Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32656 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32656 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24820/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 1096/2023, depositata il 6/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME ha proposto opposizione contro il decreto con il quale il Tribunale di Sciacca gli ha ingiunto il pagamento in favore della ditta COGNOME NOME della somma di euro 9.228,32 in relazione alla fornitura di materiale edile. L’opponente deduceva di avere effettuato diversi pagamenti; eccepiva preliminarmente la prescrizione annuale ed evidenziava nel merito l’incompletezza della documentazione prodotta. Il convenuto si costituiva, anzitutto disconoscendo la ricevuta prodotta dall’attore, datata 20 giugno 2013 e contenente una quietanza per euro 5.000, emessa e sottoscritta dall’opposto in favore dell’opponente, sostenendone la contraffazione.
Il Tribunale di Sciacca con sentenza n. 194/2020 revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente al pagamento di euro 7.051,60. Il Tribunale rigettava l’eccezione di prescrizione e nel merito rilevava che la prova della fornitura era fornita dalla sottoscrizione delle bolle di consegna e dalle dichiarazioni di un testimone che aveva confermato la consegna del materiale. Il Tribunale rilevava poi che vi era il riconoscimento di debito di euro 5.300 sottoscritto da NOME COGNOME, datato 6 maggio 2013, e che le bolle di consegna prodotte da parte ricorrente successive alla data del 6 maggio 2013 ammontavano a euro 2.051,60. Il Tribunale infine considerava che l’opponente avrebbe dovuto fornire prova dell’estinzione del proprio debito e che al riguardo, quanto al preteso pagamento di euro 5.000 datato 20 giugno 2013 contestato dal creditore, il debitore avrebbe dovuto fornire altri elementi di prova.
La sentenza era impugnata da COGNOME che con il primo motivo ha contestato il mancato riconoscimento del pagamento di euro 5.000 e quindi la mancata detrazione dell’importo dal totale della somma ingiunta. La Corte d’appello ha ritenuto fondato il motivo: il documento è stato effettivamente disconosciuto
tempestivamente dall’opposto, che ha dichiarato di disconoscere la fotocopia prodotta e ha negato di avere apposto la data del 20 giugno 2013, affermando di avere apposto una data diversa, 20 gennaio 2013, adducendo che la data, in particolare il numero indicante il mese, era stato contraffatto e sostituito. La Corte d’appello ha ritenuto rilevante l’indicazione del mese (la quietanza di una somma nel giugno 2013, dopo la data del riconoscimento del debito del 6 maggio 2013, comporterebbe che l’importo debba essere detratto dal debito riconosciuto, mentre se la quietanza fosse del gennaio 2013 il riconoscimento ragionevolmente riguarderebbe debiti maturati dopo il pagamento precedente). La Corte d’appello ha ancora osservato che il creditore, davanti a una contraffazione della data della ricevuta, non poteva limitarsi a contestare la genuinità della fotocopia, ma doveva proporre querela di falso per investire il documento interamente e precluderne l’efficacia probatoria. Con la sentenza n. 1096/2023, la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato COGNOME a pagare la somma di euro 2.051,60.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215, 216 c.p.c e 2719 c.c., inutilizzabilità della scrittura privata disconosciuta e prodotta in fotocopia: sulla base del tempestivo disconoscimento del contenuto della scrittura privata, nonché della richiesta di esibizione e di produzione dell’originale, deve ritenersi che il disconoscimento dell’autenticità della scrittura privata nel suo contenuto contraffatto era ammissibile e rilevante; dato che controparte non ha proposto istanza di verificazione a fronte del tempestivo disconoscimento della scrittura a opera del
ricorrente, né ha fornito l’originale del documento prodotto, è ‘paradossale’ che la Corte d’appello di Palermo abbia basato il proprio giudizio esclusivamente su tale copia della scrittura privata. Il motivo è fondato. L’affermazione della Corte d’appello secondo la quale il ricorrente avrebbe dovuto proporre querela di falso per contestare la quietanza in relazione alla contraffazione della data, non essendo sufficiente l’avvenuto disconoscimento della conformità della copia all’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c., non è corretta. L’art. 2719 c.c. prevede infatti che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale ovvero non è espressamente disconosciuta. A fronte dell’espresso tempestivo disconoscimento posto in essere dal ricorrente, il giudice d’appello non poteva quindi riconoscere efficacia probatoria al documento, essendo a tal fine stata necessaria l’attivazione del procedimento di verificazione. Se, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di documento prodotto in copia è ammissibile (cfr. Cass. n.8718/2023) la querela di falso proposta direttamente contro quest’ultima senza previo disconoscimento della sua conformità all’originale, la querela di falso non è via obbligata potendo appunto la parte disconoscere la conformità all’originale del documento prodotto in copia.
L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo, che lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla compensazione tra le parti di un terzo delle spese di entrambi i gradi del giudizio, con i restanti due terzi a carico del ricorrente.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Palermo, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione