Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18514 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18514 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15057-2020 proposto da:
COGNOME e COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
– ricorrenti –
contro
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrenti – nonchè contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME
-non intimata –
avverso la sentenza n. 5343/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata in data 27/11/2019
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 22.2.2013 COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME COGNOME innanzi il Tribunale di Venezia, esponendo di esser stati soci, unitamente al convenuto, della società RAGIONE_SOCIALE posta in liquidazione nel 2011, e di essere creditori, nei confronti dello stesso, della somma di € 203.593,14 in forza di decreto ingiuntivo non opposto, a titolo di regresso interno tra condebitori solidali, per le somme da essi attori pagate, anche nell’interesse del convenuto, ad un istituto bancario creditore della liquidata società e dei suoi soci, fideiussori. Esponevano altresì che il COGNOME aveva costituito con la moglie COGNOME NOME, in data 6.6.2003, la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Franco, alla quale aveva conferito alcuni beni, ed aveva poi ceduto alla stessa COGNOME, con atto dell’8.5.2005, la sua quota pari ad un mezzo della piena proprietà dell’immobile adibito ad abitazione coniugale. Chiedevano quindi l’accertamento della simulazione assoluta di detti atti, evidenziando anche l’irrisorietà del corrispettivo
della cessione del 2005 e la mancata prova del versamento del prezzo pattuito.
Si costituivano RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME Franco, resistendo alla domanda.
Con sentenza n. 477/2015 il Tribunale accoglieva la domanda di simulazione del contratto di cessione dell’8.3.2005, rilevando la mancanza della prova del versamento del corrispettivo pattuito, il rapporto di stretta parentela tra le parti, l’irrisorietà del prezzo pattuito, nonché la circostanza che il COGNOME, cedente, aveva assunto l’obbligo di provvedere al saldo delle rate del mutuo insistente sul cespite ceduto e ne aveva sostenuto, pro quota , gli oneri di costruzione, anche in epoca successiva alla cessione predetta.
Con la sentenza impugnata, n. 5343/2019, la Corte di Appello di Venezia, dopo aver ritenuto inammissibili le produzioni documentali eseguite in seconde cure, rigettava i gravami, principale e incidentale, proposti dalle parti avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e COGNOME COGNOME affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La società RAGIONE_SOCIALE parte del giudizio di appello, non è stata intimata nel presente giudizio di legittimità.
Con atto datato 9.5.2025, depositato in via telematica il 12.5.2025, si sono costituiti i nuovi difensori di COGNOME NOMECOGNOME facendo proprie le difese già svolte dal precedente procuratore del predetto controricorrente.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, nonché la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare, nell’ambito del giudizio concernente la ravvisata irrisorietà del corrispettivo pattuito per la cessione dell’8.5.2005, la circostanza che il prezzo di acquisto versato nel 2001 dai coniugi COGNOME per l’acquisto del cespite poi adibito a casa coniugale era pari ad € 54.227,97. Rispetto a tale somma, il corrispettivo pattuito per la cessione della quota del 50% del bene nel 2005, pari ad € 27.000, non avrebbe potuto essere ritenuta irrisoria.
Con il secondo motivo, invece, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo, nonché la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte territoriale avrebbe trascurato di tener conto che l’immobile acquistato dagli odierni ricorrenti nel 2001 era stato demolito interamente e che, al momento della cessione del 2005, le opere di ricostruzione non erano ancora state iniziate. Inoltre, sul terreno costituente il sedime del cespite demolito, oggetto della predetta cessione, era stata costituita ipoteca a fronte di un mutuo stipulato con la Banca di Santo Stefano dalla sola Vignotto.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono ancora dell’omesso esame di un fatto decisivo, nonché della violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe valutato il comportamento dei coniugi COGNOME successivo alla stipula della cessione del 2005, che confermerebbe l’effettivo trasferimento alla prima della proprietà del bene. In particolare, la COGNOME aveva fatto fronte alla prima rata dei lavori di ricostruzione dell’immobile demolito, aveva chiesto ed ottenuto l’agibilità del bene una volta terminati i lavori, aveva ottenuto il collaudo
statico dell’edificio ed aveva contratto, lei sola, il mutuo con la Banca di Santo Stefano necessario per ricostruire l’immobile.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono inammissibili nella parte in cui denunziano l’omesso esame di fatti decisivi, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Peraltro, va evidenziato che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice.
Le doglianze in esame, invece, sono infondate nella parte in cui denunziano una violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., poiché il giudice di merito non ha confermato la decisione di prime cure sulla base di un ragionamento presuntivo, bensì valorizzando una serie di elementi emergenti dall’istruttoria, peraltro solo parzialmente attinti dai motivi di ricorso. In particolare, sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano evidenziato, nell’ordine: la mancanza della prova del versamento del corrispettivo pattuito per la cessione del 2005; il rapporto di stretta parentela corrente tra le parti; l’irrisorietà del prezzo pattuito; nonché la
circostanza che il COGNOME, cedente, aveva assunto l’obbligo di provvedere al saldo delle rate del mutuo insistente sul cespite ceduto e ne aveva sostenuto, pro quota, gli oneri di costruzione, anche in epoca successiva alla cessione predetta. Di tali elementi, soltanto quello concernente l’irrisorietà del corrispettivo risulta specificamente attinto dai motivi in esame, mentre tutti gli altri, tra cui quello -di per sé decisivorelativo alla mancata dimostrazione dell’effettivo saldo del prezzo pattuito per il trasferimento della proprietà della quota dell’immobile oggetto del contratto di cui si discute, non sono stati contestati. Sarebbe stato, viceversa, onere dei ricorrenti confrontarsi in modo specifico con tutti gli elementi di prova valorizzati dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione, dovendosi ribadire, sul punto, che ‘Quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020, Rv. 658309; conf. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024, Rv. 670188; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14740 del 13/07/2005, Rv. 582931; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2928 del 11/05/1982, Rv. 420828).
Con specifico riferimento al terzo motivo, inoltre, va osservato che non appare decisiva neppure la deduzione, operata a pag. 16 del ricorso, secondo cui il credito vantato dall’istituto bancario nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, poi estinto dai fideiussori, odierni controricorrenti, sarebbe sorto solo successivamente alla cessione della quota di partecipazione alla stessa da parte della COGNOME. Va infatti ribadito, al riguardo, che in relazione alla domanda di simulazione non assume rilievo, nei confronti del terzo pregiudicato dal negozio simulato, l’aspetto temporale legato al
momento in cui è sorto il credito; infatti ‘Il terzo creditore è legittimato a far valere la simulazione di un atto posto in essere dal suo debitore e per lui pregiudizievole, anche se il suo credito non è anteriore all’atto simulato’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1127 del 05/02/1987, Rv. 450690).
Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente valutato la circostanza che il COGNOME, anche dopo la cessione del 2005, aveva fatto fronte, pro quota , alle spese di ricostruzione del cespite demolito ceduto alla moglie, inferendo dalla stessa la prova della natura simulata della cessione del 2005 di cui si discute.
Con il quinto motivo, invece, contestano la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente operato il giudizio presuntivo circa la natura simulata della cessione del 2005, travisando le risultanze dell’istruttoria.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., si rinvia alle considerazioni esposte in relazione ai primi tre motivi di ricorso: nella specie, il giudice di merito non ha affatto operato un giudizio presuntivo, ma ha valutato le complessive risultanze dell’istruttoria, valorizzando i diversi elementi sulla cui base ha concluso per la natura simulata della cessione del 2005 oggetto di causa.
Con riguardo invece all’asserita violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., si deve dare continuità al principio secondo cui la prima è utilmente deducibile in sede di legittimità soltanto quando il giudice di
merito ‘… in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) …’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre la deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ‘… ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02). Poiché nessuna delle ipotesi suindicate sussiste, avendo il giudice di merito operato semplicemente una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, le censure sono, per questo profilo, destituite di fondamento. Esse, in ultima analisi, si risolvono nella contrapposizione, all’apprezzamento del fatto e delle prove operata dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013,
Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Infine, per quanto attiene specificamente al quinto motivo, va rilevata l’inammissibilità della deduzione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., a cagione della già rilevata sussistenza di una ipotesi di cd. doppia conforme.
L’esito infausto del ricorso consente di non rilevare, in applicazione del criterio della cd. ragione più liquida (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490; conf. Cass. Sez. 6 -L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014, Rv. 631058; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11458 del 11/05/2018, Rv. 648510; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 363 del 09/01/2019, Rv. 652184) la mancanza della prova della notificazione del ricorso a
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Franco, già parte del giudizio di appello e non intimata nel presente giudizio di legittimità.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Esse sono liquidate unitariamente per tutti e tre i controricorrenti, nonostante la costituzione dei nuovi procuratori del COGNOME, avvenuta in prossimità dell’adunanza camerale, considerato che la memoria è stata comunque redatta dal precedente difensore e che i nuovi legali del predetto COGNOME si sono limitati a far proprie le difese già svolte dall’avvocato che li aveva preceduti nella difesa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, unitariamente considerata, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.400, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda