Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11250 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11250 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23335/2023 R.G. proposto da:
COGNOME , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ricorrente
contro
COGNOME rappresentata e difesa NOME COGNOME dall’avv.
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 3914/2023 della Corte d’ appello di Napoli, depositata il 18-9-2023,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16-42025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, ha convenuto con ricorso ex art.702bis cod. proc. civ. ratione temporis vigente avanti al Tribunale di Napoli Nord NOME COGNOME, deducendo che con sentenza n. 607/2014 passata in giudicato il Tribunale di S. Maria Capua Vetere sezione distaccata di Aversa tra NOME COGNOME e il dante causa del convenuto NOME COGNOME aveva dichiarato costituito un diritto personale di godimento quanto alla presenza delle luci e delle
OGGETTO:
servitù irregolare
RG. 23335/2023
C.C. 16-4-2025
vedute dell’immobile sito in Orta di Atella in INDIRIZZO che affacciavano sul fondo di proprietà della ricorrente; nei confronti di NOME COGNOME già durante il giudizio conclusosi con la sentenza n. 607/2014, era in corso esecuzione immobiliare conclusasi con l’assegnazione dell’immobile a NOME COGNOME e l’esistenza del diritto personale di godimento era stato comunicato al delegato alla vendita prima della vendita; quindi, poiché con il trasferimento dell’immobile in favore del convenuto il diritto personale di godimento era cessato, ha chiesto che il convenuto fosse condannato a chiudere le luci e le vedute.
Con ordinanza emessa ex art. 702-ter cod. proc. civ. il 19-11-2018 il Tribunale di Napoli Nord ha rigettato la domanda e avverso l’ordinanza NOME NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Napoli ha deciso con sentenza n. 3914/2023 depositata il 18-92023; in accoglimento dell’appello e in riforma dell’ordinanza impugnata, la sentenza ha condannato NOME COGNOME a chiudere immediatamente, a sua cura e spese, le luci e le vedute come descritte nella c.t.u. eseguita nella causa conclusasi con la sentenza n. 607/2014 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sezione distaccata di Aversa.
La sentenza ha rilevato che, come già ritenuto dal Tribunale, con la sentenza n. 607/2014 passata in giudicato nel giudizio intercorso tra i danti causa delle parti il Tribunale di Aversa aveva dichiarato costituito ‘un diritto personale di godimento quant o alla presenza delle luci e delle vedute’ che affacciavano sul fondo di Amelia Pisano, espressamente qualificando tale diritto personale come ‘servitù irregolare’; quindi ha dichiarato che tra le parti in causa non era più possibile porre in discussione t ale accertamento, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. e il diritto, attesa la sua natura personale, non poteva ritenersi trasmissibile, in assenza di apposita convenzione tra l’avente diritto con il nuovo proprietario del bene; diversamente da quanto ritenuto dal
giudice di primo grado, l’estinzione del diritto personale, quale conseguenza del trasferimento al convenuto del bene in relazione al quale era stato costituito, aveva determinato il diritto della ricorrente a ottenere la chiusura delle finestre.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il 12-2-2024 il consigliere delegato ex art. 380-bis cod. proc. civ. ha depositato istanza di definizione accelerata del giudizio e in 22-32024 il difensore del ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 16-4-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. il primo motivo di ricorso è intitolato ‘ violazione degli artt. 702bis e 163, co.3, n.4 c.p.c. (art. 360, co.1 n. 4 c.p.c.) -violazione dell’art. 2909 c. civ. in relazione agli artt. 901 s.s. e 905 c. civ. (art. 360, co.1, n. 3 c.p.c.)’; con esso il ricorrente evidenzia che la controparte aveva proposto azione negatoria di servitù fondata soltanto sulla sentenza n. 607/2014 e che, come già ritenuto dal giudice di primo grado, una volta venuto meno il diritto personale di mantenere le finestre in forza di quella sentenza, la ricorrente non aveva dedotto null’altro al fine di sostenere che il mantenimento delle finestre sarebbe stato illegittimo e, in particolare, non aveva dedotto la violazione delle distanze legali. Quindi evidenzia come il giudicato di cui alla sentenza n. 607/2014 accertasse il diritto del precedente proprietario di conservare tutte le aperture verso il fondo della vicina
Pisano, ma non accertasse anche l’illegittimità di tutte le aperture esistenti.
1.1.Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio della pronuncia impugnata.
La sentenza impugnata ha dichiarato (pag. 7 ultimo periodo) che la ricorrente NOME COGNOME al fine di ottenere la chiusura delle finestre, aveva esercitato non una azione reale, lamentando la violazione delle distanze legali, ma un’azione personale conseguente all’estinzione della servitù irregolare accertata con la sentenza n. 607/2014; ha rilevato che, perciò, non era necessario, al fine di ottenere la condanna alla chiusura, che la ricorrente allegasse anche la violazione degli artt. 905 e ss. cod. civ. sulle distanze o la mancanza nelle aperture delle caratteristiche di cui all’art. 901 cod. civ.
