Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30274 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30274 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
Oggetto: Servitù convenzionale – Estensione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06585/2021 R.G. proposto da
NOME COGNOME e NOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, nel indirizzo pec sono elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, presso il cui studio a Roma, INDIRIZZO, sono elettivamente domiciliati.
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 2148/2020 resa dalla Corte d’appello di Venezia, pubblicata il 31/8/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, premesso che erano titolari di un diritto di servitù di passaggio a favore della loro proprietà e a carico di una proprietà comune con NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, posta in Comune di Nervesa della Battaglia, costituita con atto notarile di stralcio di quota in comunione del 1983 a favore del fratello COGNOME NOME, e che le predette ne avevano ostacolato l’esercizio, realizzando nel fondo servente dei manufatti che impedivano loro di accedere al ripostiglio, ai fusti del gasolio da riscaldamento e alle vasche biologiche, convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, affinché venisse accertata l’esistenza della servitù di passaggio ‘con ogni mezzo’ e per tutta la sua estensione, come fissata nel titolo costitutivo, a favore dei fondi identificati in catasto al Fg. 9, mapp. 189, sub 3, 419 sub 1 e 2, 421 sub 4, 423 e 424 e a carico del fondo al Fg. 9, mapp. 420 sub 3, con condanna delle stesse all’eliminazione dei manufatti e alla cessazione di ogni turbativa, oltreché al risarcimento dei danni.
Costituitesi in giudizio, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME, eredi di NOME COGNOME, chiesero il rigetto della domanda avversaria, evidenziando che la stradina interessata dalla servitù non era quella pretesa dagli attori, ma altra che, partendo dalla via, si arrestava all’area sud -est della loro abitazione, e che nessun passaggio vi era mai stato sul versante nord-ovest, che i manufatti che ostruivano il passaggio erano stati realizzati nel 1988 dallo stesso NOME COGNOME, rendendo impossibile l’esercizio della servitù, che quelli a cui l’asserita servitù permetteva l’accesso erano stati realizzati da loro nel 1993, che gli attori avevano altri accessi, sicché non sarebbe stata necessaria la pretesa estensione della servitù, e che la conformazione dei luoghi non permetteva il passaggio di mezzi pesanti.
Con sentenza n. 693/19, il Tribunale di Treviso rigettò la domanda.
Il giudizio di gravame, incardinato dai medesimi NOME e NOME si concluse, nella resistenza di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la sentenza n. 2148/2020, pubblicata il 31/8/2020, con la quale la Corte d’Appello di Venezia respinse l’appello, affermando che la stradina gravata da servitù era altra rispetto a quella pretesa, in quanto arrivava nella parte sud-est dei fabbricati delle parti e si arrestava allo spigolo sud-ovest del mappale 189 sub 2, che il ripostiglio da raggiungere era stato edificato dagli appellanti nel 1993, dopo la costituzione della servitù, ed era raggiungibile da altre vie, che nessun rilievo aveva l’esercizio di fatto della servitù, essendo la pretesa fondata su una servitù convenzionale, cui bisognava riferirsi per stabilirne l’estensione, che sulla porzione contesa non vi era mai stata alcuna stradina, sicché ad essa non potevano riferirsi le parti con la convenzione del 1983, e che non sussistevano i presupposti necessari per la costituzione della pretesa servitù, stante l’accessibilità dei fondi.
Contro la predetta ordinanza, NOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi. COGNOME NOME, NOME e NOME NOME si sono difesi con controricorso.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per totale carenza di motivazione in fatto e in diritto ex art. 132, secondo comma, n. 3, cod. proc. civ. e art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché per contraddittorietà evidente e illogicità manifesta ex art. 132, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 111 Cost., e per carenza assoluta di motivazione, atteso che la sentenza della Corte d’Appello di Venezia non specificava i motivi di diritto sui quali era fondata la decisione e non ne consentiva la comprensione, in quanto perveniva a conclusioni discordanti, impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del giudice, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici di merito si erano, infatti, limitati a riportare per relationem le argomentazioni del giudice di primo grado, a sua volta appiattitosi sulle difese delle convenute, facendo riferimenti generici alla documentazione prodotta, senza alcuna descrizione, e omettendo di svolgere una seria e logica ricognizione dei fatti rilevanti per la controversia, avevano ritenuto che, in assenza di planimetrie allegate all’atto di costituzione della servitù, fosse corretto verificare lo stato dei luoghi all’epoca, anziché tener conto di quale delle stradine esistenti consentisse l’uso ‘con ogni mezzo’ della servitù, come previsto dall’atto stesso, e avevano riportato fedelmente parti degli scritti difensivi delle convenute, contenenti perfino gli errori materiali e logici in essi riportati, senza chiarire la reale estensione della servitù e i motivi per cui il passaggio verso il mappale 419 fosse inutile, benché insistessero su di esso le vasche biologiche e i fisti di gasolio necessitanti di continue opere di pulizia.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1051 cod. civ., nonché dell’art. 115 cod. proc.
civ., in relazione agli artt. 2697 e 1965 cod. civ. (travisamento della prova) quale omesso esame della sussistenza dei presupposti per la costituzione della servitù coattiva oggetto del procedimento, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, affermando che, ai fini dell’individuazione della stradina, era necessario indagare su quale fosse lo stato dei luoghi all’epoca della pattuizione, riferendosi l’atto costitutivo esclusivamente alla ‘attuale stradina’, e che i criteri di cui agli artt. 1064 e 1065 cod. civ. andavano usati solo in caso di indeterminatezza del titolo, avevano negato che la servitù si estendesse dalla INDIRIZZO pubblica al mappale 419, benché l’atto costitutivo avesse individuato quest’ultimo come fondo dominante. I giudici non avevano, poi, considerato che oggetto del procedimento era una servitù coattiva, nonostante la sua costituzione pattizia, per la quale non rilevava la sussistenza di opere permanenti, e che l’accertamento della sua estensione, come cristallizzata nel titolo costitutivo, doveva essere effettuata tenendo conto 1) della interclusione dei fondi dominanti, 2) dell’ubicazione dei fondi delle attrici, i quali circondavano interamente i propri, 3) della funzione della servitù di permettere l’accesso alla pubblica INDIRIZZO da parte di tutti i mappali interclusi e 4) del soddisfacimento di una necessità e non di una utilità dei fondi dominanti, ciò che avrebbe dovuto indurli ad individuare quale unico percorso quello che attraversava il mapp. 420 sub 3, che da sud costeggia il lato ovest e il lato nord del mappale 189 sub 2.
Col terzo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1062 cod. civ., dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2697 e 1965 cod. civ. (travisamento della prova), quale omesso esame ed errata applicazione dei presupposti della servitù per destinazione del padre di famiglia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito
escluso, in subordine all’accertamento della costituzione pattizia di servitù coattiva nell’estensione dedotta dagli attori, la sussistenza dei requisiti per la costituzione della servitù, nell’estensione da essi dedotta, per destinazione del padre di famiglia. I ricorrenti, premesso che erano pacifici tanto la proprietà, in capo ad essi, dei fondi dominanti da prima del novembre 1983, quanto la divisione, intervenuta con atto notarile del 1983, col fratello NOME, dante causa delle convenute, hanno evidenziato come i giudici avessero valorizzato il tracciato successivo al 1983, stante la bassa qualità del rilievo aerofotogrammetrico del 1982, anziché tener conto della presenza di segni di passaggio lungo il lato nord del mappale 420 sub 3 fino al mappale 419 nell’anno 1983, quando fu redatto l’atto di divisione, e nel periodo temporale anteriore, e trascurato sia le produzioni attoree attestanti il loro passaggio sulla stradina pretesa prima e dopo la costituzione della servitù e l’utilizzo della stessa da parte della famiglia COGNOME da tempo immemore, sia l’irrilevanza della scarsa evidenza del percorso successivamente alla costituzione della servitù, valendo all’uopo la sua presenza in periodo antecedente, oltre ad avere errato allorché avevano escluso il requisito dell’apparenza, non rilevando la presenza attuale di opere visibili e il possesso nei termini indicati.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e dell’art. 92 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 112, cod. proc. civ. e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici ritenuto gli appellanti totalmente soccombenti e averli condannati alle spese di lite, senza considerare che era stato chiesto il riconoscimento del diritto di servitù nell’estensione che, partendo dalla pubblica INDIRIZZO, correva verso il mappale 420 sub 3 e giungeva al mappale 419 passando lungo il lato ovest e nord del mappale 189 sub 2, che le convenute avevano negato l’estensione della servitù
oltre lo spigolo sud ovest del mappale 189 sub 2, affermando che la reale estensione della servitù era limitata alla stradina che partiva dalla via pubblica e si arrestava all’area sud -est dell’abitazione di parte convenuta, e che il giudice aveva statuito l’estensione della servitù fino allo spigolo ovest del mapp. 189 sub 2, sicché vi era stata soccombenza reciproca legittimante la compensazione delle spese.
5. Col quinto motivo, infine, si lamenta, in subordine a tutti i motivi, l’omessa valutazione di fatti storici decisivi risultanti dagli atti e documenti di causa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano omesso di considerare che i fondi individuati come dominanti nell’atto di divisione del 1983 fossero completamente interclusi, in quanto circondati interamente dal mappale 420 sub 3 delle convenute, che l’estensione della servitù di passaggio dovesse essere a favore di tutti i mappali di proprietà degli appellanti indicati nella convenzione come dominanti e che, pertanto, il tracciato dovesse giungere non solo fino ai mappali 421 sub 1, 189 sub 1, 422 sub 1, 423 e 424, ma anche al 419, che su quest’ultimo mappale fosse stato ricavato nel 1993 un ripostiglio al di sotto del quale vi erano le vasche biologiche e per la condensa grassi, necessitanti di interventi periodici di pulizia, che negare l’estensione della servitù fino a tale vano avrebbe impedito lo svolgimento di dette attività, che il mappale 419 non avesse alcun accesso diretto al mappale 417, terreno agricolo sottoposto a coltivazione periodica, sicché per arrivarci bisognava passare attraverso il mapp. 420 sub 3 delle attrici, e che il percorso più breve dal mappale 419 alla pubblica via fosse il transito attraverso il mapp. 420 sub 3, che la stradina pretesa fosse quella da sempre utilizzata negli anni per l’estensione dedotta anche prima della divisione del 1983 e che le controparti avessero risposto alla loro diffida del 2009 ammettendo l’esistenza
della servitù anche a favore del mapp. 419. Secondo i ricorrenti, se i giudici avessero valutato tutte queste circostanze, avrebbero accertato che la servitù di passaggio costituita con atto notarile del 1983 avesse l’estensione da loro dedotta.
6. Il primo motivo è infondato.
Si osserva, in proposito, come, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, non è stato violato il criterio del ‘minimo costituzionale’, avendo i giudici dato conto del fatto che, avendo lo stralcio divisionale del 1983 fatto riferimento alla ‘attuale stradina’ sulla quale era costituita la servitù di passaggio ‘con ogni mezzo’ compatibile con la stessa e non con ‘qualsiasi mezzo’, questa era stata correttamente individuata, alla stregua della aerofotogrammetria del settembre 1982, su quella che, partendo dalla INDIRIZZO, arrivava all’area sud est dei fabbricati, divenendo una corte a servizio della unità della parte appellata e non quella che gravava sul mapp. 420, sub 3, sicché essa gravava su strada diversa da quella pretesa, che, all’epoca della sua costituzione, il mappale 419 non aveva bisogno di accesso diretto all’esterno in quanto il ripostiglio con accesso solo dall’esterno era stato edificato successivamente, ossia nel 1993, e che la pretesa si riferiva ad una servitù convenzionale, con conseguente irrilevanza delle attività svolte in periodo successivo.
7. Il secondo motivo è infondato.
Occorre, innanzitutto, osservare come il principio secondo cui i diritti reali, in quanto diritti assoluti, appartengono alla categoria dei diritti c.d. autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, sicché da un lato l’attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della causa petendi , dall’altro il giudice può accogliere il petitum in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all’art. 112 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2, 23/8/2019, n. 21641; Cass., Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass., Sez. 2, 07/07/1999, n. 7078), va reso compatibile con la struttura del giudizio di cassazione, il quale non consente nuove o diverse indagini di fatto, neppure sulla base di elementi già presenti in atti (Cass., Sez. Sez. 6 – 2, 10/05/2013, n. 11211).
Orbene, se è vero che le servitù convenzionali non sempre si identificano con quelle volontarie, giacché anche le servitù coattive possono essere costituite mediante contratto (arg. ex art. 1032 cod. civ.) e non cessano, solo per questo, di essere coattive e di essere soggette al relativo regime giuridico (Cass., Sez. 2, 22/06/1962, n. 1613; Cass., Sez. 2, 21/12/2012, n. 23839), è altrettanto vero che, per la sua costituzione, deve ricorrere la condizione della interclusione del fondo, nel senso che questo non deve avere uscita sulla strada pubblica o non deve potersela procurare senza eccessivo dispendio o disagio, mentre, laddove un immobile non sia intercluso, ma il suo accesso alla via pubblica sia inadatto o insufficiente ai relativi bisogni e non possa essere ampliato, si verte in ipotesi di passaggio coatto, che può essere disposto officio iudicis, ex art. 1052 cod. civ.. In quest’ultimo caso, però, ove l’accesso alla via pubblica già avvenga in forza di servitù volontaria su altro fondo, la costituzione della servitù prevista dall’art. 1052 cod. civ. è condizionata, oltre al rispetto dei requisiti predetti, alla rispondenza alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza compromettere analoghe utilizzazioni di quello servente, e la ricorrenza di tale requisito deve essere valutata con riguardo allo stato attuale dei terreni ed alle effettive possibilità di un loro più ampio o migliore impiego (Cass., Sez. 2, 14/6/2017, n. 14788).
Nella specie, i giudici di merito hanno però del tutto escluso, in fatto, il requisito della interclusione, affermando che gli immobili dominanti erano liberamente e facilmente accessibili da parte degli appellanti sia dal lato sud attraverso la pubblica via, la stradina di accesso (servitù non contestata) e il percorso posto ad est del mappale n. 420, sia da est, attraverso la capezzagna insistente sul mappale 417 di proprietà dell’appellante, percorsi questi non contestati dai medesimi, che si erano limitati ad affermare che il
percorso sul mapp. 417 era una stradina percorribile solo a piedi, circostanza questa smentita dalle fotografie prodotte, e che quello a sud non era stato più utilizzato dal 2016.
Da ciò consegue l’infondatezza della censura.
Quanto alla valutazione del titolo, si osserva come, a mente dell’art. 1063 cod. civ., ‘ l’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle seguenti disposizioni ‘, norma alla cui stregua va letta anche la prima parte dell’art. 1065 cod. civ., secondo cui ‘ colui che ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso ‘.
Ciò significa che, come già affermato da questa Corte, l’estensione e le modalità di esercizio della servitù devono essere dedotte anzitutto dal titolo, quale fonte regolatrice primaria del diritto, tenendo conto della comune intenzione dei contraenti, da ricavarsi, peraltro, non soltanto dal tenore letterale delle espressioni usate, ma anche dallo stato dei luoghi, dall’ubicazione reciproca dei fondi e dalla loro naturale destinazione, elementi tutti formativi e caratterizzanti l’ utilitas legittimante la costituzione della servitù, mentre il ricorso ai precetti sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 cod. civ. è possibile solo quando il titolo manifesti imprecisioni o lacune, non superabili mediante adeguati criteri ermeneutici, ossia quando la convenzione non consenta di dirimere i dubbi al riguardo (Cass., Sez. 2, 9/8/2018, n. 20696; Cass., Sez. 2, 23/3/2017, n. 7564; Cass., Sez. 2, 12/1/2015, n. 216; Cass., Sez. 2, 11/6/2010, n. 14088).
Gli artt. 1063, 1064 e 1065 cod. civ. contemplano, infatti, una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, nel senso che il riferimento primario è costituito dal titolo, da interpretarsi secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 cod. civ. rivestono carattere meramente sussidiario e possono
trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego dei generali criteri ermeneutici (Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15046; Cass., Sez. 2, 23/3/2017, n. 7564; Cass., Sez. 2, 12/1/2015, n. 216; Cass., Sez. 2, 16/8/2012, n. 14546; Cass., Sez. 2, 6/2/2009, n. 3030; Cass., Sez. 2, 10/5/2004, n. 8853; Cass., Sez. 2, 7/6/2002, n. 8261; Cass., Sez. 2, 7/8/1995, n. 8643; Cass., Sez. 2, 18/8/1981, n. 4662).
Soltanto in tal caso il giudice è tenuto a ricorrere al criterio oggettivo del c.d. minimo mezzo di cui all’art. 1064 cod. civ., ossia del contemperamento delle esigenze del fondo dominante con il minore aggravio del fondo servente (c.d. minimo mezzo; cfr. Cass. , Sez. 2, 20/7/1991, n. 8122; Cass., Sez. 2, 7/5/1987, n. 4238; Cass., Sez. 2, 10/6/1982, n. 3524), o alla regola di cui all’art. 1064 cod. civ., secondo cui ‘ il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne ‘, la quale include nel suo contenuto anche quelle facoltà accessorie (c.d. adminicula servitutis ) che rientrano nel contenuto unitario della servitù, cui corrisponde, dal lato passivo, un pati del proprietario del fondo servente, e che, pur variabili per il contenuto in quanto funzionali al tipo di servitù e alle relative esigenze concrete, sono prive di autonoma esistenza, siccome estranee agli elementi strutturali e all’esplicazione del vincolo (Cass., Sez. 2, 28/5/1979, n. 3097), senza dar luogo perciò ad autonoma servitù e senza perdersi o estinguersi se non insieme con la servitù alla quale ineriscono (Cass., Sez. 6-2, 30/7/2020, n. 16322; Cass., Sez. 2, 17/11/1979, n. 5983).
Tutti questi criteri e, più in generale, l’interpretazione del titolo convenzionale costitutivo della servitù, consistente nella ricerca e individuazione della volontà dei contraenti, determina un apprezzamento di merito incensurabile in sede di legittimità (Cass., Sez. U, 13/2/2024, n. 3925), interpretazione che, nella specie, è
stata operata dai giudici di merito, senza che possa in questa sede criticarsi il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, il quale non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. -dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. 1, 26/9/2018, n. 23153; Cass., Sez. 3, 10/6/2016, n. 11892), sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità ( ex plurimis Cass., Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass., Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass., Sez. 6-5, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056), come invece accaduto nella specie.
8. Il terzo motivo è parimenti infondato.
Ferme restando le considerazioni che precedono, occorre ulteriormente osservare come la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configuri unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, mentre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055).
Nella specie, i giudici di merito hanno escluso che potesse ravvisarsi l’acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia della rivendicata servitù, affermando che non sussistessero i presupposti per l’accoglimento della domanda anche per titoli diversi da quelli dedotti in giudizio dagli attori, senza violare i principi sopra esposti e che il passaggio rivendicato mancasse del requisito dell’apparenza previsto dall’art. 1061 cod. civ., stante l’assenza di opere visibili e permanenti, e non fosse dimostrato il possesso ultraventennale.
9. Il quinto motivo è, invece, inammissibile.
Nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo
riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) -deve, infatti, indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Non avendo i ricorrenti adempiuto nella specie a tale incombente, ne deriva, sotto questo profilo, l’inammissibilità della censura.
10. Il quarto motivo è, infine, infondato.
In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass,, Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Nella specie, la Corte d’Appello ha correttamente applicato il principio della soccombenza, avendo respinto il gravame proposto dagli odierni ricorrenti, sicché non sussiste la violazione lamentata.
11. Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come
previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge – in favore della cassa delle ammende.
12. Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma ulteriore liquidata in € 2.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/11/2024.
Il Presidente NOME COGNOME