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Simulazione cessione d’azienda: licenziamento nullo

La Corte di Cassazione conferma la nullità di un licenziamento per ritorsione, avvenuto nel contesto di una simulazione cessione d’azienda. I giudici hanno identificato un’operazione fraudolenta, con la creazione di una nuova società e la successiva cancellazione di quella originaria, finalizzata unicamente a eludere i diritti del lavoratore. È stato riconosciuto un ‘unico centro di imputazione’ del rapporto di lavoro, che ha reso l’operazione societaria un mero schermo giuridico e il licenziamento un atto illegittimo perché basato su un motivo illecito determinante.

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Simulazione cessione d’azienda: quando il licenziamento è nullo?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2529/2024, ha affrontato un caso emblematico di simulazione cessione d’azienda, stabilendo principi cruciali sulla tutela dei lavoratori di fronte a operazioni societarie fraudolente. Questa pronuncia chiarisce come l’ordinamento giuridico possa ‘smascherare’ complesse manovre volte a creare uno schermo protettivo per giustificare licenziamenti illegittimi, in particolare quelli di natura ritorsiva.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal licenziamento di un lavoratore, avvenuto a seguito di una cessione d’azienda da una società semplice (s.s.) a una società a responsabilità limitata (s.r.l.) di nuova costituzione. Poco dopo la cessione, la società semplice originaria veniva cancellata dal registro delle imprese. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che l’intera operazione fosse fittizia, orchestrata al solo scopo di estromettere lui e un collega che avevano avanzato pretese creditorie. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la tesi del lavoratore, dichiarando la nullità del licenziamento per il suo carattere ritorsivo e condannando alla reintegrazione e al risarcimento del danno non solo la società, ma anche i soci persone fisiche, individuando un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.

La decisione della Corte sulla simulazione cessione d’azienda

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dagli eredi dei soci e dalla nuova società, confermando integralmente la sentenza d’appello. Il cuore della decisione risiede nel riconoscimento della natura simulata dell’intera operazione societaria. I giudici di legittimità hanno avallato la ricostruzione della Corte di merito, secondo cui la cessione d’azienda e la successiva cancellazione della società cedente non erano reali, ma rappresentavano un mero schermo giuridico. La prova della simulazione è stata desunta da una serie di elementi, tra cui il fatto che l’assegno per il pagamento del prezzo della cessione non era mai stato incassato e che l’attività aziendale era di fatto proseguita senza soluzione di continuità sotto la stessa direzione.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito diversi punti di diritto fondamentali. In primo luogo, ha ribadito che la cancellazione di una società dal registro delle imprese non ne determina l’estinzione se l’attività prosegue di fatto. In tali casi, si verifica un fenomeno successorio in cui i soci illimitatamente responsabili subentrano nei debiti sociali. L’impugnazione del licenziamento, sebbene notificata alla sede della società già cancellata, è stata ritenuta efficace nei confronti dei soci, data la loro responsabilità illimitata e la continuità del centro di imputazione datoriale.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato il concetto di ‘unico centro di imputazione’. Quando più soggetti, persone fisiche o giuridiche, operano in modo coordinato, con una struttura organizzativa unitaria e un interesse comune, essi vengono considerati come un unico datore di lavoro. Nel caso di specie, gli eredi del fondatore, la società semplice e la nuova s.r.l. costituivano, secondo i giudici, un’unica entità datoriale. Di conseguenza, la creazione della nuova società e la cessione sono state viste come un’interposizione fittizia, priva di effetti reali. Infine, la Corte ha confermato il carattere ritorsivo del licenziamento. La stretta contiguità temporale tra le richieste creditorie del lavoratore e l’operazione di cessione e licenziamento è stata considerata una prova presuntiva sufficiente a dimostrare che l’unica ragione del recesso fosse la ritorsione, un motivo illecito che rende nullo il licenziamento.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per le imprese. Le operazioni di riorganizzazione societaria, come le cessioni d’azienda, devono essere sorrette da reali motivazioni economiche e produttive. Qualora vengano utilizzate come mero espediente per eludere la legge e i diritti dei lavoratori, i giudici possono dichiararle simulate, con conseguenze gravose per tutti i soggetti coinvolti. La decisione rafforza la tutela del lavoratore contro i licenziamenti ritorsivi, confermando che la prova di tale illecito può essere raggiunta anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, smascherando costruzioni giuridiche artificiose.

Quando una cessione d’azienda può essere considerata una simulazione?
Secondo la sentenza, una cessione d’azienda è simulata quando non corrisponde a un reale trasferimento di attività ma costituisce un mero ‘schermo giuridico’ per raggiungere scopi illeciti, come eludere le pretese creditorie dei lavoratori. Elementi come il mancato incasso del prezzo o la continuità della gestione da parte dei medesimi soggetti possono provarne la natura fittizia.

Cosa si intende per ‘unico centro di imputazione’ del rapporto di lavoro?
Significa che diverse società e/o persone fisiche, pur essendo formalmente distinte, sono considerate un unico datore di lavoro. Ciò accade quando vi è unicità di struttura organizzativa, integrazione delle attività, coordinamento comune e utilizzo della stessa prestazione lavorativa, rivelando che il frazionamento tra più soggetti è solo apparente.

Quali sono le conseguenze se un licenziamento viene dichiarato ritorsivo?
Un licenziamento ritorsivo è nullo. La conseguenza principale, secondo la disciplina applicabile al caso di specie, è la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni perse dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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