Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22575 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22575 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4609/2022 R.G. proposto da:
COGNOMENOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 1976/2021, depositata il 07/12/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietaria di un immobile sito nella frazione di Makari del comune di San Vito Lo Capo, premettendo che all’esito di un procedimento possessorio, le era stato ordinato di rimuovere dei paletti di ferro apposti sul muro di recinzione del suo fondo per tutelare
il possesso della servitù di veduta e di panorama della vicina, COGNOME NOME, domandò con ricorso ex art. 702 cod. proc. civ. al Tribunale di Trapani, in sede petitoria, che venisse dichiarata la libertà dal proprio fondo dalla predetta servitù di veduta e di panorama reclamata dalla vicina, con ordine di cessazione di molestie e turbative e condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Costituitasi in giudizio, la convenuta COGNOME chiedeva in via riconvenzionale il riconoscimento, a vantaggio del proprio immobile, di una servitù di veduta anche panoramica, chiedendo altresì il risarcimento dei danni quantificati in €. 25.000,00, ovvero nella somma ritenuta giusta dal Tribunale adìto.
Il Tribunale di Trapani, mutato il rito, esperita C.T.U., rigettava la domanda dell’attrice, accoglieva parzialmente la domanda riconvenzionale della convenuta e condannava la Amodeo all’abbassamento del muro di cinta posto sul lato nord del fabbricato, oltre che alla rimozione del locale adibito a vano attrezzi.
Avverso tale sentenza l’COGNOME proponeva appello a cui la dell’RAGIONE_SOCIALE resisteva spiegando altresì appello incidentale.
La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza n. 1976/2021 , in accoglimento del gravame, riformava la sentenza di primo grado e dichiarava libero dalla servitù di veduta e panorama l’immobile dell’appellante COGNOME.
Avverso la suddetta pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di cinque motivi
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 80 del Regolamento edilizio comunale del comune di San Vito Lo C apo e dell’art. 4 della Convenzione di lottizzazione. La ricorrente si duole del fatto che la corte
territoriale non ha considerato il rapporto di specialità rispetto al Regolamento Edilizio Comunale, della convenzione di lottizzazione riportata anche negli atti di compravendita – nella parte in cui questa prescriveva di realizzare la divisione fra i lotti esclusivamente con siepi, e non con opere in muratura. Rileva che l a Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di una servitù di veduta a favore del fondo dell’odierna ricorrente sul presupposto che la realizzazione di un muro dell’altezza cioè di metri 1,50 prevista dall’art. 80 del R EC, non avrebbe comunque permesso alla ricorrente il «comodo affaccio». In altri termini, il secondo giudice non avrebbe riconosciuto -alla luce delle disposizioni urbanistiche -l’idoneità alla prospectio in alienum insita nella definizione di veduta, ex art. 900 cod. civ. La ricorrente contesta il presupposto sul quale la Corte territoriale ha fondato la sua argomentazione, censurando sia l’errata applicazione dell’art. 80 REC, laddove invece le prescrizioni urbanistiche contenute nella Convenzione tra privati e amministrazione comunale contemplano solo la possibilità di dividere i lotti a mezzo siepi, non anche con muri alti fino a mt . 1,50; sia l’errata esclusione della servitù di panorama, alla quale la Corte d’Appello non avrebbe potuto applicare il r equisito di cui all’art. 907 cod. civ.
A dire della ricorrente, se la Corte d’Appello avesse correttamente applicato i principi di diritto in materia, avrebbe dovuto concludere che tra i fondi non poteva erigersi alcuna muratura perché l’astratta previsione del regolamento edilizio doveva cedere il passo alle previsioni del piano di lottizzazione.
Il motivo è privo di fondamento.
In merito alla costituzione di servitù attraverso il richiamo alla Convenzione di lottizzazione, questa Corte ha chiarito che nelle vendite a lotti di aree fabbricabili le pattuizioni contrattuali, con cui – allo scopo di conferire determinate caratteristiche alle zone in esecuzione di un piano di sviluppo – si impongano limitazioni alla libertà di utilizzare vari
lotti, danno luogo alla costituzione di servitù prediali a carico e a favore di ciascun lotto e, affinché tali limitazioni siano efficaci, è sufficiente che nei singoli atti di acquisto venga richiamato il piano di lottizzazione e di sviluppo con i diritti e gli obblighi in esso previsti, con la loro conseguente operatività dopo la vendita dei primi lotti anche sulla restante proprietà del venditore senza che sia necessario che su questa vengano formalmente imposte le servitù inserite nel predetto piano (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4373 del 23/02/2009, Rv. 606674 -01, confermata di recente, tra le altre: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20536 del 30/07/2019, Rv. 654893 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8817 del 10/04/2018, Rv. 648015 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25773 del 15/11/2013, Rv. 628306 -01).
Nel caso in esame, però, la Corte di merito ha accertato in fatto che mancano gli estremi per poter configurare in concreto una servitù di veduta perché la previsione nel regolamento locale di muretti di altezza di mt. 1,50 non consente il comodo affaccio sul fondo del vicino e quindi esclude la veduta. Trattasi di accertamento in fatto in linea con i principi affermati da questa Corte in tema di veduta.
E’ noto, infatti, che per la sussistenza della servitù di veduta – che trova fonte direttamente nella legge ed è compatibile con la costruzione di opere a distanza legale (artt. 905-907 cod. civ.) – a norma dell’art. 900 cod. civ. è necessario, oltre al requisito della inspectio , anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura non soltanto consentire di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, vale a dire di guardare anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale ( ex multis : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8009 del 21/05/2012, Rv. 622416 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 36147 del 12/12/2022, Rv. 666336 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 346 del 10/01/2017, Rv. 642316 -01).
Nel caso di specie, a prescindere dall’altezza del muro (imposta dall’art. 80 del REC ), ovvero dalla realizzazione della siepe (ai sensi della Convenzione di lottizzazione) non risulta in atti alcun titolo che imponga a vantaggio del lotto 10 di proprietà Dell’Aira il rispetto di distanze ovvero di altezze (nel caso di specie della siepe) tali da garantire un diritto di veduta nel senso sopra inteso.
2. Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione: alla nota n. 15 del 17/02/1994 della soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani; alla Convenzione di lottizzazione n. 1235 del 10/06/1999 ed alla Concessione per la esecuzione di opere n. 37/2002 del 02/04/2002 del Comune di San Vito Lo Capo. La ricorrente si duole della illegittimità della sentenza nella parte in cui ha omesso di valutare un fatto decisivo per il giudizio, ossia la documentazione (in particolare: nota del 17/02/1994 della Soprintendenza BB.CC.AA., di Trapani nella quale veniva approvato il progetto di lottizzazione denominato «Il Timpone», ove hanno sede i fondi limitrofi di proprietà delle parti; Convenzione di lottizzazione n. 1235 del 19/06/1999, in cui si fa espresso richiamo al N.O. della Soprintendenza; Concessione per la esecuzione di opere n. 37/2002 del 02/04/2002 del Comune di San Vito Lo Capo) da cui risulta la sussistenza della servitù invocata dall’odierna ricorrente, atteso che il piano di lottizzazione originario non prevedeva la possibilità di erigere muri di confine dell’altezza di m. 1,50 , bensì la realizzazione di siepi. Da tanto conseguendone il riconoscimento delle servitù invocate dall’odierna ricorrente .
Anche tale motivo è infondato.
Con riferimento alla Convenzione di lottizzazione n. 1235 del 10.06.1999 più volte menzionata in ricorso, anche a voler concedere che essa -in quanto richiamata nei titoli di acquisto sia dei danti causa della COGNOME, sia della COGNOME (ma, come già rilevato, di essi la
ricorrente non riporta, in omaggio ai principi di specificità e autosufficienza, alcun passo rilevante dal quale questa Corte avrebbe potuto dedurre l’omissione di pronuncia da parte del giudice di seconde cure) -avrebbe dovuto trovare applicazione in luogo dell’art. 80 del citato REC del Comune di S. Vito Lo Capo, resta il fatto che detta Convenzione, nelle parti riportate in ricorso (v. p. 10, primi due righi), impone che la divisione tra lotti avvenga esclusivamente con siepi (prescrizione trasfusa nella concessione edilizia), non con opere in muratura, senza tuttavia indicarne neppure l’altezza.
Il fatto che si assume non esaminato è quindi privo di decisività.
Dal che, come già rilevato supra (punto 1.1.), non è possibile dedurre la sussistenza di una servitù di veduta.
Del resto, è opportuno precisare che il difetto di conformità alla concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico ( ex multis , con riferimento alla possibilità di acquisto per usucapione: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25843 del 05/09/2023, Rv. 668969 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1395 del 19/01/2017, Rv. 642565 01). Pertanto, nel caso che ci occupa l’asserita assenza delle regolari autorizzazioni edilizie e/o paesaggistiche non influisce sui rapporti di natura privatistica, che devono essere qui limitati alla questione della sussistenza o meno di una servitù di veduta ovvero di panorama.
Quanto, poi, alla c.d. servitù di panorama evocata nel mezzo di gravame , non si vede come avrebbe potuto la Corte d’Appello riconoscerne la sussistenza, e per questo accogliere la domanda di riduzione dell’altezza delle murature del fondo COGNOME, in assenza anche in questo caso di alcun titolo costitutivo, né a titolo derivativo né a titolo originario.
Si deve richiamare a tal proposito l’orientamento costante di questa Corte a mente del quale il diritto di veduta panoramica consiste nel godere della bellezza della visuale offerta dalla particolare collocazione
dell’immobile dominante, previa imposizione sul fondo servente di una servitus altius non tollendi (per tutte, di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17922 del 22/06/2023, Rv. 668328 -01), che può essere costituita a titolo derivativo (tramite contratto) o a titolo originario (tramite usucapione o destinazione del padre di famiglia), purché, in quest’ultimo caso, esistano opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio.
Peraltro, la censura presenta seri profili di inammissibilità, atteso che vengono introdotte questioni di diritto nuove (esistenza di servitù per destinazione del padre di famiglia) che implicano accertamenti in fatto, di cui non risulta la trattazione nel giudizio di merito (v. al riguardo tra le tante, Cass. n. 2038/2019).
Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. , falsa applicazione dell’art. 80 del Regolamento Edilizio Comunale del Comune di San Vito Lo C apo e dell’art. 4 della convenzione di lottizzazione n° 1235 del 10/06/1999 in relazione al corretto punto di misurazione delle recinzioni poste a confine tra la proprietà della signora COGNOME e quella della signora COGNOME.
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al corretto punto di misurazione delle recinzioni poste a confine tra la proprietà della signora COGNOME e quella della signora COGNOME La ricorrente si duole del fatto che, anche a voler considerare applicabile l’art. 80 REC e , dunque, la possibilità che la divisione dei lotti possa avvenire con muri di altezza massima fino a m. 1,50, la sentenza risulterebbe comunque viziata per falsa applicazione dello stesso art. 80 REC in combinato disposto con l’art. 4 della Convenzione di lottizzazione. In particolare, il lotto di proprietà della Dell’Aira risulta sopraelevato rispetto a quello di proprietà dell’odierna parte resistente di al meno 44 cm, e per ciò, ad avviso della ricorrente, l’altezza del muretto oggetto di causa si
sarebbe dovuta calcolare partendo dal punto più basso tra i due lotti oppure da un’altezza mediana. In conseguenza di ciò, la Corte di Appello avrebbe dovuto accogliere l’appello incidentale e ordinare la demolizione della muratura dell’appellata, sul presupposto che l’altezza finale della recinzione divisoria sarebbe stata idonea a consentire un affaccio comodo, con la conseguenza che in capo alla proprietaria del fondo dominante doveva essere riconosciuta una piena servitù di veduta sul fondo della vicina, nonché a fortiori una servitù di panorama sul golfo di Makari.
La doglianza espressa nel terzo e quarto motivo non ha pregio, perché introduce questioni (misurazioni) che implicano accertamenti in fatto e che non risultano trattate nel giudizio di merito (la sentenza non ne parla e il ricorso non offre nessuna indicazione sulla localizzazione del relativo dibattito in appello).
5. Con il quinto motivo, infine, si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al punto n. 2 delle conclusioni formulate dalla signora COGNOME nell’atto di costituzione con appello incidentale del 14/03/2019, nella parte in cui non veniva esaminata la richiesta di riduzione dell’altezza del muro di cinta lato est, a confine con la proprietà dell’odierna ricorrente, edificato dalla signora NOME per una altezza pari a mt. 1,78.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una
delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo all’art. 112 cod. proc. civ., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge. (Sez. U, n. 17931 del 2013).
Nel caso in esame, il motivo, al di la delle formule sacramentali, lamenta in sostanza una omessa pronuncia su una domanda contenuta in un motivo di appello incidentale, ma non denunzia la nullità della sentenza, perché censura solo la motivazione sotto il profilo dell’omesso esame . Di qui l’inammissibilità, sulla scorta del citato principio di diritto.
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese sono liquidate in dispositivo secondo la regola della soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 4.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto;
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025.