Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10526 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10526 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13152/2022 R.G. proposto da: COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del suo procuratore speciale e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente-
COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE d’appello di CATANIA n. 2120/2021, depositata il 09/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Catania, con la sentenza n. 1806/2018, accoglieva la domanda principale di Unipolbanca S.p.A., creditrice della complessiva somma di euro 359.877,98 nei confronti dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME e dichiarava la simulazione assoluta dell’atto con cui gli stessi, dismettendo il loro compendio immobiliare, avevano venduto a NOME COGNOME e a NOME COGNOME alcuni immobili siti nel comune di Tremestrieri Etneo (CT).
In particolare, il tribunale riteneva rilevante che: a) sebbene gli immobili fossero gravati da due ipoteche, i venditori li avessero dichiarati liberi da trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli e avessero dispensato il notaio rogante dall’effettuazione delle visure; b) sia nell’atto di costituzione in giudizio sia nell’interrogatorio formale reso dal Nicotra i venditori avessero confessato di aver simulato la vendita; c) i testimoni avessero confermato la natura fittizia dell’atto dispositivo; d) non vi fosse prova del pagamento del corrispettivo.
La Corte d’appello di Catania, all’esito del giudizio promosso da NOME COGNOME e da NOME COGNOME con la sentenza n.
2120/2021, depositata il 09/11/2021, ha rigettato il gravame e confermato la decisione del tribunale.
Pur considerando fondata la censura mossa con il primo motivo con cui veniva lamentata l’assenza del carattere confessorio nelle dichiarazioni rese dal COGNOME ha ritenuto che la prova della simulazione degli atti per cui è causa emergesse <> (p. 7); ha disatteso il secondo motivo di gravame con cui si confutava la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva attribuito efficacia probatoria alle dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME, rilevando che i limiti di cui all’art. 2732 cod.civ. riguardano solo le parti; ha confermato l’ammissibilità della prova testimoniale di NOME COGNOME non essendo il limite di valore di cui all’art. 2721 cod.civ. posto a presidio dell’ordine pubblico, con la conseguenza che, un volta ammessa, in assenza di contestazione, la prova testimoniale doveva ritenersi ritualmente acquisita; ha escluso che vi fosse prova dell’avvenuto pagamento del corrispettivo, perché gli assegni prodotti dai COGNOMECOGNOME il più delle volte erano intestati ad MM (ovvero me stesso) ed inoltre erano emessi per cifre non elevate che non facevano pensare ad un pagamento organizzato allo scopo di acquistare l’immobile, ma alla sussistenza di rapporti commerciali tra le parti in corso da anni, e perché le dichiarazioni del teste COGNOME erano generiche e mancavano di riferimento ai tempi, ai contesti e agli importi degli assegni; ha ritenuto non decisiva la circostanza che due anni dopo l’acquisto la figlia del COGNOME si fosse trasferita nell’immobile; ha dato rilievo al tentativo di liberare l’immobile dalle ipoteche e dalle azioni esecutive dei creditori, non considerando <>; ha considerato negativamente l’assenza di accordi preliminari che avrebbero dato ai pagamenti rateali e all’accordo una dimensione temporale e progressiva che potesse giustificare il risultato finale (ossia il trasferimento).
NOME COGNOME e NOME ricorrono per la cassazione di detta sentenza, formulando sette motivi, illustrati con memoria.
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con separati controricorsi, corredati di memoria.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1415,1416 e 1417 cod.civ., in relazione all’ art.360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Dopo aver riportato i numerosi passaggi argomentativi con cui è stata confermata la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto indimostrato l’avvenuto pagamento del prezzo, i ricorrenti concentrano il loro sforzo confutativo nel tentativo di dimostrare che la corte territoriale non abbia esaminato i singoli elementi istruttori (dichiarazioni dei testi, documenti), non li abbia valutati nella loro globalità per verificare l’effettiva convergenza di ogni indizio, abbia dato rilievo a indizi non gravi, né precisi e tantomeno concordanti. Così facendo, oltre a incorrere nella violazione degli artt. 2729 e ss. cod.civ., avrebbe violato l’art. 115 cod.proc.civ. e l’art. 116 cod.proc.civ., quando ha valorizzato, ai fini della simulazione, elementi di fatto che tutt’ al più avrebbero potuto rilevare ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria, ha
omesso di considerare elementi che avrebbero potuto dimostrare il contrario: la quietanza rilasciata dai coniugi COGNOME-Recupero in favore degli acquirenti, gli assegni prodotti in giudizio che, benché intestati a ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riportavano la firma di girata di NOME COGNOME a riprova che li aveva incassati, la deposizione del COGNOME che aveva dichiarato di avere assistito personalmente alla dazione di alcuni degli assegni da parte del COGNOME al COGNOME, le dichiarazioni dei disponenti COGNOME-Recupero che avevano riferito dell’avvenuta dazione di danaro da parte del COGNOME in favore del COGNOME, la ristrutturazione dell’immobile con costi a carico degli acquirenti, il trasferimento della residenza in quell’immobile da parte di NOME COGNOME l’avvenuto pagamento del debito del COGNOME da parte di NOME COGNOME per il complessivo importo di euro 12.780,00, il pagamento eseguito dal COGNOME per estinguere un ulteriore debito del Nicotra verso Unipolbanca S.p.A. per rate insolute del mutuo ipotecario iscritto sull’immobile oggetto di causa.
Il motivo è infondato.
Nonostante gli sforzi confutativi di parte ricorrente la censura si sostanzia nella richiesta di una differente valutazione degli elementi di fatto incompatibile con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità, non bastando, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, argomentata attraverso la mera critica del convincimento cui il giudice è pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione di una difforme interpretazione degli accertamenti fattuali rispetto a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia.
Specificamente, va ribadito che:
la prova della simulazione assoluta che i terzi o i creditori sono chiamati a fornire ex art. 1417 c.c. può fondarsi su elementi presuntivi che normalmente sono la regola. Infatti, <> (v., da ultimo, Cass. 4/07/2024, n.18347);
ii) il ragionamento presuntivo, per vero, costituisce <> (Cass. 27/05/2024, n.14788);
iii) <> (Cass. 25/09/2023, n. 27266);
iv) <> (Cass. 21/03/2022, n. 9054), in quanto <> (Cass. 26/02/2020, n. 5279); la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può tradursi in argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione.
Ai suddetti principi si è correttamente attenuta la corte territoriale, la quale ha preso le mosse da plurimi indizi, la cui gravità, precisione e concordanza non sono inficiate dalle censure dei ricorrenti, atteso che: a) la <>, che significa solo che <>, non essendo, invece, <> (così Cass. 4/08/2017, n. 19485), come, invece, mostra di ritenere parte ricorrente: infatti, <>, essendo, invece, <<sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'"id quod plerumque accidit" (così Cass. 15/03/2018, n . 6387); b) la precisione <> (Cass. 21/01/2025, n.1467); c) la concordanza individua un <> (Cass. n. 19485/2017).
Né ha rilievo l’asserita mancata considerazione di alcune circostanze, perché il procedimento logico si articola in due momenti: quello della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti; quello della successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice) (Cass. n. 9054/2022, cit.) .
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art.2726 cod.civ. in relazione all’ art.360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello ha negato rilievo all’eventuale restituzione dei prestiti fatti al Nicotra, ritenendo decisivo il mancato pagamento del prezzo della compravendita.
L’errore della corte territoriale consisterebbe nell’avere ammesso, in violazione dell’art. 2726 cod.civ., testimonianze in contrasto con la quietanza rilasciata dai venditori nell’atto pubblico di compravendita; detta quietanza avrebbe dovuto essere contestata <> (Cass. 06/10/2014 n. 20993), come da pacifico insegnamento di questa Corte, secondo cui <> (Cass. 29/09/2020, n.20520). Ed allora la corte d’appello, non essendo stata acquisita agli atti alcuna prova degli elementi di cui all’art. 2732 cod.civ., correttamente applicando la norma, avrebbe dovuto riconoscere alla quietanza efficacia di confessione stragiudiziale e pertanto non avrebbe potuto tenere conto ai fini della decisione delle dichiarazioni testimoniali rese dai testi NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME salvo incorrere, come è accaduto, nella violazione dell’art. 2726 cod.civ.
Il motivo è inammissibile e infondato.
La censura qui formulata è stata già disattesa dalla corte d’appello con una statuizione di cui parte ricorrente non ha tenuto conto: a p. 8 della sentenza si legge, infatti, che le limitazioni di cui all’art. 2732 cod.civ. valgono esclusivamente tra le parti e non anche nei confronti dei terzi, qual è la banca appellata, e che nel caso di domanda di simulazione assoluta proposta da terzi la prova del pagamento grava sul compratore (Cass. 2008/28224). Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632).
L’infondatezza deriva dal fatto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, > (Cass. 4/07/2024, n.18347; Cass. 13/06/2018 n. 15510; Cass. 02/03/2017 n. 5326).
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art.2697 cod.civ. e dell’art. 116 cod.proc.civ., in relazione all’ art.360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Gli odierni ricorrenti sostengono di avere dimostrato -documentalmente e attraverso la prova testimoniale di NOME COGNOME e di NOME COGNOME – di avere versato al Nicotra il prezzo di compravendita tramite assegni pagati prima della stipula dell’atto nonché di avere utilizzato l’immobile per fini propri (trasferimento della figlia), oltre che di avere eseguito importanti opere di ristrutturazione sull’ immobile e di averlo anche liberato dai pesi su di esso gravanti e che controparte anziché contestare l’ avvenuto versamento del denaro -che quindi assume la rilevanza di un fatto storico certo- si sarebbe limitata a contestare la causale di detti versamenti, sostenendo che si trattasse di prestiti.
La corte d’appello, incorrendo nella violazione dell’art. 2697 cod.civ. e degli artt.115 e 116 cod.proc.civ., anziché esaminare le effettive risultanze probatorie acquisite in giudizio, avrebbe ritenuto non dimostrato che il corrispettivo del prezzo era stato versato, attribuendo rilievo ai rapporti commerciali tra le parti che avrebbero potuto giustificare l’emissione degli assegni, errando nel non considerare che detti rapporti intercorrevano con la società RAGIONE_SOCIALE e non con ilNicotra, e limitandosi a ipotizzare che gli assegni potessero essere stati emessi non per pagare il corrispettivo ma per altro titolo.
Il motivo è inammissibile.
Non ricorrono i presupposti per ritenere integrata la violazione dell’art. 2697 cod.civ. né quella degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.
Un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 cod.civ. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa
da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 cod.civ. risulti argomentato postulando (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod.proc.civ. (se si considera l’art. 2697 cod.civ. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ. (se si considera l’art. 2697 cod.civ. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma ( Cass., Sez.Un., 5/08/2016, n. 16598 e successiva giurisprudenza conforme).
Perché si configuri effettivamente un motivo denunciante la violazione del paradigma dell’art. 115 cod.proc.civ. è necessario che venga denunciato, nell’attività argomentativa ed illustrativa del motivo, che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 cod.proc.civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte
dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod.proc.civ., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”. Approfondimenti sul punto si rinvengono in Cass. 10/06/2016, 11892, che riprende un principio di diritto già espresso in motivazione da Cass. Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598 e ribadito da Cass., Sez. Un., n. 24/09/2020, n. 20087.
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e falsa applicazione degli artt. 246, 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’ art.360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., l’omessa e/o apparente motivazione della sentenza e quindi la violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
La corte d’appello, nel valorizzare le dichiarazioni rese dai testi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente, figli e genero dei coniugi COGNOME, ha sostenuto che: <>.
I ricorrenti insistono nel ritenere che essi avessero un interesse in causa, convergente con quello dei convenuti (quello di sottrarre la propria garanzia patrimoniale alle azioni recuperatorie della banca) e che abbiano reso dichiarazioni nell’interrogatorio formale in
contraddizione tra di loro e con le altre prove documentali: la teste NOME COGNOME prima, dichiarava che, a fronte dei presunti prestiti ricevuti, il padre aveva restituito le somme al Cordovana, per poi contraddirsi, sostenendo di avere restituito lei stessa delle somme a nome del padre; la testimonianza resa da NOME COGNOME è ‘de relato’, avendo riportato di fatti appresi non in modo immediato e diretto, bensì attraverso i racconti altrui.
Aggiungono che la circostanza della presunta restituzione dal COGNOME al COGNOME delle somme ricevute in prestito (fatto da cui gli odierni appellati vorrebbero far discendere la dimostrazione dell’asserito diverso titolo su cui si fonderebbero gli assegni citati nell’atto di compravendita) non troverebbe riscontro negli assegni emessi da NOME COGNOME prodotti in giudizio dalla banca, i quali erano intestati a RAGIONE_SOCIALE‘ e, eccezion fatta per l’assegno n. 091130345308 del 10/02/2007 per l’importo di euro 5.375,00, non riportavano mai la girata del Cordovana, bensì di soggetti terzi, e l’asserita restituzione della somma di euro 78.050,00 ad opera della figlia NOME COGNOME non era stata dimostrata documentalmente; di conseguenza, non poteva dirsi raggiunta la prova della presunta restituzione dei prestiti dal COGNOME al Cordovana, né che il titolo degli assegni emessi dal Cordovana in favore di NOME COGNOME per il complessivo importo di euro 200.000,00 fosse da ricercare in una causale diversa dal pagamento del corrispettivo della compravendita e specificamente in presunti pregressi prestiti personali.
Il motivo è inammissibile.
E’ sufficiente rilevare che i ricorrenti non si sono affatto confrontati con la sentenza impugnata nella parte in cui ha vagliato e disatteso le stesse censure che i ricorrenti hanno (ri)proposto con il motivo qui scrutinato.
Le censure sono formulate anche in questo caso contrapponendo una propria valutazione a quella espressa dalla sentenza
impugnata, concretizzando gli estremi del non motivo, inammissibile ex art. 366, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632).
A rendere ulteriormente inammissibile il motivo e tutte le argomentazioni che lo sostengono vi è il rilievo che la corte d’appello ha inequivocabilmente ritenuto decisivo, ai fini dell’accoglimento della domanda di simulazione assoluta, il mancato pagamento del corrispettivo, mentre ha negato rilievo alla circostanza che gli eventuali prestiti fatti al Nicotra fossero stati da questi restituiti (p. 9).
5) Con il quinto motivo i ricorrenti denunziano l’omesso esame dei documenti prodotti nella memoria depositata ex art. 183, 6° comma, n. 3 cod.proc.civ. il 18/1/2013, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ., l’omessa motivazione e quindi la violazione dell’art.132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ. e dell’art. 111, 6° comma, Cost., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
Il giudice a quo non avrebbe esaminato le memorie istruttorie depositate dalla difesa degli esponenti nel giudizio di primo grado in data 18/1/2013 ai sensi dell’art. 183, 6° comma, n. 3 cod.proc.civ., con cui gli esponenti si erano opposti alle richieste di prova per testi promosse dai convenuti COGNOMERecupero e dall’attrice Unipolbanca S.p.A., rilevandone l’inammissibilità per violazione dei limiti previsti dagli artt. 1417 e 2722 cod.civ.
Sussistendo una chiara contestazione sull’ ammissibilità della prova richiesta, la corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’ammissibilità della testimonianza anche ai sensi dell’art. 2721 cod.civ., escludendo quindi qualsiasi possibilità di ritenere ritualmente acquisita la prova in assenza di una tempestiva eccezione di inammissibilità. L’eccezione di inammissibilità era
stata infatti tempestivamente proposta in primo grado con le memorie istruttorie ed era stata reiterata anche in appello. La corte territoriale invece ne avrebbe omesso del tutto l’esame ed avrebbe anche omesso di verificarne l’avvenuto deposito nel fascicolo d’ ufficio, regolarmente avvenuto ed annotato.
Il motivo è, in parte, inammissibile, per plurime e concorrenti ragioni, ed in parte è infondato.
In presenza di una doppia conforme di merito la censura di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. non è ammissibile, ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod.proc.civ. (disposizione oggi abrogata, ma applicabile alla fattispecie, ratione temporis , e comunque, oggi sostanzialmente trasfusa nel 4° comma dell’art. 360 cod.proc.civ.).
Né può farsi a meno di rilevare che le memorie istruttorie non sono fatti, del cui omesso esame ci si possa dolere ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.
La censura di violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. va disattesa, perché detta disposizione del codice di rito riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art.
360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame.
Non è fondata la censura di violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ. e dell’art. 111, 6° comma, Cost., perché la motivazione per cui la corte territoriale ha ritenuto ammissibile la prova testimoniale, anche ai sensi dell’art. 2721 cod.civ., c’è ed è pienamente intellegibile: la corte d’appello ha verificato che le memorie istruttorie ex art. 183, 6° comma, n. 3 cod.proc.civ. non erano presenti nel fascicolo d’ufficio, né nel fascicolo di parte e che la nullità della prova testimoniale per superamento dei limiti di valore di cui all’art. 2721 cod.civ. non poteva essere eccepita per la prima volta in appello, con la comparsa conclusionale.
6) Con il sesto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte territoriale, ritenendo che gli appellanti non avessero fornito nessuna spiegazione in fatto ai rilievi del tribunale relativi agli importi ed
alle date degli assegni, alla loro frequente intestazione all’emittente, all’assenza di un contratto preliminare, all’intestazione di uno degli assegni alla RAGIONE_SOCIALE e, cioè, ad un soggetto diverso dai venditori, ha concluso che l’appello ( rectius il motivo di appello) appariva privo di specificità in violazione del disposto di cui all’art. 342 cod.proc.civ.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, i ricorrenti sostengono di avere indicato le ragioni per le quali le affermazioni del tribunale risultavano errate: alle pagine 2024 dell’atto d’appello avevano censurato la sentenza del tribunale per avere ritenuto che non vi era prova dell’effettivo pagamento del prezzo, affermando che nessuna rilevanza aveva la circostanza dell’avvenuta produzione in giudizio da parte dei coniugi CordovanaGiordano di 8 assegni sui 15 citati nell’atto di compravendita, atteso che l’onere probatorio in capo ai convenuti acquirenti era stato ampiamente adempiuto a seguito della mancata contestazione da parte degli alienanti, e che comunque il mancato pagamento del prezzo avrebbe potuto rilevare come inadempimento dell’acquirente, ma non avrebbe giustificato la declaratoria di simulazione assoluta.
Aggiungono che il pagamento del corrispettivo della compravendita nella misura di euro 200.000,00 indicato nell’atto di vendita risulterebbe provato: a) dalla quietanza rilasciata dai coniugi COGNOME nell’atto di compravendita; b) dagli assegni prodotti in giudizio, i quali, seppur emessi da NOME COGNOME ed intestati a ‘RAGIONE_SOCIALE‘, riportavano la firma di girata di NOME COGNOME; c) dalle dichiarazioni del teste NOME COGNOME il quale aveva dichiarato di avere assistito personalmente alla dazione di alcuni degli assegni da parte del Cordovana al Nicotra; d) dagli stessi testi dei convenuti Nicotra-Recupero, che avevano confermato l’avvenuta dazione di danaro da parte del Cordovana in
favore di COGNOME seppur asserendo che si trattasse di diverso titolo.
Il motivo è inammissibile.
Oltre a dover ribadire che secondo la giurisprudenza di questa Corte <> (Cass. 2/03/2017, n. 5326; Cass. 13/06/2018, n. 15510; Cass. 4/07/2024, n.18347) e che quindi non colgono nel segno i ricorrenti quando ritengono che il mancato pagamento del prezzo potrebbe rilevare sub specie di inadempimento e non essere utilizzato per dichiarare la simulazione assoluta dell’atto, le argomentazioni a sostegno del motivo si sostanziano in una richiesta di rivalutazione di plurimi fatti di causa da cui è originata l’azione. La rivalutazione degli accertamenti fattuali è estranea, però, al perimetro del sindacato di legittimità, perché incompatibile con i suoi caratteri morfologici e funzionali; l’accoglimento di tale richiesta implicherebbe la trasformazione del processo di cassazione in un terzo giudizio di merito, nel quale ridiscutere il contenuto di fatti e di vicende del processo e dei convincimenti del giudice maturati in relazione ad essi – evidentemente non graditi – al fine di ottenere la sostituzione di questi ultimi con altri più collimanti con propri desiderata, rendendo, in ultima analisi, fungibile la ricostruzione dei fatti e le valutazioni di merito con il sindacato di legittimità avente ad oggetto i provvedimenti di merito.
Nella parte in cui censurano la declaratoria di aspecificità del motivo di appello aggrediscono (solo) una delle rationes decidendi su cui la corte d’appello ha fondato la decisione di conferma della
sentenza del tribunale. Costituisce ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cass. 26/02/2024, n. 5102).
7) Con il settimo motivo i ricorrenti deducono l'<>.
La corte d’appello avrebbe omesso di considerare che gli esponenti successivamente all’acquisto dell’immobile avevano eseguito importanti opere di ristrutturazione, al fine di consentire poi il trasferimento alla figlia NOME COGNOME
Il motivo è inammissibile.
Ancora una volta i ricorrenti dimostrano di non confrontarsi con la sentenza impugnata, dalla quale (p. 12) si evince che le ristrutturazioni sull’immobile eseguite dalla figlia degli odierni ricorrenti prima di prendervi la residenza sono state ritenute dal giudice a quo una circostanza <>; il che esclude che la corte territoriale sia incorsa in alcun vizio di motivazione, ma anche che vi siano i presupposti per denunciare la violazione di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.: violazione, peraltro, inammissibile anche per le ragioni evidenziati supra sub § 5.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 7 marzo 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME