Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27145 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18758/2021, proposto da
COGNOME NOME; COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, per procura speciale in atti;
-ricorrenti –
-contro-
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso l’ AVV_NOTAIO, dal quale è rappres. e difeso, per procura speciale in atti;
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO dal quale è rappres. e difeso, per procura speciale in atti;
-controricorrenti- avverso la sentenza n. 3540/2020 della Corte d’appello di Milano, depositata il 30.12.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2.10.2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza del 27.7.19, il Tribunale di Milano, pronunciando sulla domanda proposta da NOME COGNOME, per accertare la simulazione assoluta, o in subordine relativa o, ancora, la nullità per mancanza di causa, dell’atto pubblico redatto il 2.9.2016 di cessione della nuda proprietà di partecipazioni sociali relative alla RAGIONE_SOCIALE, da parte di NOME COGNOME ai figli di primo letto, NOME e NOME COGNOME, rigettava la domanda e, in accoglimento della domanda del convenuto NOME COGNOME, accertata la simulazione relativa dell’atto -avente ad oggetto vendite di partecipazioni in società a responsabilità limitata- stipulato il 2.9.2016, per AVV_NOTAIO di Milano tra l’ apparente venditore NOME COGNOME e gli apparenti acquirenti NOME e NOME COGNOME– in quanto atto dissimulante una donazione delle partecipazioni sociali- dichiarava la nullità per difetto di forma della donazione dissimulata, rigettando le domande risarcitorie ex art. 96 c.p.c. formulate dai convenuti NOME COGNOME nei confronti dell’attrice e dell’altro convenuto.
Al riguardo, il Tribunale accoglieva l’eccezione dei NOME COGNOME sulla carenza di legittimazione dell’attrice COGNOME, ritenendo non ravvisabile né la speciale opposizione prevista ex art. 563, comma 4, c.c. (prevista espressamente soltanto per il trasferimento di beni immobili), né la qualità di creditrice- verso NOME COGNOME– in quanto tardivamente proposta (ossia con le prime memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.).
Il primo giudice inoltre disattendeva l’ exceptio doli generalis sollevata dai NOME COGNOME con riguardo alla condotta processuale dell’attore ( in quanto eccezione che si sarebbe risolta ‘ nella generica negazione della possibilità per il simulato alienante di far valere la propria effettiva volontà nei confronti dei simulati acquirenti ‘; cfr. sentenza impugnata, pag. 12).
Ritenuto dunque NOME COGNOME legittimato all’azione di simulazione relativa, in quanto parte dell’atto, il Tribunale accertava la simulazione della cessione e, dichiarata la nullità, per difetto di forma, della donazione dissimulata, richiamando due lettere inviate dai NOME COGNOME a NOME COGNOME successivamente all’atto di cessione (la prima, del 20.10.2016, sottoscritta dal NOME NOME COGNOME, e la seconda, del 22.11.2017, sottoscritta da entrambi i NOME), lettere cui il Tribunale aveva riconosciuto valenza di controdichiarazione, o comunque principio di prova scritta con valore di confessione stragiudiziale, poiché contenevano dichiarazioni rese dalla stessa parte contro cui era diretta la domanda, e tali da giustificare il ricorso alla prova per testi e presunzioni.
Il primo giudice riteneva la simulazione provata per presunzioni, dal momento che: dal tenore e contenuto di tali lettere, il Tribunale aveva ritenuto di poter evincere sia l’intento comune delle parti della cessione di scongiurare un futuro ingresso di NOME COGNOME nell’assetto societario, sia una conferma del carattere non oneroso del trasferimento delle quote sociali; con la contestata cessione NOME COGNOME aveva trasferito ai due figli, a un prezzo pari al mero valore nominale (€ 24.000,00) , la nuda proprietà del 13,33% circa delle partecipazioni sociali alla RAGIONE_SOCIALE, rappresentative di valori immobiliari complessivamente stimabili in oltre € 33 milioni; il simulato alienante aveva dato quietanza dell’avvenuto pagamento con una
formula valutata dal Tribunale come mera clausola di stile; i convenuti si erano limitati ad affermare che il pagamento era avvenuto con versamento in contanti.
Con atto in data 27.2.2020, NOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso la decisione del Tribunale, chiedendone la riforma parziale per i seguenti motivi:
carenza di legittim azione e d’interesse in capo a NOME COGNOME per l’azione di simulazione relativa, in quanto volta esclusivamente alla tutela di un diritto altrui, peraltro neppure ancora sorto (la quota di legittima della moglie, sig.ra COGNOME);
mancato raggiungimento della prova della simulazione e del carattere non oneroso della cessione;
art.
assenza e/o carenza di motivazione in merito alla domanda ex 96 c.p.c.
Si costituiva NOME COGNOME, la quale eccepiva l’infondatezza dell’appello, e svolgeva appello incidentale, chiedendo la riforma parziale della decisione del Tribunale per i seguenti motivi:
sussistenza della propria legittimazione ad esperire l’azione di simulazione ex art. 1415, comma 2, c.c., in quanto coordinata all’opposizione speciale concessa al coniuge e ai parenti in linea retta del donante ai sensi dell’art. 563, comma 4, c.c.;
legittimazione all’azione di simulazione ai sensi dell’art. 1416, comma 2, e 1421 c.c., poiché l’introduzione della prova del credito nei confronti del COGNOME (avvenuta nella prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.) non può ritenersi tardiva, non avendo comportato mutatio libelli, ma semmai, mera emendatio , rispetto alla causa petendi prospettata con l’atto di citazione in primo grado.
NOME COGNOME, costituendosi anch’egli nel giudizio di appello in data 1.6.2020, chiedeva la conferma della sentenza impugnata e il rigetto dell’appello promosso da NOME e NOME COGNOME.
Con sentenza del 5.11.20, la Corte territoriale rigettava entrambi gli appelli , osservando che: in ordine all’ appello principale , proposto da NOME e NOME COGNOME, la legittimazi one all’azione di simulazione era da riconoscere a NOME COGNOME alla luce sia dei principi generali in materia di legittimazione, sia del disposto degli artt. 1414, commi 1 e 2, 1416 e 1417 c.c., ciò in quanto egli era parte del negozio simulato, e titolare di un’azione di simulazione del tutto autonoma e svincolata dai rilievi circa la legittimazione della COGNOME; del resto, tale legittimazione si accompagnava ad un interesse ravvisabile nel diritto di ciascuna parte di far valere la realtà sull’apparenza, quando il negozio dissimulato (nel caso di specie, la donazione delle quote societarie) difettasse dei requisiti di sostanza e di forma imposti dal legislatore; neppure con riferimento all’azione di nullità poteva essere condivisa la prospettazione degli appellanti, dal momento che sussistevano sempre, in capo alla parte contrattuale, la legittimazione e l’interesse a far dichiarare in sede giudiziale la nullità di un neg ozio privo dei requisiti di forma richiesti dalla legge ad substantiam ; in particolare, non era seriamente contestabile la sussistenza in capo a NOME COGNOME di un interesse attuale e concreto alla corretta ed equa ripartizione del proprio patrimonio, interesse che si traduceva necessariamente nel diritto a ripristinare lo status quo ante attraverso la dichiarazione giudiziale di nullità della cessione simulata, tendenzialmente idonea ad alterare l’assetto patrimoniale rilevante in riferimento agli equilibri successori; nella cessione si dava atto de ll’avvenuto pagamento del prezzo delle quote cedute della RAGIONE_SOCIALE nei seguenti termini: ‘ prezzo che la parte venditrice dichiara e riconosce
già regolato dalla parte acquirente alla quale rilascia ampia quietanza di pieno saldo e liberazione ‘ (s oltanto nelle more del giudizio, poi, i NOME COGNOME riferivano che il pagamento sarebbe stato effettuato interamente in contanti, senza dimostrarlo); il Tribunale aveva accertato la simulazione della cessione e dichiarato la nullità, per difetto di forma, della donazione dissimulata, richiamando due lettere inviate dai f.lli COGNOME a NOME COGNOME successivamente all’atto di cessione (la prima, 20.10.2016, sottoscritta da NOME COGNOME, e la seconda, 22.11.2017, sottoscritta da entrambi i NOME), lettere cui il Tribunale ha riconosciuto valenza di controdichiarazione o comunque principio di prova scritta con valore di confessione stragiudiziale, poiché contenevano dichiarazioni rese dalla stessa parte contro cui era diretta la domanda, e tali da giustificare il ricorso alla prova per testi e presunzioni; il primo giudice aveva dunque ritenuto la simulazione provata per presunzioni, sulla base sia del testo delle lettere, sia della gratuità della cessione delle