Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22655 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 22655 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
OPPOSIZIONE ALL’ ESECUZIONE
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16641/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difes o dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME
COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’ Avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 308/2023 della CORTE DI APPELLO DI MILANO, depositata il giorno 31 gennaio 2023;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza tenuta il giorno 21 maggio 2025 dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare la cessazione della materia del contendere sul ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME per parte ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1501/2018 del 22 marzo 2018, la Corte di appello di Milano condannò la società RAGIONE_SOCIALE Banche RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE: in appresso, per brevità: RAGIONE_SOCIALE) al pagamento, in solido con altri, della somma di euro 1.350.000, oltre interessi, in favore della RAGIONE_SOCIALE
In relazione a detta sentenza la Polis: (i) instaurò procedimento di correzione di errore materiale, disatteso con ordinanza del giugno 2018 dalla A.G. emittente; (ii) formulò istanza di revocazione ex art. 395 cod. proc. civ., rigettata dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 4032/2019 del 4 ottobre 2019, oggetto poi di ricorso per cassazione (iscritto al R.G. n. 37208 dell’anno 2019); (iii) propose impugnazione di legittimità, con ricorso isc ritto al R.G. n. 12522 dell’anno 2018.
Nelle more, la RAGIONE_SOCIALE in forza della sentenza n. 1501/2018 della Corte di appello di Milano, intimò alla RAGIONE_SOCIALE precetto per il pagamento della complessiva somma di euro 1.619.159,98.
Avverso detto precetto, la Polis dispiegò opposizione ex art. 615, primo comma, cod. proc. civ. , assumendo, in estrema sintesi, che l’atto le era stato illegittimamente rivolto come responsabile in proprio, anziché nella veste di gestore del fondo di investimento alternativo ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ( qualità in cui aveva partecipato al giudizio concluso con la sentenza azionata), con conseguente violazione della regola della separazione patrimoniale prevista dall’art. 36 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (d’ora innanzi, per brevità: T.U.F.).
All’esito del giudizio di prime cure, svolto nell’attiva resistenza dell’opposta, il Tribunale di Milano dichiarò inammissibile l’opposizione.
La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l’appello della RAGIONE_SOCIALE
Ricorre per cassazione Polis, affidandosi a sei motivi.
Resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto declaratoria di cessazione della materia del contendere sul ricorso, con regolamento delle spese di lite secondo soccombenza virtuale.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
La causa è stata trattata alla odierna pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
1.1. Il primo motivo lamenta «violazione dell’art. 36 T.U.F. e falsa applicazione dell’art. 1705 cod. civ.; in mancanza di incapienza del patrimonio del fondo gestito, la società di gestione non può essere chiamata a rispondere delle obbligazioni contratte per il fondo in applicazione della disciplina del mandato senza rappresentanza quando il terzo contraente è pienamente consapevole dello svolgimento che l’atto è riferibile al patrimonio del fondo ».
Esso invoca l’affermazione del seguente principio di diritto: « la società di gestione del risparmio che agisce esplicitamente ed esclusivamente nella veste di gestore di un fondo comune d ‘ investimento dalla medesima gestito non può essere chiamata a rispondere direttamente con il proprio patrimonio delle obbligazione assunte nell’interesse di tale fondo comune d’investimento, come se la stessa agisse quale mandatario senza rappresentanza (di un soggetto terzo), dato che la controparte non può ignorare la separazione patrimoniale imperativamente prescritta dall’art. 36 T.U.F. ».
1.2. Il secondo motivo, ancora per violazione dell’art. 36 T.U.F. e falsa applicazione dell’art. 1705 cod. civ., ritiene che « l’espressa indicazione del fondo comune d’investimento per il quale opera la società di gestione comporta che il terzo contraente ne sia consapevole e impedisce che si configuri un mandato senza rappresentanza, sicché in mancanza di incapienza del patrimonio del fondo gestito la società
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di gestione non può essere chiamata a rispondere delle obbligazioni in tal modo contratte» .
Esso chiede a questa Corte di dichiarare che « l ‘affermazione, da parte della SGR, di operare per conto di un fondo comune d’investimento dalla medesima gestito e specificamente identificato nella documentazione contrattuale con l’indicazione della sua denominazione non può essere intesa come espressiva della sua operatività in proprio (senza spendita del nome) con assunzione della responsabilità diretta con il patrimonio proprio per l’adempimento delle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1705 cod. civ. , poiché l’altro contraente risulta pienamente edotto del patrimonio separato (quello del fondo comune di investimento) a cui sono esclusivamente riferibili gli effetti giuridici del rapporto contrattuale ‘ ».
1.3. Il terzo motivo, stavolta per violazione dell’art. 36 T.U.F. e degli artt. 1363, 1366, 1367 e 1371 cod. civ. e falsa applicazione dell’art. 1705 cod. civ., assume che « l’espressa indicazione del fondo come d’investimento per il quale opera la società di gestione comporta che il terzo contraente ne sia consapevole e impedisce che si configuri un mandato senza rappresentanza, sicché la società di gestione non può essere chiamata a rispondere delle obbligazioni in tal modo contratte, anche qualora tale indicazione sia fra parentesi » nella lettera del 10 maggio 2007, contenente la proposta irrevocabile di acquisto.
Ad avviso dell’impugnante, « l a collocazione di un’espressione fra parentesi non la rende irrilevante a fini negoziali, sicché la stessa deve essere interpretata ai sensi degli artt. 1362 ss. cod. civ. ».
1.4. Il quarto motivo eccepisce nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per travisamento della prova e falsa applicazione dell’art. 1705 cod. civ., in quanto « l’indicazione del fondo comune d’investimento per il quale operava la società di gestione non era
affatto collocata fra parentesi nel documento oggetto di discussione fra le parti », ovvero la già menzionata lettera del 10 maggio 2007.
L’argomentazione si co mpendia nell’assunto per cui « incorre in travisamento della prova censurabile in sede di legittimità il giudice che neghi rilevanza negoziale ad un’espressione collocata fra parentesi (nel campo firma) e, al contempo, pretermetta di considerare che analoga espressione è presente nel testo del contratto pacificamente non collocata fra parentesi ».
1.5. Con il quinto motivo, prospettando violazione dell’art. 36 T.U.F. e degli artt. 474 e 615 cod. proc. civ., si sostiene che « l’ambiguità del titolo, inter pretato come riferito a RAGIONE_SOCIALE in proprio ai fini del rigetto dell’istanza di correzione errore materiale mentre come riferito a RAGIONE_SOCIALE quale società di gestione del RAGIONE_SOCIALE ai fini del rigetto della domanda di revocazione, imponeva al giudice dell’oppos izione a precetto di procedere alla sua eterointegrazione sulla base degli atti e documenti di causa ».
La doglianza si conclude con la richiesta di affermazione del seguente principio di diritto: « un titolo esecutivo costituito da una sentenza interpretata come riferita al patrimonio proprio della società di gestione ai fini del rigetto di una istanza di correzione di errore materiale, e come invece riferito al separato patrimonio di un fondo comune di investimento gestito dalla stessa SGR ai fini del rigetto della domanda di revocazione ad opera del medesimo ufficio giudiziario, è intrinsecamente ambiguo, sicché rientra nel dovere decisorio del giudice dell’esecuzione procedere alla sua eterointegraz ione sulla base degli atti del procedimento richiesta dal debitore ».
1.6. I l sesto motivo denuncia violazione dell’art. 36 T.U.F., degli artt. 474 e 615 cod. proc. civ. e degli artt. 44 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.: « la Corte territoriale era vincolata a conoscere della dedotta violazione della separazione patrimoniale per effetto concorrente di quanto statuito nell’ordinanza d ella Suprema Corte n. 40588 del 17
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dicembre 2021 nonché nella sentenza della Corte di Appello di Milano di rigetto della domanda di revocazione ».
In breve, a d avviso dell’impugnante, « i ncorre in violazione dell’art. 2909 cod. civ. la sentenza che in sede di opposizione alla esecuzione rifiuta, da un lato, di esaminare questione sollevata da parte opponente ed espressamente devolutale da pronuncia regolatrice della competenza e, dall’altro, di recepire esplicita statuizione, attribu tiva a tale sede della sua cognizione e attestante la riferibilità del rapporto controverso ad un fondo comune d’investimento gestito e non al patrimonio proprio della società di gestione, resa come motivo portante di rigetto di domanda di revocazione e non impugnata, neppure implicitamente, dalla parte opposta » .
In via assolutamente preliminare, va dichiarata cessata la materia del contendere sul ricorso.
In pendenza del presente giudizio di legittimità, infatti, questa Corte, con l’ordinanza n. 31431/2023 resa il 13 novembre 2023, ha accolto (tra l’altro) il ricorso (incidentale) interposto dalla Polis e cassato con rinvio la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1501/2018, in virtù della quale è stato intimato il precetto oggetto dell’opposizione definita con la sentenza di merito oggi qui gravata .
Si è così verificata, dunque, la caducazione lite pendente del titolo esecutivo: ed è oramai pacifico a seguito dell’arresto dichiaratamente nomofilattico delle Sezioni Unite di questa Corte n. 25478/2021 del 21 settembre 2021 – che, in caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo per effetto di una pronuncia del giudice della cognizione importa che il giudizio di opposizione all ‘ esecuzione per altri motivi proposto vada definito con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, e non già di accoglimento dell ‘ opposizione, e le spese processuali regolate, per conseguenza, secondo il criterio della soccombenza virtuale, da valutare unicamente in relazione agli
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originari motivi di opposizione (per la ulteriore conferma dell’indirizzo, v., ex aliis : Cass. 28/03/2022, n. 9899; Cass. 05/11/2024, n. 28360).
Non è dubbio, poi, che la Suprema Corte possa definire il giudizio di legittimità con declaratoria di cessazione della materia del contendere, in tutti i casi in cui ne ricorrano i presupposti: e tanto, ai sensi dell’art. 372 del codice di rito, rende ammi ssibile la produzione, ad opera delle parti (facoltà di cui nel caso si è avvalsa la ricorrente), dei documenti comprovanti il venir meno della necessità della decisione del ricorso (da ultimo, Cass. 23/04/2025, n. 10602; Cass. 19/04/2023, n. 10483; Cass. 02/04/2021, n. 9201).
Alla declaratoria di cessazione della materia del contendere segue il consueto effetto della caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata, essendo a tali fini irrilevante la successiva valutazione della virtuale fondatezza, o meno, del ricorso in quanto avente esclusivo rilievo in merito alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Deve allora procedersi allo scrutinio delle doglianze sollevate dalla parte ricorrente: ma esclusivamente nella prospettiva della loro verosimile o potenziale accoglibilità al momento in cui la domanda era stata proposta, criterio fondante la valutazione di soccombenza in senso virtuale ai fini della disciplina sulle spese di lite.
Dei primi quattro motivi questa Corte ritiene la plausibile (o virtuale) inammissibilità , per un’identica ragione, ad essi comune.
Essi – i quali replicano le censure articolate a suffragio del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1501/2018, ovvero quella azionata con il precetto opposto attingono criticamente un’argomentazione svolta ad abundantiam nella qui gravata sentenza (in specie, ai punti 3.5. e 3.6.).
La reiezione dell’opposizione all’esecuzione riposa infatti, secondo la Corte territoriale, sul contenuto precettivo del provvedimento-titolo
esecutivo, individuato, sulla scorta dell’univoco tenore letterale di esso, nella condanna irrogata alla Polis « a titolo personale », cioè in proprio.
Questa lettura esegetica del titolo esecutivo, espressa ai punti 3.2. e 3.3. della motivazione, rappresenta il fulcro essenziale, il fondamento autosufficiente della pronuncia: sicché, rispetto ad essa, gli argomenti criticati con i motivi in parola appaiono privi di decisività, potendo espungersi gli stessi dalla trama motivazionale della sentenza senza minare la compiutezza e concludenza del dictum reso.
In parte qua deve concludersi nel senso che difetta, pertanto, l’interesse all’impugnazione.
Il quinto motivo sarebbe stato da valutare come infondato.
L’interpretazione di un titolo esecutivo di formazione giudiziale onde determinarne l’esatta portata precettiva è compito devoluto al giudice dell’esecuzione o al giudice della opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.: e il criterio di orientamento per tale attività è rappresentato dal principio di unità strutturale del provvedimento, che impone la ricerca del significato di esso in forza della lettura congiunta e complessiva delle statuizioni del dispositivo e delle enunciazioni della parte motiva (v., ex plurimis, Cass. 12/12/2018, n. 32196; Cass. 30/03/2022, n. 10230; Cass. 26/07/2022, n. 23344).
Soltanto qualora l’esame del titolo, in tal guisa condotto, riveli incertezze o ambiguità, è consentita l’interpretazione extra -testuale del provvedimento azionato in via esecutiva sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato: ma essa al pari dell ‘eterointegrazione del titolo – resta inflessibilmente esclusa quando è univoca e certa la struttura del comando impartito con il titolo e quando condurrebbe ad attribuire al provvedimento una portata contrastante con quanto risulta dal coordinato esame di dispositivo e motivazione (sulle orme di Cass., Sez. U, 02/07/2012, n. 11066 e di Cass. 17/01/2013, n. 1027, v., da ultimo, Cass. 23/01/2023, n. 1942; Cass. 23/05/2023, n. 14234; Cass. 16/01/2024, n. 1619).
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Tanto precisato in linea generale, nella vicenda de qua la Corte milanese ha escluso la praticabilità di un’esegesi extratestuale proprio in virtù del contenuto, univoco e convergente, delle varie componenti della sentenza azionata come titolo.
Detto apprezzamento – riferito ad un titolo giudiziale non definitivo (per il quale non viene quindi in rilievo il valore giuridico del giudicato, nell’accezione e con le ricadute declinate da Cass., Sez. U, 21/02/2022, n. 5633) – risulta dunque espletato secondo i criteri regolatori della materia e sorretto da motivazione logica e coerente.
Di esso idonea censura non svolge il motivo in vaglio, il quale argomenta la supposta ambiguità del titolo esecutivo non sulla base del dato oggettivo del suo contenuto intrinseco, bensì sulla circostanza, a tal fine irrilevante, della eterogenea interpretazione di tale titolo offerta in seno a differenti controversie.
Pure il sesto motivo merita prognosi postuma di infondatezza.
L’assunto con esso sostenuto, infatti, non è condivisibile quanto all’i ndividuazione della latitudine oggettiva del giudicato derivante dalla sentenza della Corte di appello di Milano n. 4032/2019.
Quest’ultima pronuncia ( peraltro divenuta definitiva soltanto per effetto di Cass. 13/11/2023, n. 31431 che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione interposto contro di essa) riguarda l’istanza di revocazione avanzata dalla odierna ricorrente avverso la sentenza azionata come titolo esecutivo con il precetto opposto.
Essa, pertanto, ha idoneità a fare stato esclusivamente sull’insussistenza del vizio revocatorio e sugli elementi costituenti i presupposti logici di siffatta statuizione: quindi, nel caso di specie, sulla non ravvisabilità di un errore di fatto e sul modo di evocazione (e di condanna) della Polis.
E, sul punto, l’affermazione della sentenza de qua è, con chiarezza, scevra da ogni riferimento, pur mediato o indiretto, al patrimonio del fondo RAGIONE_SOCIALE: « dalla lettura dell’atto di citazione, RAGIONE_SOCIALE è stata
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citata con la sua completa denominazione sociale di RAGIONE_SOCIALE azioni anche la sentenza oggetto di revocazione è stata pronunciata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE quale società di RAGIONE_SOCIALE azioni ».
Sicché di tale motivazione appare ineccepibile l ‘interpretazione offerta dalla sentenza qui impugnata laddove, in risposta a specifico gravame dell’odierno ricorrente, ha chiarito che « da tali affermazioni, in sostanza, si può evincere unicamente che, in sede di giudizio di revocazione, si è giunti soltanto a ritenere che RAGIONE_SOCIALE fosse stata citata da RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di merito con l’indicazione della sua ragione sociale, comprendente la qualifica di Società di Gestione del RAGIONE_SOCIALE per Azioni, in sigla ‘RAGIONE_SOCIALE; ciò, tuttavia, non consente di affermare, come sostenuto dall’appellante, che la stessa fosse stata coinvolta nelle pretese dell’appellata proprio nella su a veste di gestore del RAGIONE_SOCIALEo RAGIONE_SOCIALE, nemmeno menzionato, risultando ictu oculi unicamente che la stessa fosse stata evocata in giudizio in proprio e, come avviene per ogni società, anche per azioni, con la sua intera ragione sociale, comprendente la menzione del tipo di ente collettivo di cui trattasi e ad esito della conclusione di rapporti giuridici afferenti il suo tipico oggetto sociale».
Non è, dunque, riscontrabile trasgressione della regola del giudicato, né delle altre disposizioni evocate con il motivo.
7. In definitiva, parte ricorrente va condannata alla refusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di parte controricorrente.
Considerati i descritti effetti della declaratoria di cessazione della materia del contendere operata in questa sede, occorre provvedere alla regolamentazione delle spese dell’intero processo, in forza del combinato disposto degli artt. 384 e 385 cod. proc. civ. (cfr. Cass. 08/06/2017, n. 14267). Avuto riguardo all’apprezzato virtuale esito dell’opposizione dispiegata, ritiene questa Corte di poter ribadire le statuizioni di condanna dell’opponente alla refusione delle spese dei
due gradi di merito, nelle misure già quantificate nelle sentenze conclusive di ciascuno di essi.
8. Il tenore della pronunzia, che è di cessazione della materia del contendere , esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per cui non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione (in tal senso, Cass., Sez. U, 19/07/2024, n. 19976).
P. Q. M.
Dichiara la cessazione della materia del contendere.
Condanna la RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese dell’intero giudizio in favore della RAGIONE_SOCIALE, liquidate: per il primo grado di giudizio, in euro 9.694 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge; per il grado di appello, in euro 18.511 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge; per il giudizio di legittimità, in euro 13.000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione