Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14277 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14277 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 37235/2019
vertente tra
Comune di Nettuno , in persona del sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Frascati, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
e
COGNOME NOME , in qualità di procuratrice di NOME COGNOME e in proprio quale erede della stessa, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e dife sa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3784/2019, pubblicata il 06/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Cons. NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 503/2012, il Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, dichiarando inammissibili le censure ex art. 617 c.p.c., respingeva l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. promossa dal Comune di Nettuno contro l’atto di precetto notificato in data 21/10/2009, con il quale COGNOME NOME, procuratrice generale di COGNOME, intimava al Comune il pagamento della somma di € 881.758,06 , oltre spese e accessori, in forza della scrittura privata autenticata dal notaio COGNOME NOME (rep. N. 21913 racc. 11408) del 10/04/2008, munita di formula esecutiva e notificata insieme al precetto.
Tale scrittura, denominata ‘costituzione di titolo per la trascrizione di avvenuto trasferimento di proprietà a seguito di occupazione acquisitiva’ , prevedeva la cessione in favore del Comune di un terreno di circa mq 13.000, che avrebbe dovuto essere espropriato per la realizzazione un compendio destinato a edilizia economico-popolare ma, a seguito dell’occupazione d’urgenza , era stato irreversibilmente trasformato, senza che fosse stato adottato il decreto di esproprio.
Il Comune proponeva appello contro tale statuizione.
Con un primo motivo di gravame, l’appellante deduceva l’ erroneità della pronuncia del Tribunale – nella parte in cui aveva ritenuto estinta la procedura espropriativa al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 10/04/2008, per essere la dichiarazione di pubblica utilità, contenuta nella variante di P.R.G., oggetto della deliberazione della Giunta Municipale n. 57 del 1999, scaduta nell’ottobre del 2004 – poiché la menzionata deliberazione n. 57 del 1999 non valeva come dichiarazione di pubblica utilità, dovendo, invece, considerarsi come termine iniziale della procedura il decreto sinda cale n. 1/2003 o l’immissione in possesso dei fondi, intervenuta il 23/07/2003, con la conseguenza che al momento della
sottoscrizione della scrittura sopramenzionata, e dunque alla data del 10/04/2008, la procedura di esproprio era ancora in corso.
Con un secondo motivo di gravame, l’appellante censurava l’interpretazione della scrittura del 10/04/2008 , operata dal primo giudice in termini prettamente privatistici.
Infine, con un terzo motivo di gravame , l’appellante deduceva la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del Tribunale, ove aveva affermato che, nella specie, si trattava di un contratto di diritto privato, perché tale questione non era stata a lui sottoposta dalla COGNOME, la quale, a fronte dell’eccezione di nullità parziale della scrittura (nella parte relativa alla determinazione del contributo di miglioria), aveva semplicemente dedotto la tardività dell ‘eccezione e l’infondatezza della stessa per impossibilità di modificare in sede giudiziale quanto stabilito in sede amministrativa.
Costituitasi l’appellata, nel contraddittorio delle parti, la Corte territoriale respingeva l’impugnazione , con la seguente motivazione: «Osserva la Corte che il titolo esecutivo azionato dalla COGNOME è costituito dalla scrittura privata autenticata dal notaio Dott. NOME COGNOME in forza della quale si è perfezionato il trasferimento della proprietà fondiaria dell’appellata, in favore del Comune di Nettuno. Con detto atto si stabiliva il prezzo del trasferimento fissato in € 881.481,06, da corrispo ndersi entro il mese di aprile 2009. Questi sono dati certi e non in contestazione e che poi si sia pervenuti alla stipula di detto atto successivamente alla procedura di occupazione acquisitiva, avviata con la delibera del Consiglia Comunale n. 57 del 22.07.1999 per l’adozione della variante del P.R.G., non rileva ai fini dell’inadempimento del Comune di Nettuno rispetto a quanto stabilito poi contrattualmente, circa nove anni dopo: 10.04.2008. Non può condividersi, dunque, quanto sostenuto dal Comune di Nettuno quando ritiene che la scrittura privata autenticata debba essere inquadrata nell’ambito dei contratti di natura pubblicistica e, conseguentemente, che sia applicabile la
normativa per la determinazione della indennità di espropriazione su base concordata nelle procedure ablatorie in corso. La volontà di addivenire al trasferimento dell’immobile al prezzo pattuito intercorsa tra le parti, appare immune da vizi tali da poterne mettere in dubbio la validità e non quale formale adempimento procedurale di esproprio. Correttamente, quindi, la scrittura privata in questione deve essere valutata come vera e propria compravendita, nella quale la determinazione del prezzo del bene è svincolata da qualsivoglia parametro legale, ma rimessa alla libera volontà dei contraenti che hanno meditato e riflettuto prima di raggiungere l’accordo, tanto più che una delle parti è la pubblica amministrazione. In sostanza, la scrittura privata autenticata appare frutto di una decisione libera e consapevole. Quanto alla doglianza sollevata in punto di nullità della clausola, apposta per errore di fatto, di diritto o di calcolo e relativa al prezzo del trasferimento, osserva la Corte come il motivo di appello non possa trovare accoglimento, attesa proprio la natura di uno dei contraenti; il Comune di Nettuno che aveva a disposizione gli uffici amministrativi e tecnici sicuramente in grado di accorgersi di eventuali errori di calcolo o di diritto. Il Legislatore ha tentato di conciliare i due principi in questione, nel caso dell’errore-vizio del consenso, imponendo che esso sia essenziale, ovvero importante, e riconoscibile dalla controparte. Secondo quando disposto dall’articolo 1431 c.c. l’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Dal suddetto principio giuridico superiore deriva che se una delle parti non è in grado con la normale diligenza di rilevare l’errore essenziale dell ‘ altro, ove vi sia, il contratto è validamente concluso e non può essere annullato su istanza della parte incorsa in errore. Nel caso di specie, difettano entrambi i presupposti, in quanto non sussistono le ragioni e le motivazioni per le quali la COGNOME avrebbe dovuto riconoscere un errore nel calcolo della determinazione
dell’indennità di miglioria, errore che, peraltro, è rimasto del tutto indimostrato. Infondata è anche la formulata eccezione di ultrapetizione della sentenza impugnata, avendo il Tribunale valutata la infondatezza delle domande di parte attrice, raggiungendo così il proprio convincimento di rigetto dell’opposizione.»
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Nettuno, affidato a sette motivi di impugnazione.
L’intimato si è difeso con controricorso e ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con motivazione assente o apparente.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello «ha omesso totalmente di pronunciarsi sul primo motivo di appello del Comune di Nettuno» , riguardante la dedotta illegittimità della pronuncia del Tribunale che aveva ritenuto estinta la procedura espropriativa al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 10/04/2008, per essere la dichiarazione di pubblica utilità, contenuta nella variante di P.R.G., oggetto della deliberazione della Giunta Municipale n. 57 del 1999, scaduta nell’ottobre del 2004 -poiché, ad opinione del Comune, la menzionata deliberazione n. 57 del 1999 non poteva valere come dichiarazione di pubblica utilità, dovendo, invece, considerarsi come termine iniziale della procedura il decreto sindacale n. 1/2003 o l’immissione in possesso dei fondi, intervenuta il 23/07/2003, con la conseguenza che al momento della sottoscrizione della scrittura sopramenzionata, e dunque alla data del 10/04/2008, la procedura di esproprio era ancora in corso.
Inoltre, per il ricorrente, sempre con riferimento al primo motivo di appello, la pronuncia della Corte di merito sul punto è incorsa nel
«vizio di “motivazione carente o assente, a di motivazione solo apparente”» in assenza dell’indicazione de l motivo o dei motivi per i quali la circostanza della esistenza della procedura espropriativa o della sua decadenza non rileverebbe ai fini della qualificazione della natura dell’atto traslativo intervenuto tra le parti.
Secondo il Comune, anche in relazione al secondo motivo di appello -con il quale era stata censurata l’interpretazione della scrittura del 10/04/2008 in termini prettamente privatistici operata dal Tribunale – la decisione della Corte d’appello recava una motivazione assente o meramente apparente, perché si era limitata ad affermare di non poter condividere l ‘ assunto del Comune, ritenendo la scrittura una semplice compravendita, escludendo che fosse applicabile la normativa per la determinazione della indennità di espropriazione, compresa la disciplina dell’art. 17 l. n. 865 del 1971, senza prendere posizione sul fatto che, con riferimento all’indennità di miglioria , la scrittura facesse espresso riferimento alla determina dirigenziale n. 7/2007 del 23/01/2007, e riportando, senza alcuna valutazione critica, un passo delle sentenza di primo grado.
Infine, il Comune ha dedotto che la Corte territoriale «ha palesemente aggirato l’obbligo di motivazione » , con riferimento al terzo motivo di appello -con il quale era stata censurata la violazione dell’art. 112 c.p.c. , per avere il Tribunale ritenuto che, nella specie, si trattasse di un contratto di diritto privato, sebbene tale questione non fosse stata a lui sottoposta dalla COGNOME, la quale, a fronte dell’eccezione di nullità parziale della scrittura (nella parte relativa alla determinazione del contributo di miglioria), aveva semplicemente dedotto la tardività della stessa e l’impossibilità di modificare in sede giudiziale quanto stabilito in sede amministrativa -perché ha risposto a tale censura semplicemente affermando che il Tribunale aveva valutato l ‘ infondatezza delle domande del Comune.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 l. n. 865 del 1971, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., poiché, in applicazione delle norme sopra menzionate, la dichiarazione di pubblica utilità consegue all’approvazione in sede regionale della variante al P.R.G., e non alla mera adozione della stessa da parte del Comune, sicché, essendo intervenuta l’approvazione ad opera della Regione il 15/05/2003, seguita dall’adozione del decreto sindacale di occupazione di urgenza n. 1 del 2003, la dichiarazione di pubblica utilità doveva ritenersi ancora efficace il 10/04/2008, quando è stato stipulato l’accordo in questione.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 20 l. n. 865 del 1971 e 22 bis e 43 d.P.R. n. 327 del 2001, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Il ricorrente ha, prima di tutto, affermato l’applicabilità , nella fattispecie, della disciplina contenuta nella l. n. 865 del 1971, poiché il d.P.R. n. 327 del 2001 è entrato in vigore il 30/06/2003, ma la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta prima, sicché, in conformità alla disciplina transitoria, contenuta nell’ art. 57 d.P.R. n. 327 del 2001, dovevano ritenersi operanti le norme previgenti.
Il medesimo ricorrente ha, quindi, dedotto che, nella specie, a seguito dell’occupazione d’urgenza , regolata dall’art. 20 l. n. 865 del 1971, le aree erano state edificate, e irreversibilmente trasformate, nel termine quinquennale di occupazione. Ha, poi, aggiunto che, dovendo procedersi alla regolarizzazione dell’avvenuta acquisizione al patrimonio pubblico delle aree, con determinazione n. 7 del 2007, il Comune aveva dato atto che era intervenuto l’accordo con i proprietari sulla determinazione del valore delle aree in € 33,57 a l mq (come stabilito nella precedente determinazione n. 6 del 2003, assunta in vista dell’ adozione del decreto esproprio, che, invece, non è intervenuto), aggiungendo che tra i proprietari alcuni avevano
dichiarato di essere coltivatori diretti e, dunque, aventi diritto alla maggiorazione ex art. 17 l. n. 865 del 1971.
Secondo il ricorrente, dunque, aveva errato la Corte di merito nel ritenere ‘decaduta’ la procedura espropriativa, perché emergeva per tabulas che l’occupazione d’urgenza era avvenuta nel giugno 2003 e che l’atto notarile era stato redatto nell’aprile 2008 , senza che fosse decorso il quinquennio previsto dall’art. 20 l. n. 865 del 1971 , risultando, peraltro, dalla determina n. 7 del 2007 che l’accordo per la formalizzazione del passaggio di proprietà era già intervenuto.
Essendo ancora efficace la dichiarazione di pubblica utilità, l ‘unico strumento giuridico che poteva essere utilizzato per costituire un titolo idoneo alla trascrizione del passaggio di proprietà era l’ accordo con gli espropriati, secondo lo schema della cessione volontaria di cui all’art. 17 l. 865 del 1971, che prevedeva una indennità pari al valore venale o di mercato del terreno (art. 16, l. cit.) e un’indennità aggiuntiva agli espropriati coltivatori diretti, la quale, però, doveva essere di importo inferiore a quello in concreto pattuito, perché doveva rispettare il disposto de ll’art. 17, comma 3, l. cit.
Anche ritenendo applicabile il d.P.R. n. 327 del 2001, secondo il ricorrente, si perveniva, comunque, allo stesso risultato, dovendosi tenere conto della disciplina prevista dall’art. 22 bis per l’acquisizione sanante e da ll’art. 43 per le ipotesi di occupazione senza titolo di beni nell’interesse pubblico .
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 c.c., non avendo la Corte di appello considerato che, dovendo ritenersi ancora efficace la dichiarazione di pubblica utilità, l ‘ indennità aggiuntiva spettante al proprietario coltivatore diretto doveva essere calcolata secondo quanto previsto dall’art. 17, comma 3, l. n. 865 del 1971, con la conseguenza che la pattuizione, che prevedeva il relativo importo in misura grandemente maggiore in favore del proprietario, doveva
ritenersi nulla per contrarietà a norme imperative, trattandosi di norma cogente di rango pubblicistico, e doveva essere sostituita con la previsione legale sopra menzionata.
5. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., perché la Corte di appello ha ritenuto che «la scrittura privata in questione deve essere valutata come vera e propria compravendita, nella quale la determinazione del prezzo del bene è svincolata da qualsivoglia parametro legale, ma rimessa alla libera volontà dei contraenti che hanno meditato e riflettuto prima di raggiungere l’accordo, tanto più che una delle parti è la pubblica amministrazione. In sostanza, la scrittura privata autenticata appare frutto di una decisione libera e consapevole» , senza sottoporre l’atto a un rigoroso scrutinio circa la effettiva volontà delle parti, come richiesto dall’art. 1362 c.c., limitandosi la Corte d’appello ad affermare in modo apodittico la propria convinzione, senza tenere conto: dell’intestazione della scrittura; del sovrapprezzo (spropositato) previsto a titolo di contributo di miglioria; della determinazione del prezzo in base ad una deliberazione del Comune secondo specifici parametri di legge; al particolare regime fiscale dell’atto ; dello scopo perseguito con l’atto , volto a costituire un titolo per il passaggio della proprietà.
Per il ricorrente, se pure vi era stato un accordo con i proprietari, tale accordo non era, e non poteva essere, una libera compravendita, svincolata da ogni parametro normativo, ma era un’adesione dei proprietari alla valutazione operata dal Comune, secondo il parametro legale di cui alla l. n. 865 del 1971, come specificato nella delibera dirigenziale n. 7 del 2007.
Inoltre, sempre secondo il ricorrente, la Corte d’appello , in violazione dell’art. 1363 c.c., ha omesso di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, mentre, se ciò avesse fatto, avrebbe rilevato che la scrittura privata costituiva l’atto finale della lunga vicenda espropriativa, volta alla costituzione di un titolo per la
trascrizione del passaggio di proprietà già avvenuto, il tutto inserito nel contesto della procedura di esproprio, come si evinceva dal fatto che vi era il costante riferimento alla procedura ablativa in corso, agli atti del Comune che si sono succeduti nel tempo, al regime fiscale applicato con l’espressa indicazione che l’atto viene stipulato in applicazione della l. n. 865 del 1971.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente rigettato il terzo motivo di appello, riferito alla eccepita ultrapetizione o extrapetizione del Tribunale , già descritta nell’illustrazione del primo motivo di ricorso.
Con il settimo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , per non avere la Corte d’appello tenuto conto che ricorressero gravi ed eccezionali ragioni per compensare le spese di lite, in considerazione della obiettiva incertezza del diritto controverso.
Occorre prima di tutto rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che il Comune ha dedotto, in rubrica, il vizio di cui a ll’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ma, poi, nell’illustrare il motivo ha argomentato in modo inequivoco, anche in diritto, in ordine alla ritenuta omessa pronuncia sul primo motivo di appello e al difetto o apparenza della motivazione in riferimento a ciascuno dei tre motivi di gravame formulati.
Come già affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della
rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass., Corte, Sez. 5, Ordinanza n. 12690 del 23/05/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19882 del 29/08/2013).
Il primo motivo di ricorso è infondato con riferimento a tutti i motivi di doglianza.
9.1. Per quanto riguarda la dedotta omessa pronuncia sul primo motivo di appello (con il quale il Comune aveva censurato la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto estinta la procedura espropriativa al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 10/04/2008) è sufficiente evidenziare che, nello stesso motivo di ricorso per cassazione, il Comune ha affermato che «la pronuncia della Corte d’appello sul punto incorre nel vizio di ‘motivazione carente o assente, o di motivazione solo apparente’ perché la Corte non indica il motivo o i motivi per i quali la circostanza dell’esistenza della procedura espropriativa o della sua decadenza non rileverebbe ai fini della qualificazione della natura dell’atto traslativo intervenuto tra le parti» , così dando atto che la pronuncia vi è stata, anche se dal Comune ritenuta viziata.
In effetti, la Corte d’appello ha stabilito quanto segue: «Osserva la Corte che il titolo esecutivo azionato dalla COGNOME è costituito dalla scrittura privata autenticata dal notaio Dott. NOME COGNOME in forza della quale si è perfezionato il trasferimento della proprietà fondiaria dell’appellata, in favore del Comune di Nettuno. Con detto atto si stabiliva il prezzo del trasferimento fissato in € 881.481,06, da corrispondersi entro il mese di aprile 2009. Questi sono dati certi e non in contestazione e che poi si sia pervenuti alla stipula di detto atto successivamente alla procedura di occupazione acquisitiva, avviata con la delibera del Consiglia Comunale n. 57 del 22.07.1999 per l’adozione della variante del P.R.G., non rileva i fini dell’inadempimento del Comune di Nettuno
rispetto a quanto stabilito poi contrattualmente, circa nove anni dopo: 10.04.2008.»
È dunque evidente che la Corte di merito ha ritenuto priva di rilievo la circostanza della pendenza o meno della procedura espropriativa al momento in cui le parti hanno raggiunto l’accordo riportato nella scrittura del 10/04/2008, ritenendo trattarsi di un contratto di compravendita di diritto privato.
9.2. Il motivo è infondato anche nella parte in cui è stato dedotto il vizio di motivazione con riferimento a tutti e tre i motivi di appello.
9.2.1. Com’è noto, in virtù della formulazione vigente dell’art. 360 c.p.c. (introdotta con la novella del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , ma soltanto «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» .
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della
sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il
compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
9.2.2. Nel caso di specie, come risulta da quanto sopra riportato, deve senza dubbio escludersi il vizio di motivazione, da intendersi nei termini appena illustrati, con riferimento al primo motivo di appello, perché chiaramente la Corte di merito ha considerato la scrittura del 10/04/2008 come un accordo di carattere privatistico avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di terreni a un determinato prezzo, sulla cui debenza non aveva alcuna incidenza la pendenza o meno della procedura espropriativa.
Allo stesso modo risulta esplicitata la ragione per cui, con riferimento al secondo motivo di appello, la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante ogni disciplina pubblicistica, tenuto conto che, dopo aver ricostruito in termini privatistici l’accordo in questione, la stessa Corte ha ribadito che « … Correttamente, quindi, la scrittura privata in questione deve essere valutata come vera e propria compravendita, nella quale la determinazione del prezzo del bene è svincolata da qualsivoglia parametro legale, ma rimessa alla libera volontà dei contraenti che hanno meditato e riflettuto prima di raggiungere l’accordo … ».
È, infine, espressa e chiara la motivazione in ordine alla censura contenuta nel terzo motivo di appello, ove al prospettato vizio di extrapetizione o ultra petizione, la Corte d’appello ha evidenziato che il giudice ha solo valutato la fondatezza dell’opposizione proposta dal Comune.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, non avendo parte ricorrente colto la ratio della decisione impugnata.
Come sopra anticipato, il giudice di appello, dopo avere esaminato l’accordo del 10 /04/2008, ha ritenuto che non assumesse alcun rilievo la pendenza o meno della procedura espropriativa, avendo le parti concordato una comune compravendita.
Il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, stante la intima connessione esistente, rivelandosi entrambi inammissibili.
11.1. Ad opinione del ricorrente, nell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità dell’op era, a seguito dell’occupazione d’urgenza i terreni in questione erano stati irreversibilmente trasformati e, quindi, erano stati acquisiti al patrimonio del Comune, ma occorreva costituire un titolo idoneo alla trascrizione del passaggio di proprietà. Per questi motivi , intervenuto l’accordo con i privati, era stata redatta la scrittura privata del 10/04/2008.
Secondo il Comune, tale scrittura non poteva non seguire lo schema della cessione volontaria di cui all’art. 17 l. 865 del 1971, che prevedeva una indennità pari al valore venale o di mercato del terreno (art. 16, l. cit.) e un’indennità aggiuntiva agli espropriati coltivatori diretti, la quale, però, doveva essere di importo inferiore a quello in concreto pattuito, perché doveva rispettare il disposto dell’art. 17, comma 3, l. cit.
Ciò comportava che la pattuizione contenuta nella scrittura privata del 10/04/2008, che prevedeva l’attribuzione di un contributo di miglioria in misura grandemente maggiore, in favore del proprietario, doveva ritenersi nulla per contrarietà a norme imperative, essendo l’art. 17, comma 3, l. n. 865 del 1971 norma cogente di rango pubblicistico, con la conseguente sostituzione dell’importo dovuto in base alla previsione legale sopra menzionata.
11.2. Nel caso di specie, lo stesso ricorrente ha dedotto che l’accordo del 10/04/2008 dà per presupposta l’intervenuta occupazione acquisitiva (come pure spiegato in premessa e nel l’art. 1 dell’accor do stesso) , tant’è che viene esplicitata la necessità di formalizzare l’ avvenuto trasferimento della proprietà con la corresponsione della somma stabilita nella determinazione dirigenziale n. 7 del 2007 e accettata dai proprietari.
Tuttavia il ritenuto acquisto della proprietà non è stato, proprio per allegazione del ricorrente, il risultato di una procedura ablatoria lecita, fonte di un obbligo indennitario, ma di un ‘attività che si è rivelata di mero fatto, che giustifica la richiesta di un risarcimento da fatto illecito della P.A.
Parte ricorrente non ha, dunque, spiegato perché, in presenza della ritenuta necessità di redigere un titolo idoneo alla trascrizione, che regolarizzasse l’acquisto già intervenuto per opera della ritenuta occupazione acquisitiva, dovesse necessariamente applicarsi la disciplina della cessione volontaria delle aree, che costituisce una modalità di definizione della procedura espropriativa in corso, del
tutto lecita e diversa da quella che connotava, per stessa allegazione del ricorrente, quella oggetto di giudizio.
Né la parte ha dedotto perché la previsione contenuta ne ll’art. 17, comma 3, l. n. 865 del 1971, costituisca una norma inderogabile, da applicare anche in situazioni diverse dalla cessione volontaria delle aree di cui all’art. 12 l. cit., e in particolare anche in caso di occupazione acquisitiva.
Anche il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
La censura lamenta violazione di norme sull’interpretazione dei contratti, senza riportare il testo de ll’accordo oggetto di interpretazione, risolvendosi la censura in una critica dell’interpretazione di clausole il cui effettivo e complessivo tenore non è evincibile dalla lettura del ricorso, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile essendo riferito ad una questione, l’intervenuta decadenza della procedura espropriativa per decorso del quinquennio dalla dichiarazione di pubblica utilità, che, come evidenziato nell’esaminare il primo motivo e il secondo motivo di ricorso per cassazione, la Corte d ‘appello ha ritenuto non rilevante ai fini della decisione.
Anche il settimo motivo è inammissibile, poiché si sostanzia in una generica critica alla mancata compensazione delle spese di lite, così censurando la mancata attivazione di un potere discrezionale riservato al giudice di merito.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e pertanto il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 10.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi e accessori di legge; dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto . Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione