Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 402 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 402 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 786 anno 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE società cooperativa per azioni , rappresentata e difesa da gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in forza di procura speciale a margine del controricorso, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce sezione distaccata di Taranto n. 374/2021 pubblicata in data 03/11/2021, notificata il 04/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la cancellazione della segnalazione alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia operata dalla Banca Popolare Pugliese (d’ora in poi BPP) con conseguente condanna al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Taranto accoglieva la domanda disponendo la cancellazione della segnalazione ‘a sofferenza’ a carico della società attrice condannando la banca al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
La Corte di appello di Lecce sezione distaccata di Taranto accoglieva l’appello valorizzando sotto il profilo probatorio, a differenza del giudice di prime cure, i tredici protesti cambiari elevati a carico della società per complessivi € 102.500,00 dal marzo all’agosto 2021, tutti per assenza del debitore o sede chiusa.
A tale circostanza la corte distrettuale aggiungeva ulteriori elementi indicativi della posizione di sofferenza della società come la situazione debitoria nei confronti della banca ammontante ad euro 200.000,00, la notevole debitoria nei confronti del ceto bancario con superamento del limite in alcuni affidamenti o scarsa disponibilità in altri affidamenti. Tale quadro ad avviso della corte di merito era suffragato dalle ipoteche sugli immobili assorbenti l’intero patrimonio immobiliare.
La sentenza veniva impugnata dalla società RAGIONE_SOCIALE con ricorso per Cassazione assistito da due motivi cui la Banca ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112 e 115 c.p.c..
La ricorrente sottopone a critica la motivazione del giudice di appello che non avrebbe correttamente valutato il comportamento della Banca in relazione alle norme che impongono all’intermediario la valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente (cfr circolare 139 dell’11/2/1991 della Banca d’Italia).
In particolare, la corte, a differenza del giudice di primo grado, non avrebbe tenuto conto della carenza di istruttoria da parte della Banca circa l’effettiva capacità di produzione e di reddito della società, nonché delle finalità del mutuo concesso destinato a consolidare le passività col ceto bancario.
Inoltre, l’utilizzo integrale della linea di credito con anticipi su fatture e RIBA piuttosto che comprovare uno stato di insolvenza dimostrerebbe dinamicità e capacità di produrre reddito di impresa.
In sintesi, la corte territoriale non avrebbe accertato correttamente la condotta della Banca ai fini della sussistenza dei presupposti per la segnalazione a sofferenza.
Inoltre, ad avviso della ricorrente, la Corte di Appello avrebbe deciso utilizzando un criterio di doppia presunzione in violazione dell’art. 2727 c.c. , nella misura in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’insolvenza sulla base di elementi presuntivi con conseguente liceità della segnalazione alla Centrale Rischi, senza verificare il comportamento della Banca sulla scorta dei fatti noti accertati nel corso del giudizio di primo grado. In altri termini il giudice distrettuale avrebbe dovuto affermare che le prove acquisite in primo grado non fossero sufficienti a dimostrare l’illegittimità della segnalazione.
Con il secondo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c. non avendo la corte territoriale tenuto conto che l’esposizione debitoria fosse frutto di linee di credito composite di cui circa € 507.532,00 riferite alle anticipazioni Ri.ba. notoriamente definite autoliquidanti.
Il ricorso è inammissibile.
3.1 La prima censura è inammissibile.
Il motivo ruota intorno alla critica della motivazione della pronuncia nella parte in cui non avrebbe valutato la complessiva situazione economico/finanziaria della società ricorrente, con asserita violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.. Orbene, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. comporta il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda di merito. In giurisprudenza è stato in tal senso più volte affermato che il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 19
giugno 2004, n. 11455; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19475; Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n. 18868).
Pertanto, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).
Orbene, nel caso di specie, la ricorrente si duole della mancata valutazione di una circostanza fattuale posta a sostegno della domanda che è stata integralmente respinta, per cui non risultano minimamente integrati i presupposti necessari ai fini della asserita violazione dell’art. 112 c.p.c..
Per quanto concerne la contestata violazione dell’articolo 115 c.p.c., si osserva come a tal fine occorra denunciare specificamente che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).
Orbene, il motivo è tutto incentrato nella critica alla valutazione di merito del giudice di secondo grado e segnatamente del complessivo governo del materiale istruttorio, per cui non ricorre alcun presupposto per ritenere integrata la violazione dell’art. 115 c.p.c..
Nel corpo del motivo si lamenta altresì la violazione degli articoli 2727-2729 c.c., laddove il ricorrente lamenta che «lo stato di insolvenza dell’azienda è stato provato non da fatti noti ma da indizi, ritenuti dal Giudice del gravame gravi, precisi e concordanti».
Al riguardo non può non rilevarsi come l’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso al ragionamento presuntivo e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di prova, sono incensurabili in sede di legittimità, considerato che l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità è quello sulla coerenza della relativa motivazione (Cass. 18 marzo 2003, n. 3983; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2431; Cass. 4 maggio 2005, n. 9225; Cass. 23 gennaio 2006, n. 1216; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27284; Cass. 8 marzo 2007, n. 5332; Cass. 7 luglio 2007, n. 15219).
3.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.
Si rileva come lo stesso sia finalizzato ad ottenere una nuova valutazione da parte di questa Corte delle emergenze probatorie del giudizio di merito.
Al riguardo va premesso che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei
fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 25348/2018; Cass. 7921/2011).
L e critiche mosse all’operato della Corte di Appello attengono alla asserita erronea valutazione dei presupposti in fatto per l’esercizio da parte della Banca del potere di segnalazione alla Centrale Rischi. Tale profilo è insindacabile in sede di legittimità. La corte di appello ha dato prevalenza ad elementi di fatto non valutati in sede di prime cure e che hanno determinato con un giudizio di merito insindacabile la valutazione di sussistenza dei presupposti per integrare lo stato di insolvenza come richiesto ai fini della segnalazione in Centrale RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, la doglianza della società ricorrente, nel contestare la persuasività del convincimento del giudice di merito fondato sull’esame delle risultanze probatorie e nel contrapporvi la propria tesi difensiva, finisce per attingere il piano della sufficienza motivazionale, profilo di censura non più ammesso nel regime di sindacato minimale ex art. 360, comma 1°, n. 5 novellato, cod. proc. civ..
La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679; da ult. Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2019, n. 5200)
nell’affermare che: – il novellato testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.
Anche sotto questo profilo la censura è inammissibile atteso che la corte distrettuale ha esaminato la circostanza della esposizione debitoria della cliente tale da giustificare la segnalazione in centrale rischi valutando la decisività di alcune emergenze istruttorie quali i 13 protesti a carico della società. Tale valutazione, si ripete, è insindacabile in tale sede con
conseguente inammissibilità della doglianza.
con
In conclusione, il ricorso è inammissibile, conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 7.000,00 per compensi professionali oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile,