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Servitù convenzionale: il titolo detta le regole

Due fratelli ricorrono in Cassazione per vedersi riconosciuta una servitù convenzionale di passaggio su un’area più estesa di quella ammessa dai proprietari del fondo vicino. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per una servitù convenzionale, l’estensione e le modalità di esercizio sono determinate primariamente dal titolo costitutivo (l’atto notarile) e non dall’uso di fatto successivo. Poiché il titolo faceva riferimento a una specifica stradina esistente all’epoca e i fondi non erano interclusi, la pretesa di un passaggio più ampio è stata respinta.

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Servitù convenzionale: il titolo detta le regole

Quando si parla di diritti reali e, in particolare, di servitù convenzionale, la chiarezza dell’accordo originario è fondamentale. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci ricorda un principio cardine: l’estensione e le modalità di esercizio di una servitù di passaggio non si basano sull’uso che se ne è fatto nel tempo, ma su quanto stabilito nel titolo costitutivo. Analizziamo insieme questa ordinanza per comprendere le sue importanti implicazioni pratiche.

I fatti di causa

La vicenda giudiziaria nasce dalla controversia tra due fratelli, proprietari di alcuni immobili (fondi dominanti), e gli eredi del loro congiunto, proprietari di un fondo confinante (fondo servente). I fratelli sostenevano di essere titolari di un diritto di servitù di passaggio “con ogni mezzo”, costituito con un atto notarile del 1983, su un’area specifica della proprietà dei vicini per accedere a un ripostiglio e ad alcune installazioni tecniche.

Gli eredi, tuttavia, avevano realizzato dei manufatti che impedivano tale passaggio. Si difendevano affermando che la servitù esisteva, ma su un percorso diverso e più limitato. Inoltre, evidenziavano che i manufatti contestati erano stati realizzati anni prima e che le strutture che i fratelli volevano raggiungere (ripostiglio, vasche biologiche) erano state costruite solo nel 1993, ben dopo la costituzione della servitù. Infine, sostenevano che i fratelli disponevano di altri accessi alle loro proprietà, rendendo non necessaria l’estensione pretesa.

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello avevano dato ragione agli eredi, respingendo le richieste dei due fratelli. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La centralità del titolo nella servitù convenzionale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei fratelli, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della decisione ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 1063 del Codice Civile. Questa norma stabilisce una gerarchia chiara delle fonti che regolano una servitù:

1. Il titolo costitutivo: l’atto (contratto, testamento) con cui la servitù è stata creata è la fonte primaria e prevalente.
2. Disposizioni di legge: solo in caso di lacune o imprecisioni del titolo, si applicano le norme sussidiarie del Codice Civile.

Nel caso specifico, l’atto del 1983 faceva riferimento all'”attuale stradina”. I giudici hanno quindi correttamente indagato quale fosse lo stato dei luoghi all’epoca della stipula, basandosi anche su rilievi aerofotogrammetrici del 1982. Da questa analisi è emerso che la stradina gravata dalla servitù era un’altra rispetto a quella rivendicata dai ricorrenti.

Distinzione tra servitù convenzionale e coattiva

I ricorrenti avevano anche tentato di inquadrare la loro pretesa come una servitù coattiva, sostenendo che i loro fondi fossero interclusi. La Corte ha smontato anche questa argomentazione. Una servitù coattiva può essere imposta per legge solo se un fondo non ha accesso alla via pubblica o se l’accesso esistente è inadatto o insufficiente. Tuttavia, i giudici di merito avevano accertato, in fatto, che i fondi dei fratelli erano “liberamente e facilmente accessibili” da altre vie. Pertanto, mancava il presupposto essenziale dell’interclusione per poter richiedere una servitù coattiva.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha escluso la carenza di motivazione della sentenza d’appello, ritenendola conforme al “minimo costituzionale” richiesto, in quanto spiegava chiaramente le ragioni della decisione basandosi sull’interpretazione del titolo e sullo stato dei luoghi del 1983. L’interpretazione del contenuto di un contratto, come il titolo costitutivo della servitù, rappresenta un apprezzamento di fatto che non può essere riesaminato in sede di legittimità.

Inoltre, la Corte ha ribadito che l’onere di provare l’esistenza e l’estensione del diritto spetta a chi lo rivendica. I fratelli non sono riusciti a dimostrare che il titolo del 1983 si riferisse al percorso da loro preteso. Infine, il motivo relativo all’omessa valutazione di fatti decisivi è stato dichiarato inammissibile in applicazione del principio della “doppia conforme”: quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione basandosi sullo stesso quadro fattuale, il ricorso in Cassazione per vizi di motivazione è precluso.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante promemoria sulla disciplina della servitù convenzionale. La volontà delle parti, così come cristallizzata nell’atto scritto, è sovrana. L’uso di fatto di un passaggio, anche se protratto nel tempo, non può modificare o estendere una servitù definita chiaramente in un contratto. Questa decisione sottolinea l’importanza di redigere atti costitutivi di servitù in modo preciso e dettagliato, magari con l’ausilio di planimetrie allegate, per evitare future controversie. Per i proprietari, significa che i limiti e le modalità di un diritto di passaggio sono quelli scritti nero su bianco e non quelli che si consolidano per abitudine.

Come si determina l’estensione di una servitù convenzionale di passaggio?
Secondo la Corte, l’estensione e le modalità di esercizio di una servitù convenzionale sono regolate in primo luogo dal titolo costitutivo (es. l’atto notarile). Solo se il titolo è impreciso o lacunoso si può ricorrere a criteri sussidiari, come la valutazione dello stato dei luoghi o il principio del minor aggravio per il fondo servente.

È possibile modificare l’estensione di una servitù basandosi sull’uso prolungato nel tempo?
No. La sentenza chiarisce che l’uso di fatto successivo alla costituzione della servitù è irrilevante per determinarne l’estensione quando questa è chiaramente definita nel titolo. La volontà espressa dalle parti nell’atto prevale sulla prassi successiva.

Quando si può ottenere una servitù coattiva anche se ne esiste già una convenzionale?
Una servitù coattiva può essere richiesta solo in presenza dei presupposti di legge, principalmente l’interclusione del fondo, ovvero la mancanza di un accesso alla via pubblica o la sua grave inadeguatezza. Nel caso esaminato, poiché i fondi erano facilmente accessibili da altre vie, la richiesta è stata respinta, in quanto mancava il requisito dell’interclusione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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