La statuizione è immune da qualsiasi vizio giuridico in quanto, in presenza di servitù irregolare e cioè di diritto personale del precedente proprietario a tenere aperte quelle finestre, il trasferimento della proprietà dell’immobile non poteva in sé comportare il trasferimento di quel diritto al nuovo proprietario dell’immobile . E’ acquisito che la c.d. servitù irregolare -a fronte della tipicità dei diritti reali- comporta l’insorgenza di un rapporto obbligatorio atipico tra le parti, avente la funzione di determinare una situazione di vantaggio a favore del soggetto indicato nel relativo atto costitutivo, senza scopo di utilità per un fondo dominante con l’imposizione di un peso su un fondo servente (Cass. Sez. 2 17-9-2021 n. 25195 Rv. 662244-01, Cass. Sez. 2 11-22014 n. 3091 Rv. 629708-01, Cass. Sez. 2 4-2-2010 n. 2651 Rv. 611455-01); quindi tale diritto, attesane la natura personale e il carattere obbligatorio, va ritenuto incompatibile con la previsione di un obbligo personale di natura permanente (Cass. 25195/2021) e non è ipso facto trasmissibile, in assenza di ulteriore e apposita convenzione stipulata tra gli aventi causa dei precedenti titolari del rapporto
obbligatorio (Cass. Sez. 2 11-1-1999 n. 190 Rv. 522157-01). Il ricorrente, al fine di censurare la pronuncia in modo pertinente, non si sarebbe potuto limitare a sostenere che NOME COGNOME aveva proposto azione negatoria di servitù; avrebbe dovuto allegare e dimostrare, in termini ammissibili nel giudizio di legittimità e perciò in primo luogo facendo specifico riferimento ex art. 366 co. 1 n. 6 cod. proc. al contenuto degli atti di NOME COGNOME, che ella diversamente da quanto di chiarato dalla Corte d’appello – non aveva proposto azione volta ad accertare l’inesistenza in capo al convenuto del diritto personale che aveva il precedente proprietario dell’immobile, ma aveva proposto azione reale, e cioè azione negatoria di servitù, volta ad accertare che sul suo fondo non gravava diritto reale altrui. In mancanza, non soccorre a favore del ricorrente il fatto che NOME COGNOME non avesse dimostrato la violazione delle distanze legali; era il convenuto che, eventualmente, al fine di paralizzare la domanda fondata dalla ricorrente sul giudicato attestante che le aperture trovavano titolo solo in un diritto personale del precedente proprietario, avrebbe dovuto opporre l’esistenza di diverso titolo di acquisto del diritto a mantenere le finestre.
2.Con il secondo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione degli artt. 1362 in relazione agli artt. 1027 e 1031 c. civ. -(art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.) -violazione dell’art. 2909 c. civ. e dell’art. 111, co. 4, c.p.c. (art. 360, co.1, n.4 c.p.c.)’; dichiara che con la comparsa di costituzione in appello aveva riproposto, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., l’eccezione secondo la quale la previsione nella scrittura privata alla quale aveva fatto riferimento la sentenza n. 607/2014 era una ‘servitù reale’ e lamenta che la sentenza impugnata abbia res pinto l’eccezione in ragione dell’accertamento passato in giudicato di cui alla sentenza n. 607/2014; sostiene che la pronuncia sia erronea, in quanto l’accertamento del diritto del dante causa di tenere le aperture non
contemplava il correlativo obbligo del successore di chiuderle, né impediva che fosse fornita una diversa interpretazione del documento, in quanto dal decreto di trasferimento a favore di NOME COGNOME non risultava né l’annotazione della domanda di NOME COGNOME né la trascrizione della sentenza n. 607/2014 e in base all’art. 111 co.4 cod. proc. civ. l’accertamento non era opponibile all’avente causa. Aggiunge che, comunque, l’interpretazione della portata della scrittura non era impedita dal giudicato e sostiene che il tenore letterale della scrittura sia nel senso del riconoscimento di diritto reale.
2.1.Il motivo è infondato.
La pronuncia della sentenza impugnata in ordine al fatto che l’accertamento della sentenza n. 607/2014 sull’esistenza di servitù irregolare facesse stato tra le parti si sottrae a tutte le critiche del ricorrente, in quanto piana applicazione del principio posto dall’art. 2909 cod. civ. secondo il quale il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa. NOME COGNOME era erede di NOME COGNOME, parte del giudizio conclusosi con la sentenza n. 607/2014 e NOME COGNOME era avente causa di NOME COGNOME altra parte del giudizio conclusosi con quella sentenza, in quanto aggiudicatario in sede di esecuzione forzata dell’immobil e di proprietà di NOME COGNOME e con riguardo al quale lo stesso era titolare della servitù irregolare. Infatti, l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo der ivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass. Sez. 1 13-3-2017 n. 6386 Rv. 64445801, Cass. Sez. 2 22-9-2010 n. 20037 Rv. 614476-01, Cass. Sez. 2 51-2000 n. 27 Rv. 532689-01).
3.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento a favore della controricorrente di somma equitativamente determinata nella misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. pro c. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, in considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna il ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ. di Euro 3.500,00 a favore della controricorrente e di Euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione