate in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda