Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15831 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 15831 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avvocat o NOME COGNOME
Ricorrenti
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli l’Avvocat i
NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrenti avverso la sentenza n. 1989/2019 della Corte di appello di Bologna, depositata il 20.6.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23.4.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ssa NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, con assorbimento degli altri, e che, decidendo nel merito, la Corte rigetti la domanda degli attori.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per delega dell’Avvocato NOME COGNOME per i ricorrenti e dall’Avvocato NOME COGNOME per i controricorrenti.
Fatti di causa
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi del padre COGNOME NOME, agirono in giudizio per la dichiarazione di simulazione del contratto stipulato il 23.2.2000 con cui i loro debitori NOME e NOME avevano venduto alla figlia NOME NOME per il prezzo di lire 352.200.000, una villa con annesso giardino sita in Cervia.
I convenuti si opposero alla domanda, eccependo in via preliminare l’inesistenza della procura alle liti degli attori e il difetto della loro legittimazione attiva, in relazione alla domanda proposta, non avendo essi provato di essere eredi di COGNOME.
Con sentenza n.268 del 2012 il Tribunale di Ravenna dichiarò inammissibile la domanda per inesistenza della procura alle liti al difensore.
Interposto gravame, nel corso del relativo giudizio venne dichiarato il decesso di COGNOME NOME e di COGNOME NOME ed il processo fu riassunto a cura degli appellanti nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con sentenza n. 1989 del 20.6.2019 la Corte di appello di Bologna, in riforma integrale della sentenza impugnata, dichiarò la simulazione assoluta del contratto di compravendita del 23.2.2000.
La Corte motivò la propria decisione, per quanto qui rileva, affermando che: la validità della procura alle liti rilasciata dagli attori in foglio allegato all’atto di citazione era stata regolarmente rilasciata ed era riferibile al giudizio; gli attori avevano dimostrato la loro legittimazione ad agire, provando, mediante la produzione di documenti, la loro qualità di eredi di COGNOME COGNOME; tale produzione era ammissibile, in quanto, trovando applicazione il testo dell’art. 345 c.p.c. all’epoca in vigor e, precedente alla sua attuale versione, gli atti prodotti nel giudizio di appello dovevano considerarsi indispensabili ai fini della decisi one della causa; vi era la prova che, all’epoca della compravendita impugnata, COGNOME era creditore dei venditori COGNOME e COGNOME
NOME né era stato dimostrato da parte dei convenuti che il debito era stato estinto; il rapporto di stretta parentela tra i venditori e l’acquirente NOME la mancata prova del pagamento del prezzo di acquisto e la conoscenza in capo alla acquirente del debito dei propri genitori costituivano elementi sufficienti per presumere che l’atto di compravendita fosse simulato e fosse stato stipulato per sottrarre il bene alla garanzia dei creditori; la dichiarazione resa da NOME di avere rinunciato all’eredità dei genitori era inefficace, atteso che tale parte nel costituirsi in giudizio aveva dichiarato di essere erede del padre NOME unitamente alla madre e ai due fratelli, così accettando espressamente l’eredità.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 18.1.2020, hanno proposto ricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidato a otto motivi.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno notificato controricorso
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Il primo motivo del ricorso denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato ammissibile, e quindi valutato, la documentazione prodotta dagli appellanti nel giudizio di appello, al fine di provare la loro qualità di eredi di COGNOME COGNOME Si lamenta, in particolare, che la Corte di appello abbia ritenuto tali documenti indispensabili ai fini della decisione della causa, nonostante la loro incompletezza ed insufficienza probatoria.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 100 c.p.c. e 565 c.c., lamentando che la Corte di appello, disattendendo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, abbia ritenuto provata la qualità di eredi degli appellanti sulla base della dichiarazione di successione da essi presentata, che ha rilievo solo a fini fiscali, ed in mancanza di atti dello stato civile attestanti il rapporto di parentela con il de cuius .
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. stesso codice, assumendo la nullità della decisione per totale
carenza di motivazione circa il carattere indispensabile dei documenti prodotti dagli appellanti nel giudizio di secondo grado.
2. I primi tre motivi, che possono esaminarsi congiuntamente investendo, sotto diversi profili, il medesimo capo della sentenza, sono infondati.
L’assunto svolto dai ricorrenti e fatto propri o anche dal Procuratore Generale, è che la prova della qualità di erede, che incombe sulla parte che si costituisca in giudizio quale successore di altro soggetto, non può essere data mediante la mera denuncia di successione, occorrendo a tal fine la produzione degli atti dello stato civile attestanti il rapporto di successione legittima.
La censura non coglie nel segno. Dalla lettura della sentenza, infatti, risulta chiaramente che la Corte di appello ha fondato il proprio convincimento sull’assolvimento da parte degli appellanti dell a prova della loro qualità di eredi di COGNOME Giordano non solo sulla denuncia di successione da essi presentata, ma anche su altre allegazioni e documenti, di cui ha ritenuto ammissibile la produzione in appello. In particolare, la sentenza dà atto che al fine di superare l’eccezione delle controparti, gli appellanti avevano dedotto di avere in precedenza promosso nei confronti di COGNOME un procedimento di esecuzione immobiliare allegando come titolo esecutivo le sentenze che riconoscevano al loro genitore il credito azionato, senza che fosse mossa alcuna contestazione in ordine alla loro qualità di eredi di COGNOME COGNOME ed avevano altresì prodotto, a conferma della loro legittimazione, oltre alla copia della denuncia di successione del proprio genitore, anche copia del verbale di inventario dei beni caduti in successione registrato il 18.8.2008 a Cesena.
La Corte distrettuale ha quindi valutato non solo la denuncia di successione, ma anche il verbale di inventario dei beni caduti in successione nonché il pregresso comportamento delle parti in altro procedimento, reputando di trarre da tali elementi la prova sia del rapporto successorio tra gli appellanti ed il de cuius che della accettazione dell’eredità, dato quest’ultimo ricavabile , ex art. 476 c.c., dalla stessa proposizione della domanda di simulazione. Con riferimento alla utilizzabilità delle altre circostanze ed atti valorizzati dalla Corte di appello il ricorso non solleva osservazioni né contesta la loro rilevanza. Ciò è sufficiente a ritenere le censure non decisive, per non investire l’intero impianto
motivazionale su cui il giudice ha fondato la sua decisione. A ciò può aggiungersi che la valutazione in odine alla valenza probatoria degli elementi esaminati riveste natura di apprezzamento di merito e, come tale, non è censurabile in sede di giudizio di legittimità.
Tali considerazione portano a disattendere anche le altre censure sollevate con i motivi in esame, circa l’erronea valutazione di indispensabilità dei documenti prodotti e la mancanza di motivazione, che trovano diretta smentita nella conclusione raggiunta dalla Corte territoriale, che, nel ritenere gli elementi di prova addotti dimostrativi della qualità di eredi degli attori, ne ha con ciò stesso riconosciuto la indispensabilità ai fini della decisione.
3. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 476 c.c., 2697 c.c. e 291 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha individuato gli odierni ricorrenti eredi di COGNOME NOME ed ha dichiarato la contumacia di COGNOME NOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e nella parte in cui ha dichiarato la contumacia di COGNOME NOME nonostante l’omessa notificazione a detta parte dell’atto di riassunzione, dopo che il processo era stato interrotto per morte della madre NOME reputando altresì ininfluente la dichiarazione resa da NOME NOME di rinuncia alla eredità del padre.
4. Il mezzo è inammissibile.
Va premesso, con riguardo allo svolgimento del giudizio di secondo grado, che dalla sentenza impugnata risulta che: l’a tto di appello è stato notificato al procuratore del convenuto COGNOME costituitisi in giudizio, COGNOME NOME e COGNOME NOME rappresentavano la nullità della notifica nei confronti degli eredi di COGNOME la Corte, nonostante la rituale notifica dell’atto di appello al procuratore dei convenuti, che pure dichiarava in applicazione del principio della ultrattività del mandato difensivo, dispo neva l’ integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di NOME; COGNOME NOME dichiarava di costituirsi personalmente, depositando atto di rinuncia all’eredità del padre; dichiarato il decesso di NOME il processo era dichiarato interrotto e ritualmente riassunto a cura degli appellanti COGNOME; non essendosi costituiti, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano dichiarati contumaci, così come COGNOME NOME,
avendo quest’ultima dichiarato di costituirsi in proprio, cioè, deve intendersi, quale acquirente della compravendita di cui era stata chiesta la dichiarazione di nullità per simulazione, e non quale erede dei genitori.
Tanto precisato, la prima censura, che attiene alla dichiarazione di contumacia di COGNOME NOME e COGNOME NOME, è inammissibile, non essendo dato comprendere dalla illustrazione del motivo in cosa sarebbe consistito l’errore del giudice, non risultando contestata la regolare notifica dell’atto di integrazione del contraddittorio, prima, e dell’atto di riassunzione successivo alla interruzione, dopo.
Con riguardo alla seconda censura, che lamenta la mancata presa d’atto della rinuncia all’eredità del padre manifestata da NOME va invece osservato che la suddetta parte era in giudizio in proprio, quale acquirente del bene immobile, sicché la sua posizione sostanziale e processuale di fatto non sarebbe mutata laddove fosse stato dato atto della sua rinuncia all’eredità. In senso analogo deve valutarsi la sua dichiarazione di contumacia, quale erede dei genitori, che in alcun modo ha pregiudicato le sue possibilità difensive.
In realtà il motivo sembra affetto da un equivoco di fondo, volendo attribuire alla dichiarazione di contumacia effetti sulle posizioni di diritto sostanziale delle parti, nella specie il riconoscimento della loro qualità di eredi dei genitori, parti originarie del giudizio, laddove essa è solo un atto dichiarativo che esplica i suoi effetti esclusivamente all’interno del processo.
5. Il quinto motivo di ricorso, che denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 307, commi 4 e 5, 102 e 303 c.p.c., lamenta che la Corte di appello non abbia dichiarato l’estinzione del giudizio per la mancata osservanza da parte degli appellanti d ell’ordine di integrazione del contraddittorio e per non avere essi provveduto regolarmente alla riassunzione del processo dopo la dichiarazione della sua interruzione per morte di NOME assumendo l’inesistenza delle notificazioni di tali a tti nei confronti di COGNOME NOME eseguite presso il domicilio del suo procuratore e non alla parte personalmente.
6. Il motivo è infondato.
Quanto all’atto di integrazione del contraddittorio, dalla esposizione dello svolgimento del giudizio di appello, come riportato, senza contestazioni, dalla
sentenza impugnata e sopra riassunto, risulta che esso fu disposto dopo che NOME NOME era già costituita in giudizio. Ne consegue che, essendo la parte già costituita , l’atto stesso non doveva esserle notificato, essendo l’integrazione del contraddittorio, per definizione, rivolta nei confronti dei soggetti che non sono stati chiamati e non sono presenti nel giudizio.
Con riferimento invece all’atto di riassunzione del processo, a seguito della dichiarazione della sua interruzione, la notifica dello stesso al difensore di NOME NOME deve ritenersi del tutto regolare, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., dal momento che detta parte era, come detto, a quel momento già costituita in giudizio.
Il sesto motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata, travisando e mal valutando le prove, abbia ritenuto mancante la prova del pagamento del prezzo della compravendita, traendo da ciò la presunzione della sua simulazione. In realtà, si sostiene, la convenuta acquirente COGNOME NOME aveva prodotto una serie di documenti che attestavano che, proprio al fine di realizzare l’acquisto, era ricorsa ad un mutuo bancario ed aveva eseguito rimesse di denaro in favore del genitori.
8. Il motivo è inammissibile.
Premesso che la Corte di appello ha esaminato i documenti menzionati nel motivo, reputandoli inidonei a provare il versamento del prezzo della compravendita, le censure sono inammissibili in quanto investono la valutazione del materiale probatorio. Secondo il diritto vivente di questa Corte, infatti, la valutazione delle prove costituisce una operazione che la legge affida alla esclusiva competenza del giudice di merito ed i cui risultati non sono sindacabili in sede di giudizio di legittimità, non avendo questa Corte il potere di rivalutare il fatto ovvero di attribuire alle prove acquisite in giudizio un significato o una rilevanza diversa da quella riconosciuta dal giudice della causa, tranne i casi in cui tale efficacia discenda direttamente dalla legge (Cass. Sez. un. n. 20867 del 2020).
Il settimo motivo di ricorso, che denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 769, 1414, 2722 e 2729 c.c. e 115 c.p.c., censura il giudizio in forza del quale la Corte di appello, sulla base degli elementi di prova, ha ritenuto
provata sia la sussistenza del credito vantato dagli attori che la simulazione della compravendita. I ricorrenti, in particolare, imputano alla Corte di avere compiuto un esame frammentato dei singoli elementi utilizzati, in luogo di una loro valutazione complessiva e unitaria, così come richiesto dalle norme in materia di presunzioni semplici.
10. Anche questo motivo è inammissibile, per la ragione assorbente che esso investe l’esito del ragionamento presuntivo che ha portato il giudice di merito a ravvisare nella fattispecie la simulazione del contratto, senza tuttavia indicare in modo specifico singoli contraddizioni e circostanze non esaminate in grado di far emergere le violazioni di legge denunciate. La lettura della sentenza, inoltre, evidenzia che la valutazione dei singoli elementi di prova non è stata affatto condotta in modo frammentato, ma che la Corte di appello ha valutato unitariamente i singoli elementi e le circostanze emerse (rapporto di stretta parentela tra i contraenti, mancata prova del pagamento del prezzo, conoscenza comune della situazione debitoria dei venditori), dando conto della loro univocità e convergenza nel dimostrare che la vendita non era voluta ed era soltanto apparente.
Quanto alla esistenza del credito da parte degli attori, con conseguente riconoscimento della possibilità di provare senza limitazioni la simulazione del contratto, è sufficiente rilevare che la Corte di appello richiama come prova del credito le sentenze del 2007 e 2008 del Tribunale di Ravenna, che avevano confermato i decreti ingiuntivi richiesti da COGNOME nei confronti di COGNOME e COGNOME e le ricevute dei ratei del mutuo ipotecario contratto da questi ultimi pagate da COGNOME in forza della garanzia al l’epoca prestata.
11. L’ottavo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. stesso codice, per avere la Corte di appello escluso, senza motivazione, che COGNOME e COGNOME avessero estinto il loro debito verso COGNOME con la cessione nel 1996 di un loro immobile.
12. Il motivo è infondato, avendo la Corte di appello, con motivazione del tutto congrua, dichiarato l’inefficacia solutoria della cessione dell’immobile , essendo essa avvenuta in epoca precedente alle sentenze del tribunale di Ravenna del 2007 e 2008 che avevano accertato i crediti di COGNOME.
13. In conclusione il ricorso è respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025.