Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32975 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32975 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6831/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, pec:
EMAIL; avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 752/2020, depositata in data 21/07/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 155/2003 veniva ingiunto a NOME COGNOME il pagamento a favore della Banca delle Marche S.p.A. di euro 76.183,84.
In forza di detto titolo l’ingiungente in data 13/03/2003 iscriveva ipoteca giudiziale per l’importo di euro 68.000,00
relativamente alla quota di 3/10 dell’appartamento di proprietà dell’ingiunto sito in Pesaro.
I 3/10 dell’immobile suddetto erano stati trasferiti da NOME COGNOME a NOME COGNOME in sede di separazione consensuale, omologata in data 13/01/2003 e annotata a margine dell’atto di matrimonio in data 23/01/2023.
Successivamente, in data 22/09/2009, la banca notificava a NOME COGNOME atto di pignoramento immobiliare relativo all’immobile suddetto.
NOME COGNOME, conclusa con la banca una transazione, otteneva il decreto n 192/2011 con cui veniva ingiunto a NOME COGNOME il pagamento a suo favore di euro 57.000,00 corrisposti alla banca in forza della transazione, facendo leva sulla scrittura privata dell’8/04/2005 con cui NOME COGNOME si obbligava a garantire e a manlevare NOME COGNOME «da ogni eventuale somma che la stessa fosse stata costretta a pagare a causa della suddetta ipoteca giudiziale».
Il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 44/2015, rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 192/2011 proposta da NOME COGNOME.
La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 752/2020, resa pubblica in data 21/07/2020, ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME ed ha confermato la pronuncia di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto che:
-essendo stato l’atto traslativo contenuto nel ricorso per separazione consensuale trascritto in data 14/05/2003 (quindi, dopo l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai danni di NOME COGNOME, risalente al 12/03/2003), qualsiasi azione legale esercitata da NOME COGNOME nei confronti di detta iscrizione ipotecaria si sarebbe rivelata «disperata e temeraria»;
-con la scrittura dell’8/04/2005, dopo aver premesso che la banca aveva iscritto ipoteca prima che l’atto di assegnazione fosse trascritto, le parti avevano concordato che NOME COGNOME si sarebbe impegnato a far cancellare l’ipoteca giudiziale quanto prima e che comunque avrebbe manlevato NOME COGNOME di ogni somma da questa pagata eventualmente alla banca in forza di detta ipoteca;
-perdurando l’inadempimento di NOME COGNOME la banca nel 2009 aveva iniziato la procedura esecutiva sull’immobile, costringendo NOME COGNOME ad accordarsi per salvare la casa, stipulando addirittura un mutuo per coprire il debito di NOME COGNOME, ottenere la liberazione dall’ipoteca e fermare la procedura esecutiva;
i diritti di NOME COGNOME nei confronti della banca non risultavano minimamente compromessi dal comportamento di NOME COGNOME.
NOME COGNOME ricorre ora per la cassazione della sentenza n. 752/2020 della Corte di merito, formulando due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
È stata disposta la trattazione in Camera di Consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380bis 1 cod. proc. civ.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli artt. 162 e 163 c.c. in correlazione con l’art. 2644 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)».
Il ricorrente sostiene che, essendo l’iscrizione dell’ipoteca illegittima, perché successiva all’annotazione ex art. 162 cod. civ. della convenzione con cui aveva trasferito a NOME COGNOME l’immobile per cui è causa, quest’ultima avrebbe dovuto non già raggiungere
una convenzione con la banca, ma difendersi in giudizio, opponendo alla banca di essere proprietaria dei 3/10 della proprietà dell’appartamento, e solo là dove fosse risultata soccombente nei giudizi di opposizione a precetto o, comunque, di opposizione ex art. 619 cod. proc. civ. nei confronti della banca, avrebbe potuto far valere l’obbligo di garanzia e di manleva assunto con la scrittura privata dell’aprile 2005.
Il motivo è complessivamente infondato.
In primo luogo, va considerato che a pag. 3 della sentenza si legge che la corte d ‘ appello ha ritenuto il profilo relativo all’opponibilità dell’atto attributivo «in parte superato dall’accordo del 8.04.2005» e che detta statuizione non è stata attinta dalle censure del ricorrente.
Inoltre , l’assunto da cui muove il ricorrente, cioè che l’atto di trasferimento inserito nell’accordo di separazione fosse una convenzione matrimoniale, come tale soggetta alle peculiari forme di pubblicità per essa previste (annotazione a margine dell’atto di matrimonio, ex art. 162, 4° comma, cod. civ., e trascrizione ex art. 2647 cod. civ.), introduce una questione nuova e, come tale, non esaminabile, anche per l’impossibilità di svolgere in sede di giudizio di legittimità gli accertamenti di fatto necessari (cfr. Cass. 1°/07/2024, n. 1818)
L’assunto è , comunque, anche infondato in diritto, essendo la convenzione matrimoniale uno strumento che implica la convivenza e la scelta di un regime patrimoniale, là dove l’atto di trasferimento di un bene inserito nelle pattuizioni con cui i coniugi regolano in sede di separazione i loro rapporti economici configura un contratto atipico sottoposto alle regole del diritto comune (Cass. 11/05/1984, n. 2887; Cass 12/09/1997, n. 9034; Cass. 24/04/2007, n. 9863; Cass. 23/09/2013, n. 21736).
13. Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e segnatamente degli artt. 1175 e
1375 c.c. in correlazione con l’art. 1227 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)».
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d ‘ appello ha statuito che non poteva pretendersi da NOME COGNOME un comportamento diverso, neppure alla luce del superiore principio di buona fede contrattuale.
Il ricorrente ribadisce che, essendo l’esclusiva proprietaria dell’immobile, la COGNOME avrebbe dovuto quantomeno proporre opposizione di terzo ex art. 619 cod. proc. civ. piuttosto che prestare acquiescenza all’operato della Banca delle Marche S.p.A. , rinunciando espressamente e irrevocabilmente e « sin d’ora » a qualsiasi azione legale nei confronti della Banca delle Marche S.p.A. La scelta volontaria di rinunciare a qualsiasi azione legale nei confronti della Banca delle Marche S.p.A. avrebbe dovuto essere ritenuta contraria alla buona fede ed alla correttezza, avendo impedito qualsiasi difesa contro il pignoramento immobiliare eseguito da Banca delle Marche S.p.A.; sicché, detto comportamento rinunciatario avrebbe dovuto essere valutato anche ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.
Il motivo è inammissibile.
La ragione assorbente è da individuarsi nella mancata censura della sentenza nella parte in cui ha ritenuto comunque salvi e, quindi, non pregiudicati dal comportamento di NOME COGNOME i diritti dell’odierno ricorrente verso la banca.
Pertanto, anche a prescindere dalla censura introdotta con il motivo qui scrutinato -che, comunque, è inficiata a monte dal convincimento infondato (per le ragioni già esposte) che NOME COGNOME avrebbe potuto contestare alla banca l’inopponibilità dell ‘iscrizione ipoteca ria giudiziale -l’impugnazione non potrebbe raggiungere il suo scopo, quello di ottenere l’annullamento in toto di tutte le ragioni che autonomamente hanno sorretto il capo di sentenza che ha negato la configurabilità di un comportamento
volontario e pregiudizievole di NOME COGNOME e ciò in applicazione del consolidato principio secondo cui quando una sentenza o un capo della stessa sia sorretta da più ragioni autonomamente idonee a tal fine, se una di dette ragioni non formi oggetto di censura si determina l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, delle censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 26/02/2024, n. 5102).
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi euro 5.800,00, oltre a euro 200,00 per esborsi, nonché alle spese generali ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in