quote, che si presentava solo apparentemente onerosa, dal momento che era corretta la valutazione del Tribunale circa la valenza di controdichiarazioni da riconoscere alle missive in questione; le stesse lettere, invero, descrivevano nel complesso una situazione di fatto, da cui emergevano con sufficiente chiarezza sia l’accor do tra le parti anteriore alla cessione delle quote (finalizzata per l’appunto a scongiurare ‘ l’inevitabile guerra con NOME, i.e. NOME COGNOME), sia la gratuità del trasferimento delle stesse; per quanto concerne il preesistente animus simulandi delle parti, si evidenziava come nella lettera 20.10.2016 NOME COGNOME avesse inteso ricordare al padre che la finalità della cessione era quella di effettuare un gratuito lascito paterno per tutelare i due NOME dalle future azioni legali della COGNOME, la quale, diversamente, sarebbe in futuro subentrata nell’assetto societario e
avrebbe compromesso irrimediabilmente il controllo e la stabilità finanziaria delle società stesse; per quanto concerne, invece, il carattere sostanzialmente gratuito riconosciuto al trasferimento delle quote (e l’ animus donandi del sig. COGNOME sotteso alla cessione), si aggiungeva che gli appellanti, nella lettera in data 22.11.2017, da entrambi sottoscritta, avevano inteso creare un parallelismo, inequivocabile sul piano logico, tra le donazioni del padre alla moglie e il trasferimento delle quote in loro favore che, in tale prospettiva, sarebbe stato finalizzato a ‘ ripartire in modo equilibrato alcune cose di famiglia ‘; era altrettanto condivisibile la pronuncia del Tribuna le in merito alla presunzione della gratuità della cessione simulata, poiché il valore indicato nell’atto era puramente simbolico, in quanto -in contrasto con qualsiasi interesse economico sotteso al l’operazione di cessione -era indicato il semplice valore nominale delle quote cedute, privo dunque delle plusvalenze riferibili agli immobili delle società, valore che il Tribunale aveva correttamente ritenuto irrisorio rispetto al valore commerciale delle società cedute; con particolare riferimento alla quietanza di pagamento contenuta nell’atto di cessione delle quote societarie, giovava semplicemente osservare che la dichiarazione del COGNOME circa l’avvenuto pagamento non produce va effetti tra le parti, esattamen te come l’atto simulato in cui era inserita; tuttavia, quand’anche tale prospettazione non si fosse ritenuta condivisibile, non si sarebbe potuto comunque trascurare il fatto che il Tribunale, apprezzando la dichiarazione stragiudiziale del COGNOME come clausola di stile, non aveva inteso disconoscere gli effetti della quietanza quale atto confessorio ex art. 2735, comma 1, c.c., ma piuttosto esprimere una propria valutazione sulla base delle complessive risultanze processuali ritenute incompatibili con il contenuto della dichiarazione unilaterale dei simulati acquirenti; a prescindere dai rilievi sulla
violazione dei divieti previsti in materia di antiriciclaggio, i NOME COGNOME non avevan o fornito alcun valido elemento a conferma dell’avvenuto pagamento in contanti del valore delle quote cedute, valore rappresentato da una somma di danaro non certo irrilevante (trattandosi di € 24.000), che, ove realmente corrisposta, gli appellanti avrebbero potuto agevolmente documentare sulla base dei riscontri bancari; il Tribunale aveva ampiamente espresso in sentenza le ragioni poste a fondamento della decisione con argomentazioni non perplesse, obiettivamente comprensibili e tutte logicamente inconciliabili con l’operatività del disposto dell’art . 96 c.p.c..; l’ appello incidentale, da considerare non tardivo – essendo stato ritualmente proposto con la comparsa di costituzione in data 1.6.2020 (ossia 23 giorni prima dell’udienza fissata per il 24.1.2020, ex artt. 359 e 168 bis , quinto comma, c.p.c.)- era infondato, non essendo la COGNOME legittimata ad opporsi alla donazione (dissimulata) in questione, dal momento che il dante causa era ancora in vita; non erano altresì sussistenti i presupposti dell’opposizione ex art. 563, comma 4, c.c., in quanto il primo giudice aveva correttamente qualificato la stessa COGNOME come ‘ mera futura legittimaria ‘, escludendo così l’ammissibilità dell’opposizione speciale concessa al coniuge; la domanda della COGNOME di simulazione ex art. 1416 c.c., fondata dunque sulla sua pretesa qualità di creditrice di NOME COGNOME, doveva ritenersi senz’altro tardiva, in quanto introdotta soltanto con la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c..
NOME e NOME COGNOME ricorrono in cassazione avverso la suddetta sentenza, con quattro motivi. NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con distinti controricorsi, illustrati da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 81, 100, c.p.c., 1414, 1417, c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente accertato la legittimazione processuale e l’interesse sostanziale di NOME COGNOME a far valere la simulazione relativa della cessione, non avendo tenuto in considerazione il fatto che lo stesso avesse formulato in giudizio una domanda finalizzata a tutelare un (asserito) diritto altrui e, per di più, non attuale (il preteso interesse della COGNOME ad evitare la potenziale lesione della quota di legittima in futuro spettantele nella propria qualità di coniuge del signor COGNOME), come desumibile dalla stessa prospettazione della domanda, così come formulata sin dal primo grado di giudizio, dovendosi escludere la possibilità di configurare una lesione di legittima in ordine ad un patrimonio non ancora relitto.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 1175, 1375, cc., per aver la Corte territoriale disatteso la rilevanza dell’ exceptio doli generalis sollevata dai NOME COGNOME nei confronti della condotta processuale del padre, limitandosi ad affermare che « tale eccezione finirebbe per escludere – in contrasto con la disciplina legale della simulazione – la possibilità per il simulato alienante di far valere la simulazione nei confronti dei simulati acquirenti » (pag. 11 Sentenza), non tenendo conto del l’abuso dello strumento processuale (pretendendo di far valere, in nome proprio, un diritto altrui, per di più non attuale) allo scopo di realizzare un interesse ritenuto non meritevole di tutela da parte dell’ordinamento (quello di sciogliere in via unilaterale un vincolo contrattuale o revocare un atto di liberalità), ma anche per aver tenuto una condotta del tutto contraria al dovere di coerenza ed al divieto – argomentabile e desumibile dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – di venire contra factum proprium , ossia a quel principio
che impone ai soggetti giuridici l’obbligo di coerenza ed esclude la possibilità di invocare tutela giuridica quando essa si ponga in contrasto con una volontà precedentemente manifestata da colui che la invoca attraverso un comportamento successivo che ne costituisca la negazione.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c., 1417,1418 e 1421, c.c, per aver la Corte d’Appello affermato che « sussistono sempre, in capo alla parte contrattuale, la legittimazione e l’interesse a far dichiarare (…) la nullità di un negozio privo dei requisiti di forma richiesti dalla legge ad substantiam» (pagg.10-11 Sentenza), per la sussistenza in capo al sig. COGNOME di un interesse attuale e concreto alla corretta ed equa ripartizione del proprio patrimonio, interesse che si traduce necessariamente nel diritto a ripristinare lo status quo ante attraverso la dichiarazione giudiziale di nullità della cessione simulata, tendenzialmente idonea ad alterare l’assetto patrimoniale rilevante in riferimento agli equilibri successori » (pag. 11 Sentenza).
Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 1417,2697,2722 e 2729, c.c., nonché omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per aver la Corte d ‘a ppello attribuito valenza di controdichiarazione alle missive trasmesse dai NOME COGNOME al padre in data 20 ottobre 2016 e 22 novembre 2017 (cfr. docc. 1 e 2 fascicolo di primo grado del COGNOME; docc. 6.6 e 6.7)
I ricorrenti lamentano che la semplice lettura delle menzionate comunicazioni consente di apprezzare l’erroneità, sia fatto che in diritto, della ricostruzione fornita dalla Corte d’Appello, posto che dal loro contenuto non emerge alcuna « comune volontà delle parti » contraria all’atto che si assume simulato, ma piuttosto il desiderio dei ricorrenti di rispettare la volontà del padre a fronte dell’esperimento da
parte della COGNOME di un attacco del tutto ingiustificato verso ciò di cui NOME COGNOME aveva voluto disporre in vita per ripartire equamente i propri beni fra i suoi congiunti (ivi compresa la stessa COGNOME e il di lei figlio, NOME). Secondo ricorrenti, le comunicazioni di cui si tratta, lungi dall’esprimere una comune volontà delle parti contraria al contenuto della cessione, avevano l’unica finalità di evitare un contenzioso inutile (atteso che, sin dall’inizio, era evidente che la controricorrente non avesse legittimazione ad impugnare la cessione, come poi confermato dal Tribunale, prima, e dalla Corte d’Appello, poi) oltre che odioso, in quanto iniziato per evidenti finalità economiche, come, tra l’altro, si evince dal tentativo della medesima di affermarsi titolare di rilevanti (ma inesistenti) crediti verso il marito.
In particolare, i ricorrenti assumono che la locuzione utilizzata dal mittente della missiva ‘ passare le quote ‘ non consentiva di esprimere la sussistenza del ritenuto animus donandi del disponente.
In altre parole, secondo i ricorrenti, non necessariamente la mera allegazione della mancanza del pagamento di un corrispettivo, ovvero l’irrisorietà di quello indicato in occasione di un atto di disposizione patrimoniale, consente, di per sé, di desumere l’ animus donandi e la causa di liberalità di un negozio, mentre era censurabile l’affermazione della Corte d’Appello nella parte in cui il giudice del gravame ha ritenuto « condivisibile la pronuncia del Tribunale in merito alla presunzione sulla gratuità della Cessione simulata, poiché, come è stato efficacemente osservato, il valore indicato nell’atto è puramente simbolico..’
In definitiva, i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello, limitandosi ad aderire acriticamente alla pronuncia del giudice di primo grado, ha ritenuto che (quand’anche le due citate lettere non dovessero essere configurabili quali ‘controdichiarazioni’ in senso proprio), le stesse siano comunque idonee a costituire « principio di prova per iscritto (…)
proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda che faccia apparire verosimile il fatto allegato e, dunque, legittimante ex art.2724 c.c. il superamento del divieto di prova testimoniale e per presunzioni vigente in materia di prova della simulazione tra le parti ex artt. 2722, 1417 e 2729 c.c., così pervenendo, sulla scorta di una non corretta valutazione delle risultanze dei documenti prodotti in giudizio dalle parti, nonché di un inesatto riferimento al valore probatorio degli stessi, oltr e che di un’errata applicazione delle norme in materia di presunzioni ha (erroneamente), al convincimento sulla prova della simulazione relativa della cessione in quanto dissimulante una donazione.
Il primo motivo è inammissibile.
L’azione di simulazione postula un interesse correlato all’esercizio di un proprio diritto.
Nella specie, la doglianza non coglie la ratio decidendi, in quanto la domanda accolta è stata proposta in modo autonomo da NOME COGNOME sul presupposto di essere stato parte del contratto di cessione.
Invero, la Corte d’appello ha affermato l’innegabilità dell’interesse che assiste l’azione di NOME COGNOME, quale parte del negozio simulato (apparente cedente le quote societarie), diretta all’accertamento dell’inefficacia dell’atto di cessione delle quote societarie. Il riferimento dei ricorrenti al supposto esclusivo fine (ed interesse) di tutelare il diritto della COGNOME appartiene, piuttosto, all’ambito dei motivi dell’ agire e, come tale, non è rilevante.
Il secondo motivo è inammissibile. I ricorrenti lamentano che la Corte territoriale abbia ritenuto destituita di fondamento l’ exceptio doli generalis sollevata dai NOME COGNOME riguardo alla condotta processuale del padre, limitandosi ad affermare che « tale eccezione finirebbe per
escludere – in contrasto con la disciplina legale della simulazione – la possibilità per il simulato alienante di far valere la simulazione nei confronti dei simulati acquirenti » (pag. 11 sentenza), non tenendo conto dell’abuso dello strumento processuale (pretendendo di far valere, in nome proprio, un diritto altrui, per di più non attuale) allo scopo di realizzare un interesse ritenuto non meritevole di tutela da parte dell’ord inamento (quello di sciogliere in via unilaterale un vincolo contrattuale o revocare un atto di liberalità).
La doglianza- in parte connessa al primo motivo- è incentrata su un’argomentazione non pertinente alla fattispecie concreta, la cui rilevanza presupporrebbe l’effettiva carenza d’interesse dell’attore, NOME COGNOME. Ne consegue che, ritenuto sussistente tale interesse (legittimamente sotteso ad infirmare la cessione delle quote, quantunque il motivo possa essere consistito nella volontà di non danneggiare la COGNOME), sono insussistenti i pre supposti dell’invocata excepti o.
Invero, l’ exceptio doli generalis seu praesentis ha fondamento nella circostanza che l’attore, nell’avvalersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, si renda colpevole di frode, in quanto tace, nella prospettazione della fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fatto valere ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso (Cass., n. 6896/09). Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la “exceptio doli generalis seu praesentis” indica il dolo attuale, commesso al momento in cui viene intentata l’azione nel processo, e costituisce un rimedio di carattere generale, utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, il quale è diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, paralizzando l’efficacia dell’atto che ne costituisce la
fonte o giustificando il rigetto della domanda giudiziale fondata sul medesimo, ogni qualvolta l’attore abbia sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanzato richieste di pagamento “prima facie” abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di “venire contra factum proprium”. Tale rimedio si distingue dalla “exceptio doli specialis seu preteriti”, la quale indica invece il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto, ed è diretta a far valere (in via di azione o eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, la quale assume rilievo, quale dolo incidente, nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito su modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato, se non fosse stata fuorviata dal raggiro, e non comporta l’invalidità del contratto, ma la responsabilità del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito, i quali vanno commisurati al minor vantaggio e al maggior aggravio economico subiti dalla parte che ne è rimasta vittima, salvo che sia dimostrata l’esistenza di danni ulteriori, collegati a detto comportamento da un nesso di consequenzialità diretta (Cass., n. 5273/07; n. 15216/12).
Ora, ferme tali distinzioni, è risolutivo considerare che nella specie la censura esprime una tesi di merito ed è comunque generica in relazione alle regole che si assumono infrante; non è spiegato come e perché Corte d’appello le avrebbe violate.
Né è stato prospettato, o è emerso, che l’attore abbia sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanzato richieste di pagamento
“prima facie” abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di “venire contra factum proprium’. L’attore ha semplicemente agito per accertare la simulazione della suddetta cessione, con conseguente dissimulazione della donazione e nullità dell’atto per mancanza della forma dell’atto pubblico .
Il terzo motivo è parimenti inammissibile per le medesime argomentazioni di cui al primo motivo in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire in capo a NOME COGNOME.
Il quarto motivo è infine del pari inammissibile. I ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello abbia attribuito valenza di controdichiarazione alle missive trasmesse dai NOME COGNOME al padre in data 20 ottobre 2016 e 22 novembre 2017 (cfr. docc. 1 e 2 fascicolo di primo grado del COGNOME; docc. 6.6 e 6.7), assumendo che la semplice lettura delle menzionate comunicazioni consentirebbe di apprezzare l’erroneità, sia fatto che in diritto, della ricostruzione fornita dalla Corte d’Appello, posto che dal loro contenuto non emerge alcuna « comune volontà delle parti » contraria all’atto che si assume simulato.
La doglianza è diretta a ribaltare l’in terpretazione fornita dalla Corte territoriale in ordine al contenuto delle suddette lettere, fornendone una diversa. Invero, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione.
Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo
e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass., n.10554/10; n. 22536/07).
Invero, i ricorrenti assumono che il contenuto delle lettere dovrebbe indurre a ritenere che esso non esprima la comune volontà delle parti di simulare la cessione, bensì quella ben diversa di fornire una plausibile motivazione di una effettiva e reale cessione.
Infine, va osservato che la doglianza inerente al vizio motivazionale è preclusa dalla ‘doppia conforme’. Al riguardo, r icorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass., n. 7724/22).
Nella specie, la decisione impugnata è sostanzialmente corrispondente a quella di primo grado, essendo entrambe fondate sull’accertamento della sussistenza della dedotta fattispecie di simulazione della cessione delle quote societarie, dissimulante la predetta donazione.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi,
oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della prima sezione civile, in data