Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5856 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5856 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 18823/2021 R.G.) proposto da:
COGNOME nato a Bergamo il 26 marzo 1959 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE e COGNOME , nata a Sorisole (BG) il 3 maggio 1960 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, entrambi residenti in Sorisole (BG), alla INDIRIZZO ed elettivamente domiciliati in Bergamo, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore : ‘ EMAIL ‘ );
-ricorrenti –
contro
COGNOME nata a Sorisole (BG) il 13 marzo 1953 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , nato a Bergamo il 27 ottobre 1976 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE e COGNOME NOME COGNOME nato a Bergamo il 13 maggio 1985 (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliati in Almenno San Bartolomeo (BG), alla INDIRIZZO presso lo studio degli avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che li rappresentano e difendono, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzi p.e.c. dei difensori: ‘ EMAIL ‘ e
‘ EMAIL ‘ );
n. 18823/2021 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 7 novembre 2024
Servitù di passaggio pedonale.
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n. 655/2021, pubblicata il 1° giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 7 novembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- COGNOME NOME agiva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo, nei confronti di COGNOME NOME, chiedendo pronuncia di sentenza con la quale fosse dichiarata l’inesistenza di servitù a carico del proprio fondo.
In particolare, l’attrice affermava di essere proprietaria di un immobile sito in Sorisole (BG), INDIRIZZO catastalmente censito al foglio 15, mappale 5671, subalterno 3 e mappale 10004, subalterno 3.
In prossimità di detti mappali, vi era quello di proprietà di COGNOME NOME, identificato al foglio 15, mappale 10004, subalterno 2, costituito da un box autorimessa con sovrastante area calpestabile.
Detto mappale di proprietà di COGNOME NOME era stato, negli anni ’90, condotto in locazione da tale COGNOME NOME, abitante nei pressi, il quale aveva sempre chiesto a COGNOME NOME il permesso di passare attraverso il giardino pensile di proprietà di quest’ultima (e, cioè, il mappale 10004, subalterno 3) per raggiungere il terreno incolto posto sopra il box autorimessa da lui utilizzato in forza del contratto di locazione.
L’immobile abitato dal COGNOME nel 2001 era stato, poi, acquistato da COGNOME Renato il quale, nel 2006, aveva eseguito lavori di sbancamento sull’area sovrastante il box autorimessa, che in precedenza era terreno incolto, trasformandolo in un lastrico solare.
In ragione di ciò, il COGNOME aveva quindi cominciato a pretendere di attraversare il giardino di proprietà di COGNOME NOME, sostenendo di averne diritto e giungendo anche a posizionare delle piastrelle su parte dello stesso per agevolare il passaggio pedonale.
Il convenuto COGNOME NOMECOGNOME costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto delle avverse pretese. Oltre al COGNOME, si costituiva in giudizio la comproprietaria COGNOME NOMECOGNOME intervenendo volontariamente.
Entrambi sostenevano che sia le autorimesse che i sovrastanti giardini pensili, oggetto di contesa, erano stati realizzati nel 1986 e che da tale epoca il passaggio sul fondo di COGNOME era stato esercitato dapprima dai loro danti causa e, successivamente, da loro stessi.
Pertanto, proponevano domanda riconvenzionale con cui chiedevano, in via principale, la declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione della servitù di passaggio pedonale e, in via subordinata, che fosse costituita una servitù di passaggio coattiva a favore del fondo di loro proprietà a causa dell’interclusione.
Conseguentemente, chiedevano anche l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari del fondo (asseritamente) servente, COGNOME NOME e COGNOME NOME Luca, i quali, però, rimanevano contumaci.
Il giudizio, istruito su base documentale e con prove testimoniali veniva definito mediante la sentenza n. 510/2016, con cui il Tribunale di Bergamo rigettando la domanda di COGNOME NOME e accogliendo quella di COGNOME NOME e COGNOME NOME, costituiva a favore del fondo identificato al foglio 15 mappale 10004, subalterno 2, del N.C.E.U. del Comune di Sorisole (BG) ed a carico del fondo identificato al foglio 15, mappale 10004, subalterno 3 del N.C.E.U. del Comune di Sorisole (BG), servitù di passaggio pedonale da esercitarsi lungo il tracciato (in parte) piastrellato già esistente e « rappresentato dalle foto di cui al doc. 11 di parte convenuta ».
Nella motivazione, il tribunale affermava che l ‘ unico modo per COGNOME e COGNOME di accedere all’area sovrastante il loro box autorimessa era quello di transitare sulla copertura dell’adiacente box autorimessa di proprietà COGNOME e COGNOME cosicché, ritenendo esistente l’interclusione del primo fondo, era necessario costituire coattivamente la servitù di passaggio pedonale.
2.- La Corte d’Appello di Brescia, investita da ll’impugnazione proposta COGNOME NOME, con la sentenza oggetto dell’odiern o ricorso per cassazione, accoglieva l’appello principale e, in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda riconvenzionale proposta da COGNOME NOME e COGNOME NOME. Inoltre, condannava questi ultimi alla restituzione, in favore di COGNOME NOME, di quanto da questa ad essi corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado e alla rimozione, a loro cura e spese, delle opere eseguite nel fondo di proprietà COGNOME –
COGNOME, nel sedime in cui era stato fino a quel momento esercitato il passaggio.
Infine, rigettava l’appello incidentale proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME e condannava questi ultimi anche al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
A sostegno dell’adottata pronuncia , la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che non era condivisibile la valutazione, operata dal giudice di prime cure, secondo cui il lastrico solare sovrastante l’autorimessa di proprietà di COGNOME costituiva un fondo intercluso; b) che la possibilità di costituire una servitù coattiva è infatti prevista dall’art. 1051 c.c. nel caso in cui, vi sia un fondo, circondato da fondi altrui, che non abbia uscita sulla pubblica via; c) che gli appellati non avevano indicato in alcuno dei loro atti la necessità di transitare nella proprietà COGNOME COGNOME per giungere alla pubblica via; d) che nulla, in tal senso, era stato dedotto nella comparsa di risposta con domanda riconvenzionale datata 14 dicembre 2012, né nei successivi atti difensivi, compresi quelli depositati in appello; e) che, dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio, si desumeva solo l’esistenza di un cancelletto di colore verde, al di là del quale vi era un breve e ristretto passaggio in mattonelle e si vedevano, inoltre, due gradini, ma non era dato intendere se essi conducessero immediatamente ad una pubblica via o se, invece, come appariva pressoché certo, si trovassero ancora all’interno delle proprietà private delle parti in causa; f) che, dunque, mancava il fondamentale requisito della necessità di accedere alla pubblica via; g) che le norme che prevedono la costituzione di servitù, ivi comprese quelle coattive, fanno riferimento a fondi che abbiano una loro autonomia; h) che, nel caso di specie, l’area, alla quale gli appellati COGNOME e COGNOME chiedevano di poter accedere passando attraverso la proprietà COGNOME COGNOME, non era neppure un fondo in sé e per sé considerato, ma solo la parte superiore della sottostante autorimessa di cui, pacificamente, gli appellati COGNOME e COGNOME avevano la titolarità e la piena disponibilità; i) che l’accesso al box era assicurato e non formava oggetto di interclusione rispetto a una via pubblica; j) che l’uso, quale solarium, che COGNOME e COGNOME volevano fare della copertura del loro box autorimessa non poteva andare a discapito dell’altrui proprietà, senza contare che sarebbe stata veramente compromessa la possibilità di utilizzo dell’area da parte di COGNOME se essa
fosse stata gravata dalla servitù di passaggio; k) che, nella specie, ricorreva la fattispecie di cui all’art. 1051 c.c.; l) che nemmeno sussistevano i requisiti di legge per l’invocato acquisto per usucapione, dovendo essere confermata la valutazione del tribunale che aveva ritenuto insussistente la prova del possesso ultraventennale; m) che difettava altresì l’esistenza di un precedente possesso, giacché in epoca antecedente all’acquisto dell’immobile da parte di COGNOME NOME e COGNOME NOME il passaggio era esercitato dal conduttore di casa e garage (Crotti), peraltro in forma sporadica; n) che l’acquisto da parte di COGNOME e COGNOME era poi avvenuto in epoca infraventennale rispetto alla proposizione della domanda, cosicché questi non potevano far valere, in unione al loro possesso, quello del conduttore del loro dante causa.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
4.- COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
5.- A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., i ricorrenti, con istanza del 12 settembre 2023, hanno chiesto la decisione del ricorso.
6.- Ambedue le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1051, comma 4, c.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto inapplicabile alla fattispecie concreta il disposto dell’art. 1051 c.c. invocato ai fini dell’accoglimento della domanda di accertamento della servitù coattiva, così come accolta dal giudice di prime cure.
Sostengono, in particolare, che la Corte di merito avrebbe ritenuto erroneamente applicabile, alla fattispecie in esame, l’esenzione prevista ex art. 1051, comma 4, c.c., senza considerare che tale esenzione può invece essere pacificamente esclusa in ipotesi di giardini o similari completamente interclusi, quale il mappale di proprietà dei ricorrenti, come pacifico e incontestato tra le parti.
2.- Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) e n. 3), c.p.c., l’omessa valutazione del fatto –
rappresentato dall’assoluta interclusione del fondo di proprietà dei ricorrenti – decisivo per il giudizio e pacifico tra le parti come attestato dal giudice di primo grado, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. per ‘ ultra petitum ‘ .
Sostengono, al riguardo, come tale interclusione, oltre ad essere stata confermata dal giudice di prime cure, sarebbe stata pacificamente ammessa dalla COGNOME laddove, riconoscendo di fatto l’interclusione assoluta del fondo dei ricorrenti , oltre a invocare l’esenzione d i cui al comma 4 dell’art. 1051 c.c., ella avrebbe indicato, come unica possibilità per accedere alla via pubblica evitando il passaggio sul fondo altrui, « la creazione di una botola che dall’autorimessa sottostante conduca al lastrico solare », soluzione esclusa dal Tribunale di Bergamo perché contraria « a logica per la manifesta sproporzione tra i suoi costi di realizzazione ed i benefici di una scelta tanto impegnativa che procurerebbe alla fine un risultato conseguibile senza alcun costo percorrendo il tracciato già segnato dalla zona piastrellata ».
Affermano, ancora, che l’interclusione sarebbe stata considerata , dalla sentenza di primo grado, alla stregua di elemento circostanziale pacifico e provato dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio, oltre che confermato anche dalle deposizioni fornite dai testimoni escussi su indicazione degli odierni controricorrenti.
Sottolineano, infine, come tali evidenti e pacifiche risultanze probatorie sarebbero state totalmente ignorate dalla Corte d’Appello che sarebbe giunta addirittura ad affermare che i due mappali non sarebbero neppure dei « fondi », in quanto « parti superiori delle sottostanti autorimesse », sostenendo, in violazione dell’art. 112 c.p.c., l’assenza di interclusione del fondo, in ragione del fatto che l’accesso alla via pubblica sarebbe già garantito dall’autorimessa sottostante , così valorizzando circostanze del tutto nuove.
3.Le censur e, senz’altro suscettibili di essere scrutinate congiuntamente, risultano inammissibili.
La Corte distrettuale, infatti, riformando la decisione di prime cure, ha escluso la sussistenza della condizione di interclusione del preteso fondo dominante, chiarendo che questo costituiva il lastrico di copertura di un garage al quale gli odierni ricorrenti avevano libero accesso (cfr. , all’uopo, la sentenza impugnata, a pag. 13) ed evidenziando come questi ultimi non
avessero allegato alcuna esigenza di accedere alla pubblica via (cfr., all’uopo, sempre la sentenza impugnata, a pag. 12) ma soltanto quella di passare sull’adiacente proprietà COGNOME, adibita a giardino, per accedere al predetto lastrico (cfr. la sentenza impugnata, a pag. 11). I ricorrenti hanno affermato che il proprio lastrico sarebbe totalmente intercluso, con conseguente inoperatività del limite di cui all’art. 1051 , comma 4, c.c., ma in tal modo, l’impugnazione da essi spiegata non si confronta con la complessiva ‘ ratio ‘ della decisione, che ha – come detto – escluso la stessa condizione di interclusione dell’area oggetto di causa.
La Corte distrettuale, dunque, del tutto correttamente ha posto in evidenza come l’accesso al box di proprietà degli odierni ricorrenti fosse assicurato e non formasse oggetto di alcuna interclusione rispetto a una via pubblica e come l’area alla quale essi chiedevano di poter accedere, passando attraverso la proprietà degli odierni controricorrenti, non fosse altro che la parte superiore della sottostante autorimessa, cioè la copertura che COGNOME NOME e COGNOME NOME avrebbero voluto utilizzare come solarium.
A tale ricostruzione, i ricorrenti tentano di contrapporre una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 62779001, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri,
come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
4.- Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, comma 2 e 1158 c.c..
Sostengono, al riguardo, che erroneamente la Corte d’Appello avrebbe evidenziato l’asserito difetto di un precedente possesso ‘ ad usucapionem ‘, avendo trascurato di considerare che il possesso ad usucapionem può essere oltre che diretto, anche mediato per mezzo di altra persona che abbia la detenzione della cosa, come nella fattispecie sarebbe avvenuto tramite il precedente proprietario e il relativo conduttore. Inoltre, affermano che vi sarebbe anche violazione dell’art. 1158 c.c., in quanto, affinché maturi il periodo ad usucapionem, non è previsto, né è necessario, che colui che invochi la relativa azione abbia iniziato a possedere uti dominus , già prima dell’inizio del ventennio.
5.- Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) e n. 3), c.p.c., l’ erronea e/o omessa valutazione delle prove in ordine alla domanda di usucapione , nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. per difetto di motivazione in ordine all’appello incidentale.
Sostengono, al riguardo, che la Corte di merito non avrebbe potuto rigettare le domande richiamando de plano « la valutazione del Tribunale », senza alcuna motivazione, cosicché sarebbe totalmente mancato il vaglio delle prove poste a fondamento dell’appello incidentale, a confutazione della decisione del giudice di prime cure.
6.- Le predette censure, anch’esse suscettibili di essere scrutinate congiuntamente, sono inammissibili, poiché attengono alla sussistenza dei
presupposti di fatto per l’usucapione del diritto di passaggio e alla valutazione delle prove operata dalla Corte d ‘ Appello, la quale, al riguardo ha ben chiarito che: 1) in epoca antecedente all’acquisto dell’immobile da parte di COGNOME NOME e COGNOME NOME, il passaggio era stato esercitato dal conduttore di casa e garage (tale COGNOME), in forma sporadica; 2) l’acquisto del box da parte di COGNOME e COGNOME era avvenuto in epoca infraventennale rispetto alla proposizione della domanda, cosicché questi non potevano far valere, in unione al loro possesso, quello del conduttore del loro dante causa.
Anche in tal caso, i ricorrenti tentano di contrapporre a tale ricostruzione del fatto e delle prove prescelti dalla Corte distrettuale una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790-01, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i
rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
Del resto, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice de l caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come i motivi in esame, in quanto si concentrano sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere l’insussistenza di un possesso utile ad usucapionem , nel tentativo di confutarli sostenendo che invece esso fosse esistente, finiscono con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza
n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. »).
Infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dare atto dell’iter logico -argomentativo seguito dalla Corte di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
7.- Con il quinto (e ultimo) motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei parametri di cui al d.m. 10 marzo 2014, n. 55, in relazione al valore della controversia, ai fini delle spese di lite.
Sostengono, al riguardo, che la Corte di merito si sarebbe discostata dall’effettivo e incontestato valore dichiarato dalle parti.
8.- Anche tale censura risulta inammissibile, in quanto attinge l’individuazione dello scaglione di valore della controversia operata dalla Corte di merito ai fini della liquidazione delle spese. I ricorrenti lamentano, infatti, la violazione dei valori massimi di tariffa, sul presupposto che lo scaglione applicabile fosse quello corrispondente alla dichiarazione di valore, ma non considerano che quest’ultima è meramente indicativa e non vincolante per il giudice di merito, il quale è libero di determinare il valore della controversia e di individuare il correlato scaglione di tariffa da applicare, in funzione dell’effettivo contenuto delle contrapposte domande delle parti.
9.- In definitiva, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev ‘ essere senz’altro dichiarato inammissibile.
10.- Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
11.- Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta di definizione accelerata , ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., deve farsi applicazione delle disposizioni di cui al l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., con conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, di una somma equitativamente determinata e che si liquida in dispositivo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge, anch’essa liquidata come da dispositivo.
12.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 5.700,00 (euro cinque milasettecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge; condanna altresì i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti , della somma di €. 5.500,00 (euro cinque milacinquecento/00), ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. , nonché al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di €. 3.000,00 (euro tremila/00), ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione