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Servitù di veduta: limiti e prescrizione del diritto

Una società contesta l’apertura di nuove finestre in una sopraelevazione, sostenendo la prescrizione del diritto. La Corte di Cassazione esamina la natura della servitù di veduta, nata da un’obbligazione contrattuale, per decidere se il diritto si estende oltre la costruzione originale del 1958. Il caso è rimesso alla pubblica udienza per la sua complessità.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Servitù di Veduta: Quando il Diritto di Aprire Finestre Sopravvive al Tempo?

La costituzione di una servitù di veduta rappresenta un momento cruciale nei rapporti di vicinato, definendo i limiti e le facoltà dei proprietari di fondi confinanti. Ma cosa accade quando un diritto, concesso decenni prima in termini molto ampi, viene esercitato in modo più esteso solo dopo molto tempo? Un’interessante ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione (n. 25781/2024) affronta proprio questa complessa questione, rimettendo la decisione a una pubblica udienza per la delicatezza dei principi di diritto coinvolti.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un lontano contratto di compravendita, con il quale il venditore si obbligava a permettere all’acquirente di aprire ‘luci e finestre a suo piacimento’ sul fondo confinante. In esecuzione di tale accordo, l’acquirente edificava un immobile nel 1958, esercitando per la prima volta questo diritto.

Decenni dopo, nel 1999, la società proprietaria del fondo dominante realizzava una sopraelevazione, aprendo numerose nuove vedute. Il proprietario del fondo servente decideva quindi di agire in giudizio, sostenendo due tesi principali:

1. Il diritto di aprire ulteriori vedute, oltre a quelle realizzate nel 1958, si era estinto per prescrizione decennale.
2. In subordine, la nuova costruzione costituiva un illecito aggravamento della servitù esistente.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingevano la domanda, ritenendo che l’obbligazione iniziale si fosse trasformata in un diritto reale di servitù pienamente valido e che la sua ampia formulazione non ponesse limiti quantitativi, escludendo così sia la prescrizione parziale che l’aggravamento.

La Questione della Prescrizione della Servitù di Veduta

Il cuore del ricorso per Cassazione, presentato dalla società proprietaria del fondo servente, si concentra sulla violazione e falsa applicazione degli articoli 1029 e 2946 del Codice Civile. Secondo la tesi del ricorrente, il diritto reale di servitù si sarebbe consolidato e limitato esclusivamente alla costruzione del 1958.

La pattuizione originaria, per la parte non esercitata in quel momento, sarebbe rimasta una mera obbligazione contrattuale. Come tale, sarebbe stata soggetta all’ordinaria prescrizione di dieci anni. Di conseguenza, la facoltà di aprire nuove finestre nel 1999 sarebbe venuta meno, rendendo la sopraelevazione illegittima sotto questo profilo.

La Decisione della Corte: Rinvio alla Pubblica Udienza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria in esame, non fornisce una risposta definitiva, ma riconosce la rilevanza e la complessità della questione. I giudici ritengono che il punto sollevato dal ricorrente abbia un carattere ‘dirimente’ e solleciti ‘valutazioni giuridiche che consigliano la trattazione in pubblica udienza’.

La decisione finale dovrà quindi affrontare un nodo cruciale del diritto immobiliare: definire la natura, l’estensione e la correlazione con la prescrizione di un diritto di servitù nato da un’obbligazione contrattuale e sviluppatosi nel tempo.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello aveva stabilito che ‘già nel 1958, il diritto stabilito in via di obbligazione, si è definitivamente trasformato nel diritto reale di servitù’. Inoltre, l’ampiezza della concessione (‘a suo piacimento’) impediva di considerare la successiva sopraelevazione come un aggravio della servitù. Secondo questa interpretazione, il diritto di servitù, una volta costituito, non si ‘consuma’ con il primo esercizio, ma può essere utilizzato in tutta la sua estensione potenziale, a meno che l’atto costitutivo non preveda limiti specifici. Si può estinguere per non uso totale, ma non per il mancato utilizzo di una ‘maggior quantità’ del diritto stesso.

La tesi del ricorrente, invece, propone una scissione: la parte esercitata diventa diritto reale, la parte non esercitata rimane un’obbligazione soggetta a prescrizione. La Cassazione dovrà ora dirimere questo contrasto, stabilendo se un diritto di servitù concesso in termini generici possa essere esercitato in più fasi, anche a distanza di decenni, o se la facoltà non immediatamente sfruttata decada.

Le Conclusioni

L’esito di questo giudizio avrà implicazioni significative. Una decisione a favore del proprietario del fondo dominante confermerebbe che una servitù ampiamente formulata costituisce un diritto duraturo e flessibile, esercitabile secondo le necessità che si presentano nel tempo. Al contrario, una sentenza favorevole al ricorrente imporrebbe una maggiore cautela nella redazione degli atti costitutivi di servitù e sottolineerebbe come le facoltà non esercitate entro il termine di prescrizione possano essere definitivamente perse, anche se originate da un unico patto. La pubblica udienza sarà la sede per approfondire questi delicati bilanciamenti tra la certezza dei diritti reali e la volontà contrattuale originaria.

Come nasce una servitù di veduta in questo caso?
Nasce da un’obbligazione assunta in un contratto di compravendita, con cui una parte si impegnava a permettere all’altra di aprire luci e finestre. Secondo la Corte d’Appello, questa obbligazione si è trasformata in un diritto reale di servitù con la prima edificazione nel 1958.

Il diritto di aprire nuove finestre può estinguersi per prescrizione se non viene esercitato subito?
Questa è la domanda centrale del caso. La Corte d’Appello ha ritenuto di no, sostenendo che la servitù può estinguersi per non uso totale, ma non per il mancato esercizio di una sua ‘maggior quantità’ (cioè il diritto di aprire più finestre di quelle iniziali). La Corte di Cassazione ha giudicato la questione così complessa da meritare un approfondimento in pubblica udienza.

Perché la Corte di Cassazione non ha deciso subito il caso?
La Corte ha emesso un’ordinanza interlocutoria rinviando la causa alla pubblica udienza perché la questione sollevata ha carattere ‘dirimente’ e richiede un’attenta valutazione sulla natura del diritto, sulla sua estensione e sul suo rapporto con l’istituto della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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