Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13994 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13994 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14172/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale presso il loro indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, in persona del ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici, in Roma INDIRIZZO
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Napoli n. 982/2021, pubblicata il 16 marzo 2021;
udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 17/4/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
lette le conclusioni dei Sostituti procuratori generali NOME COGNOME e NOME COGNOME con le quali hanno entrambi chiesto l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;
lette le memorie depositate da entrambe le parti; sentiti i difensori presenti.
Fatti di causa
1. Con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado del 8/7/2009, NOME COGNOME convenne in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, onde ottenere l’accertamento dell’acquisto per usucapione, in suo favore, della proprietà della porzione di terreno di mq. 3168, sito in Comune di Mondragone, ricadente nella part. 113 del Foglio di mappa 14, intestata al Demanio Pubblico e Patrimoniale dello Stato, ma facente parte, in realtà, del patrimonio disponibile dello Stato.
A sostegno della domanda espose di essere proprietario di un appezzamento di terreno sito nel Comune di Mondragone (CE), alla INDIRIZZO INDIRIZZO, in virtù di atto di compravendita per Notaio NOME COGNOME del 10 novembre 1965, sul quale aveva realizzato, agli inizi degli anni 1980, uno stabilimento balneare denominato ‘La Duna’, composto da area parcheggio e campeggio, chiosco bar/ristorante e spiaggia attrezzata. Precisò di essere nel possesso della particella oggetto di domanda sin dagli anni 19741975; che solo a causa dell’errata voltura del 1960 degli Uffici del Catasto la stessa era stata intestata al Demanio Pubblico dello Stato Marina, anziché al Demanio Pubblico dello Stato; che tutto il terreno, sia di proprietà, sia posseduto dal medesimo, era stato recintato.
Si costituì il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo il rigetto delle domande attoree sul presupposto che l’area contesa appartenesse al Demanio marittimo.
Con sentenza n. 2436/2014, il Tribunale di Napoli respinse la domanda.
Avverso detta sentenza il COGNOME propose appello. Si costituì ritualmente il citato Ministero chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
Con sentenza n. 982/2021, pubblicata il 16/3/2021, la Corte di Appello di Napoli rigettò l’appello, osservando che, a differenza di quanto stabilito dall’art. 829 cod. civ. per il demanio generale, per i beni appartenenti al demanio marittimo la sdemanializzazione non potesse realizzarsi in forma tacita, ma necessitasse, ai sensi dell’art. 35 cod. nav., dell’adozione di un decreto ministeriale, avente carattere costitutivo e conseguente alla verifica della non utilizzabilità delle zone per pubblici usi del mare, sicché sarebbe stato necessario il provvedimento di sclassificazione richiesto dall’art. 157 Codice della Marina Mercantile del 1877 e dall’art. 35 cod. nav. al fine del passaggio dei beni dal demanio al patrimonio disponibile, mentre tale non poteva considerarsi l’atto di affranco del 1935 in assenza di prova dell’intervenuta superiore approvazione prevista dall’art. 7 dell’atto stesso, restando irrilevanti, in assenza, c.t.u. e documenti catastali.
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.
A seguito della proposta di definizione ex art. 380 bis cod. proc. civ. del Consigliere delegato, il ricorrente ha chiesto la decisione e ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
La Procura generale ha depositato conclusioni scritte.
Con ordinanza n. 31901/2024 pubblicata il 11/12/2024, questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendo la trattazione in pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero ha ribadito, con il deposito di conclusioni scritte, la richiesta di accoglimento del secondo motivo di ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e in particolare: a) l’omesso esame dell’ordinanza del 24 agosto 1936 del Regio Commissario per la liquidazione degli Usi Civici di Napoli e del Decreto del Ministro per l’Agricoltura e per le Foreste del 12 settembre 1936, registrato presso la Corte dei Conti in data 1 ottobre 1936; b) l’omesso esame dei precedenti documenti, ovvero: della relazione di c.t.u. dell’Arch. NOME COGNOME; della nota prot. n. 5281-S.G. 1401/II/99 del 14 maggio 1999 del M.E.F., Ufficio del Territorio di Caserta; della nota prot. n. 23596 del 6 dicembre 2007 dell’Agenzia del Territorio di Caserta; della nota prot. n. 12349 del 23 novembre 2009 dell’Agenzia del Territorio di Caserta.
Si contesta, in particolare, la decisione della Corte territoriale che aveva condiviso la decisione di primo grado, con cui si affermava che il procedimento per la sdemanializzazione non si era completato, e che, pertanto, la superficie territoriale occupata dall’odierno ricorrente non era usucapibile, sul presupposto che, agli atti del giudizio, mancasse la prova dell’intervenuta ‘superiore approvazione’ prevista dagli articoli 5 e 7 dell’atto di affranco del 17 settembre 1935, con conseguente assorbimento delle altre doglianze finalizzate alla valutazione delle risultanze documentali prodotte.
Ad avviso del ricorrente, i giudici, oltre ad avere omesso di considerare la natura costitutiva e ricognitiva dei confini – tra Demanio Marittimo, Patrimonio dello Stato e proprietà comunale dell’atto di affranco del 1935, non avevano dato conto delle risultanze documentali che avrebbero consentito di ritenere dimostrata l’approvazione dell’Autorità superiore prevista dagli artt. 5 e 7 dell’atto di affranco del 1935 e completata la procedura per la sdemanializzazione, omettendo di analizzare, in particolare, l’ordinanza del 24/8/1936 del Regio Commissario per la liquidazione degli Usi Civici di Napoli, con la quale, in ossequio a quanto previsto dall’atto di affranco del 1935, era stata approvata la convenzione transattiva del 17/9/1935; il decreto del Ministro per l’Agricoltura e le Foreste del 12/9/1936, registrato presso la Corte dei Conti il 1/10/1936, col quale era stata approvata la suddetta ordinanza e, a causa di tali omissioni, anche la c.t.u. redatta dall’arch. NOME COGNOME contenente le indicazioni catastali e le delimitazioni (tra demanio marittimo, patrimonio dello Stato e proprietà comunale) conseguenti all’atto di affranco del 1935 e attestante sia i motivi dell’erronea intestazione della particella 113 (già 28c), data dall’erronea voltura eseguita ne 1960 dall’UTE a nome del Demanio marittimo, anziché del Patrimonio dello Stato, sia la presenza in loco dei segni lapidei sistemati in seguito all’atto di affranco; la nota n. 12349 del 23/11/2009 dell’Agenzia del Territorio-Ufficio provinciale di Caserta, attestante il passaggio della particella 113 dal Demanio pubblico dello Stato-Ramo Marina al Demanio Pubblico e Patrimoniale; le note del 14/5/1999 del Ministero delle Finanze, Ufficio del Territorio di Caserta, e del 6/12/2007 dell’Agenzia del Territorio di Caserta, attestanti, rispettivamente, il passaggio della particella 113 al Demanio Pubblico Patrimoniale giusta atto di transazione del 1935 e l’entità
della superficie rimasta al Demanio Marittimo in seguito a tale atto di affranco.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 cod. civ., dell’art. 429 cod. civ. 1865 (approvato con legge 2 aprile 1865, n. 2215), dell’art. 157 del Codice della Marina Mercantile del 1877 (approvato con R.D. 24 ottobre 1877, n. 4146) e dell’art. 35 del Codice della navigazione (approvato con R.D. 30 marzo 1942, n. 327), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Si sostiene, in particolare, che la Corte d’Appello aveva disatteso i motivi di impugnazione proposti, sul presupposto che, a differenza di quanto stabilito per la disciplina del demanio in generale dall’art. 829 codice civile, per i beni appartenenti al demanio marittimo, tra i quali si includono la spiaggia e l’arenile, la sdemanializzazione non potesse realizzarsi in forma tacita, ma necessitasse, ai sensi dell’art. 35 del Codice della Navigazione, dell’adozione di un decreto ministeriale avente carattere costitutivo, il quale avrebbe dovuto seguire alla verifica in concreto della non utilizzabilità delle zone per pubblici usi del mare. Ad avviso del ricorrente, i giudici non avevano considerato che, al momento dell’entrata in vigore dell’art. 35 del codice della navigazione, il bene in questione era già stato sdemanializzato e che la normativa applicabile alla specie era quella antecedente all’entrata in vigore del predetto codice, essendo il procedimento disciplinato dall’art. 157 del Codice della Marina Mercantile del 1877, in virtù del quale era all’uopo sufficiente il mero riconoscimento, contenuto in una dichiarazione dell’Amministrazione Marittima, del venir meno della necessità all’uso pubblico delle parti di spiaggia e delle altre pertinenze demaniali, come accaduto con la relazione della Commissione interministeriale del 15/6/1932, richiamata dalla convenzione tra le Autorità preposte nel 1935, regolarmente approvata. Lo stesso art.
429 del codice civile del 1865 non prevedeva impedimenti al riguardo, in quanto stabiliva la perdita della demanialità per fatto naturale, senza necessità di alcun atto costitutivo dell’amministrazione e senza che questo consentisse di affermare la possibilità di una sdemanializzazione tacita.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1372 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
Si rappresenta che l’apparato motivazionale affermi, altresì, che con l’atto di affranco del 17 settembre 1935 le parti avessero stipulato ‘ una convenzione ‘, con la quale ‘ ritenevano privo di effetto il verbale di delimitazione degli arenili di Mondragone nel 29.4.1930 della Commissione Governativa incaricata (art. 2), mentre accettavano le contrastanti conclusioni della relazione del 15.6.1932 della Commissione Interministeriale che aveva delimitato le zone da assegnarsi allo Stato da quelle da assegnarsi al Comune (art. 3) ‘. Sul punto, si evidenzia che, dal materiale processuale, non emergerebbe alcun elemento dal quale si possa rilevare che le conclusioni della Commissione interministeriale, riportate nella relazione del 15 giugno 1932, siano state ‘contrastanti’. Poiché l’interpretazione dei contratti soggiace alle regole dettate dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., la Corte di merito non poteva esimersi, seppur nella priorità da attribuire all’elemento letterale, dal verificare la formulazione delle espressioni e delle singole pattuizioni in coordinamento con le altre espressioni e clausole contenute nell’atto, e, quindi, alla luce dell’intero contesto contrattuale.
4.1 Preliminarmente, si evidenzia che, come chiarito recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o
manifestamente infondati ex art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il Presidente della Sezione o il Consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore -del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, primo comma, n. 4, e 52 cod. proc. civ., stante la natura non decisoria della proposta e la sua insuscettibilità di assumere valore di pronuncia definitiva (Cass., Sez. U, 10/04/2024, n. 9611).
4.2 Venendo al merito, il secondo motivo, da trattare per primo perché logicamente prioritario, è fondato.
L’art. 157 della legge 24 maggio 1877, n. 3919, approvato con Regio decreto 24 ottobre 1877, n. 4146 (Codice della marina mercantile), disponeva che « le spiagge e il lido del mare, compresi i porti, le darsene, i canali, i fossi, i seni e le rade, dipendono dall’amministrazione marittima per tutto quanto riguarda il loro uso e la polizia marittima » (comma primo) e che « le parti di spiaggia e delle altre pertinenze demaniali sovraindicate, che per dichiarazione della amministrazione marittima fossero riconosciute non più necessarie all’uso pubblico, potranno fare passaggio dai beni del pubblico demanio a quelli del patrimonio dello Stato » (secondo comma).
Le disposizioni del Codice per la Marina Mercantile, approvato con il suddetto Regio decreto 24 ottobre 1877, n. 4146, sono state abrogate, unitamente alle altre disposizioni concernenti le materie disciplinate dal codice della navigazione, contrarie o incompatibili col codice stesso, dall’art. 1329 del Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327, che ha approvato il testo definitivo del Codice della navigazione ed è entrato in vigore il 21/4/1942.
Tra esse deve farsi rientrare anche l’art. 35, rubricato « esclusione di zone dal demanio marittimo », il quale stabilisce che « le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per le comunicazioni di concerto con quello per le finanze ».
La categoria del demanio marittimo è individuata dall’art. 28 Codice della navigazione, norma che, nell’affermare che ne fanno parte « a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo », specifica e amplia il disposto di cui all’art. 822, primo comma, cod. civ., che, fornendo un’elencazione tassativa di beni (Cass., Sez. 2, 2/6/1978, n. 2756), parla di lido del mare, spiaggia, rade, porti, fiumi, torrenti, laghi, altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia e le opere destinate alla difesa nazionale, senza però darne una definizione esatta.
Detti beni, in quanto incommerciabili, imprescrittibili e inespropriabili, non possono neppure essere usucapiti, a meno che non vengano sdemanializzati (Cass., Sez. 1, 6/5/1980, n. 2995).
Quanto alla sdemanializzazione occorre distinguere tra beni del Demanio accidentale e beni del Demanio necessario.
Quanto ai primi, la demanialità cessa con il venir meno della destinazione all’uso pubblico, indipendentemente da un atto espresso dell’amministrazione, atteso che l’atto di sclassificazione come risulta dalla stessa letterale formulazione dell’art. 829 cod. civ. – ha un’efficacia meramente dichiarativa, nell’interesse della certezza delle situazioni giuridiche, limitandosi a dare atto del passaggio del bene dall’uno all’altro regime, sicché per essi è ammissibile la c.d. sdemanializzazione tacita, consistente nel
compimento, da parte dell’Autorità, di atti incompatibili con la volontà di conservare il carattere demaniale dei beni, purché ciò risulti da atti univoci e concludenti, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico.
I beni del Demanio marittimo (c.d. demanio necessario), invece, possono essere sdemanializzati esclusivamente con un espresso e formale provvedimento dell’autorità amministrativa, avente carattere costitutivo (in questi termini Cass., Sez. 6-2, 18/10/2019, n. 26655; Cass., Sez. 2, 19/02/2019 , n. 4839; Cass., Sez. 1, 9/6/2014, n. 12945; Cass., Sez. 2, 11/05/2009 , n. 10817; Cass., Sez. 2, 02/03/2000, n. 2323; Cass., Sez. 2, 14/03/1985, n. 1987; Cass., Sez. 1, 6/5/1980, n. 2995; Cass., Sez. 2, 13/2/1967, n. 362; Cass., Sez. 2, 5/8/1949, n. 2231), senza che tale distinzione contrasti coi principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 42 Cost., considerate, rispettivamente, la non sovrapponibilità degli interessi tutelati dai due istituti e la priorità della salvaguardia della proprietà pubblica rispetto alla privata (Cass., Sez. 6-2, 18/10/2019, n. 26655, cit.).
Questo provvedimento, che è basato su una valutazione tecnicodiscrezionale in ordine ai caratteri naturali, variabili e contingenti, dell’area e alle esigenze locali, finalizzata a verificare la sopravvenuta mancanza di attitudine di determinate zone a servire agli usi pubblici del mare o l’utilità anche solo potenziale dell’area (Cass., Sez. 6-1, 8/2/2018, n. 3111; Cass., Sez. 2, 19/2/2019, n. 4839), è richiesto tanto sotto il vigore dell’attuale codice della navigazione ai sensi dell’art. 35 (con decreto del Ministro della Marina Mercantile di concerto con quello delle Finanze), quanto sulla base della legislazione anteriore ai sensi dell’art. 157 del Codice della Marina Mercantile del 1877 (in questi termini Cass., Sez. 6-2, 18/10/2019, n. 26655; Cass., Sez. 1, 9/6/2014, n. 12945; Cass., Sez. 2, 11/05/2009 , n. 10817; Cass., Sez. 1,
6/5/1980, n. 2995; Cass., Sez. 2, 13/2/1967, n. 362; Cass., Sez. 2, 5/8/1949, n. 2231).
Pertanto, in difetto di un siffatto provvedimento, che è demandato in via esclusiva alla P.A. e/o ad un atto amministrativo e non può essere emesso dall’Autorità giudiziaria perché sarebbe un accertamento, comunque, privo di utilità pratica (Cass., Sez. 2, 19/2/2019, n. 4839), l’immobile non perde la propria qualità di bene demaniale, con la conseguenza che il possesso del medesimo da parte del privato è improduttivo di effetti nei rapporti con l’amministrazione (artt. 690 del codice civile del 1865 e 1145 primo comma del codice civile vigente), e, in particolare, è inidoneo all’acquisto della proprietà per usucapione (Cass., Sez. 1, 6/5/1980, n. 2995; Cass., Sez. 2, 19/2/2019, n. 4839).
In ordine al provvedimento di sdemanializzazione, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare la sussistenza di un’evidente differenza precettiva tra l’art. 157 del previgente Codice della Marina Mercantile e l’art. 35 del Codice della Navigazione, in quanto mentre la norma abrogata prevedeva il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio mediante il mero riconoscimento, contenuto in una dichiarazione dell’Amministrazione marittima, del venir meno della loro necessità per l’uso pubblico, quella vigente prevede prima un analogo riconoscimento da parte del capo del compartimento e, poi, un decreto ministeriale di esclusione dal demanio marittimo (in questi termini Cass., Sez. 1, 21/04/1999, n. 3950).
E’ stato, infatti, affermato che la lettura dell’art. 157 del Codice della Marina Mercantile, così come quella delle altre norme dello stesso Codice, escludeva che, oltre al riconoscimento del venir meno della pubblica necessità, fosse necessario un apposito e successivo atto di sdemanializzazione e che, a differenza dall’attuale normativa, l’art. 157 valorizzava l’aspetto sostanziale
della vicenda attinente ai beni, nel senso che la non necessarietà, in fatto, all’uso pubblico era condizione sufficiente per il transito dal demanio al patrimonio, della quale l’Amministrazione doveva fornire un mero riconoscimento, mentre il vigente art. 35 cod. nav. ‘ valorizza l’aspetto formale della menzionata transizione, laddove pretende, oltre al medesimo riconoscimento da parte del capo del compartimento, un apposito decreto ministeriale ‘ (Cass., Sez. 1, 21/04/1999, n. 3950, cit.).
Come affermato dalla dottrina, l’elemento discriminante, ai fini della sdemanializzazione nella norma del codice del 1877, è il riconoscimento della non necessarietà dei beni all’uso pubblico e, per il codice della navigazione, dell’utilizzabilità per i pubblici usi del mare, ovverossia, rispettivamente, l’attività visibile e materiale esercitata dallo Stato sul bene demaniale anche attraverso le concessioni, per l’una, e l’utilizzabilità potenziale di esso, per l’altra, con un’evidente presa di coscienza della maggior articolazione degli interessi pubblici sottesi ai trasferimenti di beni del demanio necessario, cui è conseguito il coinvolgimento di più Amministrazioni nel procedimento volto ad accertare il venir meno di quell’interesse.
Non è neppure corretta l’obiezione sul punto sollevata dal controricorrente e fondata sul presupposto che la citata pronuncia si riferisse ad un accordo tra ente e privato basato su un provvedimento di sdemanializzazione rilasciato in precedenza, posto che, al pari della situazione in esame, anche in quell’occasione era in contestazione proprio la configurabilità di un provvedimento di sdemanializzazione, che, in quanto costituito da un nulla osta al passaggio delle aree al patrimonio dello Stato, rilasciato nel 1909 dall’Amministrazione, era stato considerato dall’Amministrazione mero atto preparatorio alla formale esclusione delle stesse dal demanio.
Va, infine, esclusa la rilevanza della sentenza n. 6048 del 15/07/2022, con la quale il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda proposta dall’avente causa del ricorrente nei confronti del Comune di Mondragone, avente ad oggetto l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Mondragone n. 5 del 5 novembre 2020, con la quale era stata disposta la chiusura dell’attività di somministrazione alimenti e bevande in Mondragone alla INDIRIZZO sul presupposto dell’insussistenza della concessione demaniale marittima in merito all’area nella quale la predetta attività veniva esercitata.
I giudici amministrativi, infatti, premesso che l’accertamento della natura demaniale dell’area occupata, presupponendo la cognizione di diritti soggettivi, ricade nella giurisdizione del giudice ordinario, conformemente al criterio di riparto della giurisdizione fondato sulla causa petendi (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 10 settembre 2019 n. 22575), hanno respinto la domanda proprio sulla base delle sentenze emesse, in questo procedimento, dai giudici di merito, sicché nessuna rilevanza può attribuirsi alla pronuncia in questione.
Alla stregua di tali principi, deve allora ritenersi errata la sentenza impugnata, avendo i giudici di merito ritenuto che mancasse il provvedimento esplicito di riconoscimento della non necessità per gli usi marittimi, senza valutare i contenuti dell’atto di affranco del 17/9/1935, nella diversa ottica della dichiarazione dell’Amministrazione marittima del venir meno della necessità del bene demaniale per l’uso pubblico, dei provvedimenti ad esso antecedenti che eventualmente potrebbero contenerla e di quelli ad esso susseguenti, quali l’ordinanza del Commissario per gli Usi civici di Napoli del 24/8/1936 e il decreto del Ministero per l’Agricoltura e Foreste del 12/9/1936, non essendo necessario
alcun provvedimento analogo a quello previsto dall’art. 35 del Codice della Navigazione.
La sentenza va pertanto cassata, rendendosi necessario un nuovo esame, sulla scorta del seguente principio di diritto:
« In tema di demanio necessario, la disposizione dell’art. 157 del codice della marina mercantile del 1877 valorizzava, ai fini del passaggio dei beni dal pubblico demanio marittimo al patrimonio dello Stato, l’aspetto sostanziale della vicenda attinente ai beni stessi, nel senso che la loro non necessarietà in fatto all’uso pubblico, della quale l’Amministrazione doveva fornire un mero riconoscimento, era condizione sufficiente per il transito dal demanio al patrimonio. Diversamente, sulla stessa materia, il vigente art. 35 cod. nav. valorizza l’aspetto formale della menzionata transizione, laddove pretende, oltre al medesimo riconoscimento da parte del capo del compartimento, un apposito decreto ministeriale ».
Il primo motivo resta logicamente assorbito dall’accoglimento del secondo, dovendo il giudice di rinvio procedere all’esame dei documenti in esso menzionati. Parimenti, resta assorbito l’esame del terzo motivo che verte sull’interpretazione dell’atto di affranco del 1935.
Il giudice di rinvio, che si individua nella Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/4/2025.
Il giudice estensore Il Presidente