Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30289 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30289 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
Oggetto: Servitù di passaggio e acquedotto Usucapione o dicatio ad patriam.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14932/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 68/2021 resa dalla Corte d’Appello di Trento, pubblicata il 9/3/2021 e notificata il 25/3/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 novembre 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
1. Con atto di citazione dal 03/03/2016, il Comune di Primiero San Martino di Castrozza, subentrato nella titolarità dei rapporti dell’ ex Comune di Siror, convenne in giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, chiedendo che fosse accertata e dichiarata, nei loro confronti, l’usucapione pubblica ventennale della servitù di passaggio sul sentiero facente parte delle particelle fondiarie 1090/1, 1090/11, 1090/2 e 1090/3 in C.C. di Siror di proprietà dei convenuti e della servitù di acquedotto esistente al di sotto delle predette particelle fondiarie, nonché, in subordine, l’accertamento del diritto di uso pubblico per intervenuta c.d. dicatio in patriam sulle medesime particelle.
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le richieste attoree, sostenendo che il passaggio, peraltro sporadico e clandestino, non fosse mai stato esercitato da una generalità indifferenziata di cittadini, ma da una limitata cerchia di persone, quali gli ospiti, i confinanti e le persone residenti nelle vicinanze, ed eccependo la carenza di interesse del Comune, dato che il sentiero culminava con le proprietà di terzi non convenuti in giudizio.
Con sentenza n. 968/2018 del 26/10/2018, il Tribunale di Trento rigettò le domande attoree.
Il giudizio di gravame, instaurato dal medesimo Comune, si concluse, nella resistenza degli appellati, con la sentenza del 04/02/2021, con la quale la Corte d’Appello di Trento accolse la domanda principale, accertando e dichiarando l’usucapione della servitù pubblica di passaggio e di acquedotto in favore del Comune e gravante su parte delle particelle fondiarie 1090/1 di proprietà di NOME, e 1090/11, 1090/2 e 1090/3, di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME, della larghezza di ml. 1,30, ordinò l’intavolazione del relativo diritto in favore del Comune appellante e condannò gli appellati alla rimessa in pristino delle rispettive aree onde favorire l’esercizio delle servitù
pubbliche, astenendosi dal realizzare condotte ostative, e al pagamento dalle spese del doppio grado del giudizio.
Contro la predetta sentenza, NOME, NOME e NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sette motivi. Il Comune di Primiero San Martino Di Castrozza si è difeso con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e, in subordine, dell’art. 345 cod. proc. civ. e, in ulteriore subordine, dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito riconosciuto una servitù di acquedotto che non era stata richiesta in alcun modo in primo grado, posto che la presenza del collettore di acque bianche provenienti dalle pubbliche caditoie stradali e dai pluviali delle grondaie degli edifici dell’abitato di Nolesca era stata dedotta al solo fine di confortare la sussistenza di una servitù pubblica (di passaggio), che, quand’anche detta azione fosse stata ravvisabile nell’atto di appello, sarebbe stata da considerare nuova e che l’affermata pacificità della circostanza non avrebbe potuto essere dichiarata, non potendosi
parlare di non contestazione in relazione alla deduzione di fatti non seguiti da apposita domanda.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e, conseguentemente, degli artt. 1158 e 1140 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, tenendo conto della sola descrizione dei luoghi effettuata dal c.t.u., avevano ritenuto provati i presupposti di fatto per l’acquisizione della servitù di passaggio e di acquedotto, che avrebbe richiesto, invece, la dimostrazione dell’esercizio del potere di fatto del bene per un ventennio da parte di una collettività di persone attraverso una protratta condotta dinamica, non desumibile, invece, dall’attestazione di una situazione di fatto statica, ossia dalla presenza di un sentiero, dal rilievo sulla situazione dei luoghi nel 1970, dalla presenza di una struttura cementizia in assenza di prova sulla concreta fruizione ai fini di transito nell’anno 1988 e 2002 e dalla cartina delle passeggiate riferibile peraltro al 2013 quando il passaggio era ostruito da un roseto, a fronte, peraltro, dell’accertata assenza di indicazione del percorso nella cartografia urbanistica e di cartellonistica stradale, nonché dalla rilevata insussistenza di attività di manutenzione e sgombero da parte del Comune. Né era corretto il richiamo alla mancata contestazione della presenza del percorso e al dies a quo nel 1970, avendo i ricorrenti contestato l’esistenza del passaggio pubblico e dedotto prove orali di segno contrario che, però, non erano state ammesse, e avendo evidenziato come il parcheggio cui il percorso avrebbe condotto era stato realizzato dal Comune soltanto nel 2008.
Col terzo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuti dimostrati i fatti costitutivi dei diritti dedotti pur in difetto di prove.
Col quarto motivo, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione delle parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di considerare la nota del 21/8/2013, a firma del sindaco del Comune di Siror, la quale prendeva atto del fatto che il collegamento pedonale non fosse comunale ma di proprietà di cinque privati, senza che nei documenti tavolari fosse iscritto alcun titolo di passaggio, e che i proprietari dei fondi fossero invitati a partecipare ad alcuni incontri finalizzati alla realizzazione di un percorso pedonale pubblico sui fondi onde collegare le strade comunali di INDIRIZZO e la strada arginale presso il torrente Cismon, fatto questo che si poneva in modo antitetico rispetto ai pretesi possesso e animus possidendi .
Col quinto motivo, si lamenta, in subordine, la violazione ed erronea applicazione dell’art. 1167 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano equivocato sulla riferibilità dell’inizio del possesso nel 1970, laddove tale data era stata indicata dal c.t.u. solo per dire che era stata all’epoca realizzata la strada arginale lungo il lato destro del torrente Cismon, mentre la realizzazione del percorso era stata fatta risalire al 1988, individuata dal c.t.u. come dies a quo del dedotto possesso. I ricorrenti, posto che non avevano mai contestato la presenza del percorso, ma soltanto il suo uso da parte della generalità dei consociati, hanno evidenziato come nel 2002 le COGNOME avessero presentato in Comune la richiesta di autorizzazione edilizia, poi ottenuta, per il rifacimento della staccionata in legno delimitativa del sentiero, la quale era stata sostituita dalla piantumazione di una siepe di roseto divenuta negli anni tale da ostruire il passaggio, sì da dimostrare di voler impedire il passaggio dei terzi, senza che il Comune vi si opponesse, e come questa situazione costituisse atto interruttivo
del possesso. Inoltre, nessuna opposizione vi era stata da parte dell’ente quando il NOME, nel 2013, aveva provveduto al collocamento di una struttura lignea che inibiva il passaggio. Tali atti interruttivi non erano stati analizzati dai giudici di merito.
Col sesto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 1141 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano affermato che il Comune avesse iniziato il possesso nel 1970 alla stregua di quanto desunto dalla consulenza tecnica, che vi aveva però fatto riferimento al solo fine di attestare che, in quella data, era stata realizzata la strada arginale lungo il torrente Cismon, e non per affermare che esisteva il sentiero conteso, e ciò nonostante il Comune non avesse alcun titolo che ne legittimasse il transito e non avesse fornito alcuna prova a dimostrazione del possesso iniziale, avendo anzi ammesso con dichiarazioni confessorie di non avere il possesso nel 2013.
Col settimo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., anche in relazione alle prescrizioni contenute nel d.m. n. 55 del 2014 e dell’art. 2233 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito liquidato le spese anche del giudizio di primo grado, in violazione dei parametri minimi e massimi. Infatti, il valore della controversia era inferiore a euro 1.000,00, come dichiarato nell’atto di citazione e nell’atto di appello, mentre i giudici avevano liquidato la somma di euro 3.500,00 per il primo grado e di euro 5.000,00 per il secondo, mentre avrebbe dovuto liquidare rispettivamente un massimo di euro 1.172,00 e di euro 802,00.
Il primo motivo è infondato.
Si osserva, innanzitutto, come i principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. e del tantum devolutum quantum appellatum ex artt. 342 e 343 cod. proc. civ., lamentati dal ricorrente, implichino il divieto, per il giudice,
di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto ( petitum mediato ) oppure di emettere qualsiasi pronuncia su domanda nuova, quanto a causa petendi (Cass., Sez. L, 12/5/2006, n. 11039; Cass., Sez. L, 11/7/2007, n. 15496; Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513; Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513; Cass., Sez. 3, 25/9/2009, n. 20652), riguardando il relativo vizio soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. Sez. 2, 26/1/2021, n. 1616).
L’individuazione del contenuto della domanda, costituente attività riservata al giudice di merito (Cass., Sez. 5, 6/11/2023, n. 30770), non è peraltro strettamente legata al solo tenore letterale degli atti, ma va effettuata sulla base del contenuto della pretesa fatta valere in giudizio, potendosi considerare, come implicita, un’istanza non espressa ma connessa al petitum e alla causa petendi (Cass., Sez. 2, 14/3/2019, n. 7322) alla stregua delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati (Cass., Sez. 6-3, 05/02/2019, n. 3363).
Nella specie, i giudici di merito hanno ravvisato nella domanda proposta dal Comune anche quella avente ad oggetto la servitù di acquedotto, asseritamente pretermessa dal giudice di primo grado, affermando che questa era stata esercitata attraverso la canaletta idrica coperta da lastre cementizie piane con funzione di deflusso delle acque bianche provenienti dall’abitato della vicina frazione di Nolesca e che tale funzione, nella parte sottostante i mappali degli appellati, si era creata in seguito a opere di trasformazione operate dalla PAT sull’originario letto del rivo Valserena, straripato nell’alluvione del 1966.
In assenza di ulteriori indicazioni nella censura, deve allora escludersi che vi sia stata la lamentata violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, giacché la sola
mancata esplicitazione della domanda nel petitum (nella specie si parla genericamente di servitù senza indicarne l’oggetto), come evidenziato nella censura, non significa che quella domanda non sia stata proposta allorché essa sia traibile dalle deduzioni contenute nell’atto.
Il secondo motivo è, invece, fondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, al fine di qualificare una strada come destinata ad uso pubblico, è necessario fornire la duplice dimostrazione dell’effettiva destinazione della stessa al servizio della collettività e dell’esistenza di un titolo valido (Cass., Sez. 6 – 2, 12/03/2021, n. 7091; Cass. Sez. 2, 05/07/2013, n. 16864; Cass., Sez. 2, 12/07/1991, n. 7718; Cass., Sez. 2, 23/4/1974, n. 1168; Cass., 17/4/1972 n. 1231; Cass., Sez. 2, 18/11/1971, n. 3310; Cass., Sez. 2, 2/7/1969, n. 2432. Si veda anche
Cons. Stato, sez. 4, 19/3/2015, n. 1515;
Cons. Stato 23/9/2015, n. 4450, che ha indicato anche un quarto requisito, ossia quello dell’essere stata la strada oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio, come quelle telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche, da parte di ente pubblico. Sul punto, anche Cons. Stato, 10/5/2013, n. 2544; Cons. Stato, Sez. 4, 8/6/2011, n. 3509), il quale può essere costituito tanto da una convenzione tra i proprietari del suolo stradale e l’ente pubblico, quanto dall’usucapione (Cass., Sez. 2, 29/8/1998, n. 8619; Cass., Sez. 2, 10/06/1997, n. 5172; Cass., Sez. 2, 02/03/1976, n. 697, che esclude l’idoneità a tali fini di una convenzione di lottizzazione, che dà luogo solo ad un rapporto obbligatorio tra privato e comune senza avere effetto immediato sulla condizione, pubblica o privata, dei suoli, quando essa non sia seguita da altra
convenzione costitutiva di una servitù di uso pubblico sulla strada).
In quest’ultimo caso, non rileva la presenza di opere visibili e permanenti destinate all’esercizio della servitù, essendo il requisito dell’apparenza prescritto dall’art. 1061 cod. civ. soltanto per le servitù prediali (Cass., Sez. U, 3/10/2011, n. 20138; Cass., Sez. 2, 15/2/2005, n. 3024; Cass., Sez. 2, 5/5/1998, n. 4528), essendo invece necessario, al fine di garantire la non equivocità della destinazione al pubblico transito della strada, che ricorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un’utilizzazione uti singuli , cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; 2) l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù; 3) il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’ usucapione (Cass., Sez. 2, 29/11/2017, n. 28632; Cass., Sez. 2, 9/7/2003, n. 10772; Cass., Sez. 2, 29/8/1998, n. 8619).
Nella specie, i giudici di merito hanno tratto il convincimento della sussistenza della servitù pubblica, limitandosi ad analizzare il periodo di realizzazione della strada, individuato nel 1970, e il protrarsi di tali caratteristiche per oltre un ventennio, senza però verificare se questa fosse oggettivamente idonea a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite il suo esercizio e, soprattutto, se si fosse realizzato su di essa il passaggio generalizzato di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives , aspetti questi tutt’affatto evidenziati nella motivazione.
Ciò comporta la fondatezza della censura.
I restanti motivi restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo, essendo ad essi connessi (dal terzo al sesto) o consequenziali (il settimo).
In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo e l’assorbimento dei restanti, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Trento che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trento, che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del