Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20104 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20104 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17280/2019 R.G. proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
IPPOLITO MATILDE, STILE BONAVENTURA;
– intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 818/2018 depositata il 07/06/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/07/2024 dal AVV_NOTAIO Dott. NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME citava in giudizio, dinanzi il Tribunale di Nocera Inferiore, NOME e COGNOME NOME per ottenere una riduzione del prezzo di acquisto pattuito in ordine alla compravendita di un immobile gravato da una servitù di passaggio non apparente in Favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e di cui non era stata data conoscenza al compratore.
I fatti erano così ricostruiti: i coniugi COGNOME NOME NOME COGNOME NOME con contratto preliminare di compravendita del 6 ottobre 2003 si erano obbligati ad alienare in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, per sé o per persona da nominare, una consistenza immobiliare con annessa corte pertinenziale di circa mq. 300 in INDIRIZZO, per il prezzo di euro 57.000,00; i promittenti acquirenti avevano versato la somma di euro 13.000,00; il restante importo di euro 44.000,00 sarebbe stato versato alla stipula del definitivo; in data 20 novembre 2003 era stato stipulato il contratto definitivo con RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME quali acquirenti; in data 7 giugno 2004 RAGIONE_SOCIALE NOME riceveva una missiva proveniente da COGNOME NOME ed COGNOME NOME nella quale questi ultimi dichiaravano di essere titolari di una servitù di passaggio gravante sugli immobili dei coniugi COGNOME NOME ceduti al RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale accertata la natura apparente della servitù gravante sul bene acquistato dall’attore rigettava la domanda di riduzione del prezzo.
NOME NOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza
La Corte d’Appello di Salerno rigettava il gravame.
Per quel che ancora rileva, il giudice del gravame riteneva ricorrere nel la specie un’ipotesi di servitù apparente. Era pacifico, infatti, che il requisito dell’apparenza della servitù richiedesse la sussistenza di una situazione di fatto caratterizzata da opere inequivocabilmente destinate per la loro struttura e funzionalità all’esercizio della servitù medesima così rivelando inequivocabilmente l’onere gravante su un fondo e a vantaggio di un altro fondo e, con specifico riferimento alla servitù di passaggio ai fini del requisito de ll’ apparenza, non era sufficiente accertare l’esistenza di una strada, di un sentiero o di un viottolo sul fondo servente, ma occorreva che dallo stesso tracciato fosse consentito desumere senza incertezze o ambiguità che esso era stato predisposto al servizio del fondo dominante (Sez. 2 n. 20845 del 2014).
La riduzione del prezzo di cui all ‘ art. 1489 c.c. era correlata alla ricorrenza di tre requisiti ovvero la non apparenza del l’ onere o del diritto reale o personale altrui, la loro non effettiva conoscenza da parte del compratore, la loro mancata dichiarazione in contratto da parte del venditore. Da tanto conseguiva l’irrilevanza delle censure sollevate rispetto alla consulenza tecnica di ufficio con riferimento alla percentuale di riduzione del prezzo che non sarebbe stata correttamente calcolata, dal momento che la natura apparente della servitù escludeva l ‘ applicabilità dell’art. 1489 c.c.
Infatti, dagli accertamenti effettuati dal CTU si evinceva che le piccole corti di proprietà dell ‘ appellante e dei finitimi (proprietà COGNOME-lmperato), un tempo costituenti un unico appezzamento di terreno, avevano un lato in comune lungo il quale era posizionato un muretto di circa un metro che fungeva anche da confine tra le
medesime proprietà e che in uno degli estremi del muretto era presente una rampa di scale che consentiva di poter accedere dalla proprietà COGNOME alla proprietà NOME e viceversa; un piccolo viale ubicato nella proprietà COGNOME conduceva alla rampa di scale, come raffigurato nelle foto della relazione tecnica.
La situazione di fatto, come descritta, ed in particolare le dimensioni del muretto posto lungo il confine alto soltanto un metro e non costituente di per sé un impedimento all’attraversamento ed alla netta separazione tra i fondi, la circostanza che esso si interrompesse mediante una rampa di scale ben visibile, tenuta in efficienza ed agevolmente percorribile, la presenza di un vialetto che conduceva alle predette scale ed il facile attraversamento delle stesse, erano tutti elementi che evocavano l’ originaria natura unitaria dell’appezzamento del fondo e la fruizione comune degli spazi e consentivano di ritenere esistenti opere inequivocabilmente destinate per la loro struttura e funzionalità all’esercizio della servitù di passaggio in favore del fondo di COGNOME NOME ed COGNOME NOME, servitù che parte appellante non contestava né con riferimento al diritto né avuto riguardo al concreto ed effettivo esercizio.
Da ultimo, la Corte riteneva infondata anche la doglianza avanzata in via subordinata dalla difesa dell’appellante in ordine alla nullità della consulenza tecnica per violazione degli artt. 194 e 195 c.c. nella formulazione vigente prima della introduzione della legge n. 69 del 2009. La consulenza tecnica era stata affidata il 14 marzo 2012 e, quindi, nella vigenza del nuovo disposto normativo che, in ogni caso, consentiva una più ampia partecipazione delle parti alle operazioni peritali a garanzia del contraddittorio, rispetto
al precedente disposto normativo e, dunque, l’ottemperanza a siffatte regole certo non poteva essere sanzionata da nullità come prospettato dall’appellante.
NOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
NOME NOME e COGNOME NOME sono rimasti intimati.
Il ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1061 e 1489 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
La servitù di passaggio per cui è causa non sarebbe apparente, come erroneamente asserito dal CTU e condiviso dai Giudici di prime e seconde cure. Ciò alla luce della descrizione dello stato dei luoghi operata dallo stesso CTU e della nozione di apparenza della servitù, resa sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Invero, la piccola rampa di scale, tra il fondo del ricorrente e quello dei coniugi COGNOME, non sarebbe univocamente preordinata all’esercizio della servitù di passaggio in esame. Inoltre, per la giurisprudenza medesima, la garanzia prestata dagli alienanti all’art. 3 del contratto di compravendita (circa la .. . libertà delle consistenze in oggetto, da pesi, vincoli, oneri reali … ), qualora non rispondente al vero, renderebbe applicabile il disposto di cui all’art. 1489 c.c., indipendentemente dall’apparenza o meno dei pesi gravanti sul bene alienato.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che la servitù di passaggio oggetto del presente giudizio fosse apparente sulla base di una valutazione della complessiva situazione di fatto fondata su ll’esame dello stato dei luoghi e sugli accertamenti effettuati dal CTU. Su tali basi ha ritenuto esistenti opere inequivocabilmente destinate per la loro struttura e funzionalità all’esercizio della servitù di passaggio in favore del fondo di COGNOME NOME ed COGNOME NOME.
L ‘accertamento in fatto dello stato dei luoghi e della destinazione funzionale delle opere al servizio della servitù di passaggio non è sindacabile da questa Corte, fondandosi su di una motivazione conforme alla giurisprudenza di legittimità in materia di apparenza circa la necessità del c.d. quid pluris rappresentato dalla visibilità del nesso di strumentalità delle opere rispetto al bisogno del fondo da considerare dominante.
In questa sede deve ribadirsi che, ai fini dell’apparenza, non è necessaria la sussistenza di specifiche opere materiali ulteriori rispetto a quella (ad esempio il tracciato, la strada, la rampa, la scala) su cui il passaggio preteso è possibile, ma è sufficiente l’evidenza dell’inequivoco collegamento funzionale tra l’opera in sé destinata al passaggio e il preteso fondo dominante (Sez. 2 – , Ordinanza n. 29555 del 25/10/2023, Rv. 669300 – 01).
Ciò che rileva è che l’esistenza di una strada o di un percorso all’uopo idonei siano stati realizzati allo scopo di dare accesso al fondo preteso dominante attraverso quello preteso servente ed occorrendo, pertanto, un quid pluris che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitù (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11834 del 06/05/2021).
Peraltro, con riferimento specifico al caso di specie, nel contratto di acquisto dell ‘immob ile che costituisce il fondo servente si faceva esplicito riferimento alle servitù esistenti, dunque, non è fondata la tesi secondo cui contrattualmente il bene era stato garantito libero da vincoli e oneri.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 2697 c.c., agli artt. 115, 194 e 195 c.p.c., e all’art. 58, primo comma, della legge n. 69 del 2009, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – nullità della ctu depositata nel giudizio di primo grado, nullità della sentenza, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c..
La consulenza tecnica d’ufficio, con funzione percipiente e tempestivamente impugnata dal ricorrente, sarebbe nulla, perché: a) espletata ai sensi dell’art. 195 c.p.c., così come riformato dal comma 5 dell’art. 46 della legge n. 69 del 18/06/2009, tuttavia, in violazione dell’art. 58 della stessa. Infatti, il giudizio di primo grado è stato rubricato con il N.R.G. 161/2005 e, dunque, instaurato antecedentemente all’entrata in vigore della detta legge, con conseguente inapplicabilità della riforma; b) il CTU ha risposto al quesito contrassegnato dalla lettera a), nell’elaborato peritale, in violazione di quanto disposto dal Giudice, nonché dalla legge. Egli, infatti, si è avvalso di documenti non prodotti dalle parti in causa ed afferenti ad un fatto principale, dedotto in giudizio, con conseguente inutilizzabilità delle sue conclusioni, ex art. 2697 c.c., da parte del Giudice adito, e conseguente nullità della sentenza di primo grado, in quanto pronunciata in violazione dell’art. 115 c.p.c., nonché di quella impugnata con il presente ricorso.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Dalla sentenza impugnata emerge che il ricorrente aveva proposto come motivo di appello unicamente la nullità della consulenza per essere stata svolta sulla base delle regole di cui all’art. 189 c.p.c. come modificato dalla l. n. 69 del 2009 non applicabile ratione temporis, essendo stato introdotto il giudizio in data 5 gennaio 2005.
Invece, con la censura in esame il ricorrente lamenta che il consulente abbia utilizzato atti acquisiti di sua iniziativa e volti a provare fatti principali e, tuttavia, trattandosi di un giudizio avente ad oggetto la domanda di riduzione del prezz o per l’esistenza della servitù, la prova dell’esistenza di titoli precedenti dai quali risultava la servitù gravante sul bene non era a carico dei venditori, quanto piuttosto dell’acquirente che lamentava di aver acquistato il bene libero da pesi e oneri nonostante nel contratto si facesse riferimento alle servitù esistenti .
Le sezioni unite, con sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019, chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto la corretta interpretazione della ‘garanzia per i vizi della cosa venduta’ gravante sul venditore ai sensi dell’art. 1490 c.c. hanno enunciato il seguente principio di diritto: ‘in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’articolo 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi.’
Nello stesso senso, con specifico riferimento alla domanda ex art. 1489 c.c., deve richiamarsi anche il seguente principio di diritto: « Ai sensi dell’art. 1489 c.c., la domanda del compratore di
risarcimento del danno, al pari di quella diretta ad ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, resta ancorata ai presupposti di fatto e di diritto previsti dalla legge per poter affermare la responsabilità del venditore, occorrendo che il bene compravenduto sia effettivamente gravato da un diritto reale a favore di un terzo, senza che sia sufficiente una situazione di fatto in astratto corrispondente ad un diritto altrui. Ne deriva che la responsabilità, anche solo risarcitoria, del venditore richiede la dimostrazione dell’esistenza di un diritto altrui sul bene, la cui prova non può che essere posta a carico del compratore» (Sez. 2, Sentenza n. 29367 del 28/12/2011, Rv. 620777 – 01).
Quanto alla violazione delle norme procedurali per lo svolgimento della consulenza la censura è del tutto generica e dunque inammissibile.
Peraltro, l ‘ asserita violazione non risulta dedotta nella prima udienza utile successiva. Infatti, le eccezioni verbalizzate, per come riportate dal ricorrente nel ricorso, attengono al merito della consulenza e non a vizi procedurali.
L’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, dedotta per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l’udienza successiva al deposito, nella quale il giudice abbia rinviato la causa per consentire l’esame della relazione, poiché le denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto della relazione (Sez. 2, Sentenza n. 22843 del 25/10/2006, Rv. 593047 – 01).
Il ricorso è rigettato. Nulla sulle spese non essendosi costituite le parti intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione