Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12789 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12789 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29486/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME NOME COGNOME, COGNOME COGNOME NOME, COGNOME COGNOME NOME, PRATESI NOME COGNOME NOME, PRATESI NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende giusta procura in atti;
-ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti,
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1352/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME e NOME COGNOME NOME NOME NOME e NOME COGNOME de Villeneuve citarono in giudizio il Comune di Senago. Gli attori esposero:
(a) gli COGNOME erano proprietari del compendio immobiliare di cui al mappale 276, foglio 28; nel mentre gli COGNOME, del mappale 277, foglio 28;
(b) gli anzidetti mappali avevano formato oggetto di una scrittura privata del 12/2/1969, con la quale i loro danti causa si erano impegnati a cedere al Comune gli anzidetti mappali;
(c) alla scrittura non aveva fatto seguito il contratto definitivo e, per contro, il Comune aveva occupato di fatto l’area, edificando un fabbricato scolastico, senza nulla corrispondere ai proprietari.
Conclusero chiedendo la corresponsione <>, avendo il fondo di loro proprietà subito irreversibile trasformazione.
1.1. Il convenuto eccepì che:
(a) quanto al mappale 276, intestato agli COGNOME, dopo l’occupazione il fondo era rimasto nel pieno possesso del Comune per almeno quarant’anni, senza che si fosse registrato di esso atto interruttivo di sorta;
(b) quanto al mappale 277, intestato agli Aguzzi, la scrittura richiamata dalla controparte costituiva contratto di compravendita e non un preliminare e il diritto a riscuotere il prezzo si era oramai da lungo tempo prescritto.
Concluse chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, perché fosse dichiarato l’acquisto della proprietà di cui al mappale 277 in virtù del contratto di compravendita e del mappale 276, per maturata usucapione.
Il Tribunale di Milano, per quel che qui rileva, così decise la causa:
<>.
La Corte d’appello di Milano, alla quale si erano rivolti con impugnazione principale gli COGNOME e gli COGNOME e, con impugnazione incidentale, il Comune di Senago, rigettato quello principale e accolto quello incidentale, in riforma della sentenza di primo grado, accertò la proprietà del Comune del mappale 277 foglio 28, per avere acquistato il fondo con contratto del 1969 e rigettò le domande risarcitorie degli Aguzzi.
2.1. Per quel che qui rileva deve, in sintesi, ricordarsi che la Corte locale giunge all’anticipato epilogo attraverso i passaggi argomentativi di cui appresso:
il negozio giuridico intervenuto nel 1969 andava interpretato quale contratto definitivo di compravendita, valorizzandosi più indicazioni convergenti in tal senso: lo strumento era denominato ‘ scrittura privata di compravendita ‘, alla clausola n. 1, si specificava: ‘ i signori COGNOME cedono e vendono al Comune di
Senago, che acquista (…) il prezzo della compravendita è fissato in (…) , che verrà versato dal Comune di Senago entro il termine di tre anni dalla sottoscrizione della presente compravendita (…) La proprietà dell’area verrà trasferita alla data della stipulazione dell’atto notarile di ratifica della presente scrittura (…)’;
-dalla nota di trascrizione dell’atto del 1993, con il quale NOME COGNOME aveva venduto agli Aguzzi il fondo, era dato leggere: ‘ Hanno dichiarato le parti di essere a conoscenza che il terreno in contratto dovrà essere ceduto gratuitamente al Comune di Senago che ha costruito sul terreno stesso una scuola dichiarata agibile in data 8 ottobre 1969 e 25 settembre 1984. Nessun valore ha quindi il terreno oggetto del trascrivendo atto ‘;
il diritto al pagamento del prezzo, in accoglimento della domanda riconvenzionale del Comune, doveva dichiararsi prescritto;
-disatteso l’appello principale degli COGNOME, la declaratoria d’usucapione del mappale 276 meritava conferma;
-l’asserto degli appellanti principali, secondo il quale negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso e negli anni 2000/2011 sarebbero intercorse trattative con il Comune per l’acquisto del terreno e il pagamento d’imposta di cui al documento versato in atti, risultava vago e generico, contrastato dall’alternativa versione del Comune, il quale, peraltro, con la comparsa di risposta, aveva specificamente contestato la sussistenza di atti interruttivi;
generico il capitolato di prova, riferito a due comunicazioni del Comune non aventi contenuto interruttivo e, delle quali, comunque, non era stata provato l’invio per raccomandata e la ricezione.
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME (la diversità di cognome trova conferma nel codice fiscale), NOME NOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME NOME COGNOME (gli ultimi due quali eredi di NOME COGNOME di Villeneuve) ricorrono sulla base di tre motivi.
Il Comune di Senago resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo si assume <>, oltre a <>.
Secondo i ricorrenti:
non è verosimile che una pubblica amministrazione possa stipulare un atto avente effetto traslativo prima delle autorizzazioni necessarie, in assenza di rogito e di pagamento del prezzo;
-viene valorizzata l’espressione negoziale ‘ la proprietà dell’area verrà trasferita alla data di stipulazione dell’atto notarile di ratifica della presente scrittura ‘ e a quel momento i venditori avevano riservato il diritto di rinunciare all’ipoteca legale;
il Comune aveva, con nota del 31/1/1989, evidenziato che non era stato possibile stipulare l’atto in quanto NOME COGNOME non si era presentato dal notaio (documento, questo, non esaminato dal Giudice);
-l’atto di ratifica non era stato mai stipulato;
-aveva errato la Corte d’appello nell’attribuire significato di conforto alla tesi adottata con la sentenza alla dichiarazione trascritta con l’atto di compravendita del 1993, che aveva solo significato fiscale;
col fatto stesso che nel 1993 la COGNOME avesse venduto ai propri figli la nuda proprietà del fondo si aveva prova <>;
la COGNOME non aveva mai richiesto al Comune il pagamento del convenuto corrispettivo, proprio perché il bene e non era stato mai alienato;
né, il Comune, aveva mai preteso di far luogo a un tale pagamento, proprio perché consapevole di non avere acquistato il fondo;
-il Comune non aveva riproposto l’eccezione di prescrizione, che, pertanto, doveva reputarsi abbandonata.
4.1. Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
4.1.1. In primo luogo devesi constatare che viene mossa critica l’interpretazione del negozio effettuata dalla Corte di merito senza neppure evocare le norme sull’ermeneutica, che si assumerebbero come violate.
Per contro risulta impropriamente allegato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo. Qui, per vero, alcun fatto risulta essere stato negletto dal giudice e la contestazione mossa è diretta a ottenere in sede di legittimità un’inammissibile rivalutazione della vicenda fattuale.
Nel mentre la prospettata inverosimiglianza altro non fa che rimandare a un sindacato di merito, la Corte di Milano ha interpretato il contratto del 1993, facendo corretto uso dei criteri ermeneutici previsti dal codice civile, non travalicando, quindi, dalle facoltà che discendono dall’insindacabile libero convincimento.
Il Tribunale aveva assegnato al contratto del 12/2/1969 il valore di statuizione preliminare inidonea a trasferire la proprietà, fondando il proprio opinamento sulla disposizione di cui al punto 2 dello strumento: ‘ La proprietà dell’area verrà trasferita alla data della stipulazione dell’atto notarile di ratifica della presente scrittura ‘.
La Corte d’appello, per contro, ha reputato che, indagando la comune intenzione delle parti, quello che era parso al primo giudice un indice di riferimento univoco svaporava a fronte delle plurime e univoche inferenze che militavano nel senso che con quella scrittura le parti avessero inteso dar vita a un contratto di compravendita avente pieno effetto reale: (1) l’intitolazione del
negozio ‘scrittura privata di compravendita’; (2) le inequivoca espressione ‘i signori COGNOME cedono e vendono al Comune di Senego, che acquista’, (3) ‘il prezzo della compravendita è fissato in (…), che sarà versato dal Comune di Senago entro (…) dalla sottoscrizione della presente compravendita’.
Quindi, per il Giudice di secondo grado il contratto conteneva <>.
La sentenza valorizza anche il comportamento successivamente tenuto dalle parti: la nota di trascrizione del giugno del 1993, che riportava gli estremi del contratto con il quale NOME COGNOME vendeva agli RAGIONE_SOCIALE de Villeneuve alcuni terreni, fra i quali quello oggetto del contratto stipulato nel 1969 con il Comune, con riferimento all’immobile di cui qui si discute, riportava che le parti avevano dichiarato ‘ di essere a conoscenza che il terreno in contratto dovrà essere ceduto gratuitamente al Comune di Senago che ha costruito sul terreno stesso una scuola dichiarata agibile in data 8 ottobre 1969 e 25 settembre 1984. Nessun valore ha quindi il terreno oggetto del trascrivendo atto ‘. L’asserto dei ricorrenti, secondo i quali, la dichiarazione era stata effettuata solo per eludere gli obblighi fiscali è priva di ogni riscontro.
Non ha significato di sorta la circostanza che la venditrice non avesse mai, asseritamente, richiesto il pagamento del prezzo, trattandosi di fatto neutro.
In definitiva, deve concludersi nel senso che la Corte d’appello ha reso interpretazione plausibile e in sintonia, in specie, con le regole di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ. Epilogo, quello riportato, che non si sottrae a critiche, come di ogni operazione ermeneutica, ma che in questa sede non può essere sovvertito, proprio per i limiti propri del sindacato di legittimità.
È appena il caso si soggiungere che la successiva ‘vendita’ della nuda proprietà in favore dei figli non può certo indirizzare nel senso auspicato dalla parte ricorrente, quanto piuttosto, e al contrario, indice di un preordinato tentativo di precostituirsi uno strumento di sostegno alla propria tesi.
4.1.2. Quanto al profilo di doglianza riguardante l’eccezione di prescrizione, peraltro sfornita dell’indicazione del parametro di riferimento imposto dall’art. 360 cod. proc. civ., val quanto segue.
La sentenza, al secondo capoverso della pag. 15 afferma che <> e tale eccezione non risulta essere stata abbandonata in appello, stante che con la comparsa di costituzione e risposta il Comune ha espressamente chiesto di accertare l’intervenuta prescrizione dell’obbligo di corrispondere il prezzo.
La sentenza di primo grado, in accoglimento, per quel che qui è in discussione, della domanda degli odierni ricorrenti, ritenne che il Comune avesse occupato senza averne titolo il fondo, successivamente destinato a pubblico edificio.
Il Comune, che aveva dedotto il titolo contrattuale, eccepì l’intervenuta prescrizione dell’obbligazione di pagare il prezzo e il punto non costituì oggetto di pronuncia del giudice di primo grado,
proprio perché questi escluse che il contratto intercorso tra le parti originarie fosse idoneo a trasferire la proprietà.
Quindi, sul predetto punto non si rinviene statuizione di soccombenza in capo al controricorrente.
Di conseguenza, il Comune aveva il solo onere di riproporre l’eccezione, onere che, come si è visto, risulta essere stato soddisfatto.
Il terzo motivo, con il quale i ricorrenti si dolgono del mancato accoglimento della domanda risarcitoria, resta assorbito in senso improprio dalla reiezione del primo.
Con il terzo motivo viene denunciato l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per essere stato rigettato il motivo d’appello con il quale si era contestato il capo della sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda riconvenzionale del Comune, dichiarando l’acquisto per usucapione da parte di quest’ultimo del mappale 276.
I ricorrenti contestano, inoltre, la statuizione sulle spese della Corte di Milano.
In sintesi, si assume che:
il Giudice di secondo grado (siccome quello di primo) aveva errato a reputare generiche le allegazioni probatorie attraverso le quali i ricorrenti avevano inteso provare le trattative intercorse tra il Comune e i proprietari negli anni ’70/’80 del Secolo scorso e tra il 2000/2011 per definire la vicenda dell’occupazione illegittima del mappale 276, dalle quali poteva ricavarsi il riconoscimento della proprietà degli esponenti da parte dell’ente pubblico;
non si era valorizzata la produzione documentale, relativa al pagamento di tributi e al carteggio intervenuto con la controparte;
-non si era tenuto conto del fatto che l’inerzia dei proprietari dipendeva dalla fiduciosa aspettativa di veder riconosciuto il giusto compenso per l’occupazione senza titolo.
6.1. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
In presenza di ‘doppia conforme’ (a riguardo del mappale 276 la decisione del primo Giudice ha trovato piena conferma in appello), sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto. Anzi, in questa sede i ricorrenti insistono nell’affermare che la ricostruzione operata dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello sia da censurare.
Peraltro, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, qui supponibile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
Infine, il profilo di doglianza attinente al capo delle spese è chiaramente priva di concludenza, stante che la sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio di soccombenza, né si coglie la ragione perché un tal principio avrebbe dovuto essere disatteso.
In conclusione il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 febbraio