Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25618 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25618 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22837-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE avvocati
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 22837/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/09/2024
CC
NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimato – avverso la sentenza n. 4804/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/02/2019 R.G.N. 2006/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
1. NOME COGNOME, già dipendente dei disciolti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE transitato all’RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, con qualifica di primo tecnologo, II livello, cessato dal servizio il 1° aprile 2003, aveva partecipato, classificandosi al nono posto RAGIONE_SOCIALE idonei non vincitori, al concorso interno – indetto con d.m. 26.3.1993 e sulla base d i precedente delibera n. 198/1991 – per la copertura di 5 posti di dirigente tecnologo di I livello professionale;
il concorso in parola era stato preceduto dalla delibera 5.11.1991 n. 197 che aveva determinato nel numero di 10 i posti della dotazione organica del dirigente tecnologo di I livello, delibera successivamente annullata con sentenza n. 333/1994 del TAR, passata in giudicato, in quanto la pianta organica dell’ente avrebbe dovuto determinarsi in 22 unità, in osservanza dell’art. 1 3 d.P.R. n. 171/1991;
il COGNOME si doleva quindi del fatto che egli non era stato dichiarato vincitore del concorso interno con la stessa decorrenza giuridica e
economica dei primi cinque ingegneri (29.4.1998) ma solo per effetto del successivo scorrimento di graduatoria e con decorrenza dal dì (21.12.1999) di rideterminazione della pianta organica, donde i danni patiti da minor retribuzione fino al dì di collocamento a riposo (per €. 10.000,00 ) e da minor trattamento pensionistico (per €. 228.702,30) nonché di natura non patrimoniale;
il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, dichiarando il diritto del COGNOME all’inquadramento rivendicato con decorrenza 29.4.1998, ma la Corte d’appello di Roma, in riforma della impugnata sentenza, rigettava in toto la domanda;
la Corte capitolina rilevava che la pretesa di vedersi riconoscere l’inquadramento rivendicato con la medesima decorrenza dei vincitori del concorso interno di cui al d.m. 26.3.1993 era infondata; infatti, la sentenza del TAR sopra richiamata, nello statuire l’obbligo dell’amministrazione di provvedere all’adeguamento della dotazione organica, non aveva ‘inficiato’ la validità del concorso interno indetto in esecuzione della delibera n. 198/1991, cit., la cui contestuale impugnativa dinanzi al TAR era stata dichiarata inammissibile per mancanza di formulazione di specifica censura, anche «sotto forma di invalidità derivata»;
corretta era, dunque, la conclusiva determinazione dell’ Ente che, con decreto 27.12.2001 – avvalendosi della facoltà di scorrimento della graduatoria del concorso interno già concluso -, nominava, con decorrenza 21.12.1999, i candidati idonei che, come il COGNOME, si erano posizionati dal 6° all’11° posto della graduatoria;
osservava, ancora, che i dati numerici della pianta organica rappresentano il massimo dei dipendenti che possono essere assunti, ferma la facoltà dell’amministrazione, a seconda delle proprie esigenze e
interessi, di mantenere in servizio un numero inferiore di dipendenti, l’ampliamento dell’organico di fatto costituendo scelta discrezionale e unilaterale dell’ente;
in particolare, la scelta dell’amministrazione di utilizzare le graduatorie RAGIONE_SOCIALE idonei per lo scorrimento non integra un diritto soggettivo RAGIONE_SOCIALE stessi, ma postula l’intenzione di coprire il posto disponibile, ove (beninteso) un obbligo in tal senso non sia contemplato dalla contrattazione collettiva o dal bando;
né l’obbligo della copertura di tutti i posti può derivare automaticamente dall’ampliamento della dotazione organica, spettando all’amministrazione decidere «se e quando coprire il posto disponibile»;
destituite di fondamento erano, pertanto, tutte le domande risarcitorie, atteso che «il pregiudizio denunciato era riferito esclusivamente al concorso interno che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto essere bandito per un maggior numero di posti» (non erano dedotti danni ulteriori circa le aspettative di carriera del COGNOME imputabili al mancato tempestivo adeguamento della dotazione organica);
avverso tale decisione il COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi, resistito con controricorso dall’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nonché violazione art. 2043 e 1218 cod. civ. e dei principi in tema di risarcimento danni;
in contrasto col giudicato amministrativo, l’RAGIONE_SOCIALE, che aveva determinato erroneamente la pianta organica e aveva indetto un concorso per un numero di posti inferiore al dovuto (art. 13 d.P.R. n. 171/1991), non aveva poi, nonostante il dictum del G.A. (TAR Lazio n. 333/1994), proceduto all’ampliamento tempestivo della pianta organica ma solo in data 21.12.1999, omettendo di ampliare ‘ora per allora’ anche il numero dei posti precedentemente messi a concorso e di nominare gli idonei non vincitori (tra cui il COGNOME) con la medesima decorrenza RAGIONE_SOCIALE originari vincitori di concorso (24.4.1998) anziché con decorrenza 21.12.1999 (posteriore di ben 5 anni al giudicato amministrativo cui la p.a. avrebbe dovuto conformarsi);
a un tale esito non ostava la declaratoria di inammissibilità dell’impugnativa al TAR della delibera (n. 198/1991) di indizione del concorso interno, la quale era viziata perché prevedeva un numero di posti inferiore alla dotazione organica fissata per legge, come riconosciuta nel giudicato amministrativo;
errata era la decisione della Corte di merito che, se avesse esaminato le risultanze documentali ‘rettamente e oggettivamente’, avrebbe dovuto riconoscere le pretese risarcitorie azionate tanto in termini di retribuzioni non corrisposte tanto in punto di pensione integrativa;
1.1 il motivo non coglie appieno la ratio decidendi che si condensa nel rilievo secondo cui la sentenza del TAR Lazio aveva sì imposto l’aumento della pianta organica senza ‘inficiare’ tuttavia la validità del concorso interno, sia perché l’impugnazione della delibera n. 198/1991 – che indiceva tale concorso – era stata dichiarata inammissibile dal G.A. sia perché l’obbligo di aumentare la dotazione organica non comportava (anche) quello di aumentare i posti messi a concorso né di procedere con lo scorrimento della graduatoria, essendo (quest’ultimo) frutto di una
scelta discrezionale dell’amministrazione la quale deve poter sempre valutare, insindacabilmente, pur dopo l’ampliamento della pianta organica, se coprire o meno i posti rimasti vacanti secondo «le proprie necessità di personale e disponibilità di spesa» (così a p. 5 della sentenza impugnata);
così argomentando, il giudice d’appello si è uniformato all’indirizzo di legittimità secondo cui «nel pubblico impiego contrattualizzato, anche ai fini della selezione interna per l’accesso a posti superiori vacanti, analogamente a quanto accade per le procedure concorsuali preordinate all’assunzione di dipendenti, la scelta dell’amministrazione di utilizzare le graduatorie RAGIONE_SOCIALE idonei ‘ per scorrimento ‘ non costituisce un diritto soggettivo RAGIONE_SOCIALE stessi, ma postula sempre l’esercizio prioritario di una discrezionalità della RAGIONE_SOCIALE nel coprire il posto o la posizione disponibile, ove un obbligo in tal senso non sia contemplato dalla contrattazione collettiva o dal bando (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3332 del 12/02/2018);
1.2 il motivo non è altresì accoglibile laddove sollecita un riesame della documentazione in atti (decreto direttoriale 25.3.1999, decreto direttoriale 27.12.2001, delibera 5.11.1991 n. 198, ecc.) che impinge nel merito;
è utile rammentare, infatti, che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dalla disciplina applicabile ratione temporis ; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le tante, Cass. 12/09/2016 n. 17921; Cass. 11/01/2016 n. 195; Cass. 30/12/2015 n. 26110);
con il secondo mezzo si lamenta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., nonché errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo delle prove documentali offerte;
la Corte d’appello aveva ritenuto, travisandone il contenuto e incorrendo così «in errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova», che il decreto direttoriale 27.12.2001, di nomina del COGNOME con decorrenza 21.12.1999, non fosse in attuazione del giudicato di cui alla sent. TAR n. 333/94, mentre lo stesso conteneva la locuzione «ritenuto che il decreto interministeriale 21.12.1999 è atto dovuto recante la ridefinizione della dotazione organica ora per allora, in esecuzione del giudicato formatosi con la sentenza del TAR Lazio n. 333/94»;
2.1 il rilievo non può essere condiviso;
il giudice d’appello ha fornito una lettura critica del provvedimento 27.12.2001, che ha sottoposto ad esame unitamente al complesso delle prove documentali, dalle quali ha desunto come il pregresso decreto interministeriale 21.12.1999, di rideterminazione della dotazione organica, intervenuto inspiegabilmente a distanza di ben 5 anni dalla pronuncia del G.A., fosse il solo provvedimento attuativo del giudicato (i.e., sent. TAR n. 333/94);
per contro, non rivestiva analoga funzione il decreto direttoriale 27.12.2001 che, tenendo conto dell’intervenuto ampliamento della pianta organica si avvaleva, con opzione ampiamente discrezionale, della facoltà di scorrimento della graduatoria del concorso interno già concluso, nominando il ricorrente dirigente tecnologo di I livello con decorrenza dalla data (21.12.1999) di adeguamento della dotazione organica dell’ente;
la sentenza impugnata sottolinea, con motivazione logica e coerente e uniformandosi ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, come sopra richiamati, che il «dato numerico della pianta organica» rappresenta, invero, il numero massimo di dipendenti che possono essere assunti, ferma restando la facoltà dell’amministrazione, a seconda delle proprie esigenze e interessi, di coprire in tutto o in parte i relativi posti disponibili, di qui l’erroneità della ulteriore conclusione, propugnata dal ricorrente, che fa discendere dall’ampliamento della dotazione organica, in attuazione del giudicato ed ‘ora per allora’, la (necessaria) implicazione che anche il proprio inquadramento giuridico ed economico dovesse decorrere a far tempo dal 24.4.1998;
2.2 ben s’intende, allora, come del tutto inconferente sia, in tale contesto, l’allegazione di un «errore di percezione caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova» in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, dovendo qui all’evidenza escludersi la sussistenza dei presupposti enunciati da ultimo dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, n. 5792/2024), in presenza dei quali soltanto un tale vizio sarebbe denunciabile;
con il terzo, ed ultimo, motivo si deduce violazione dell’art. 13, d.P.R. 12.2.1991 n. 171, in relazione all’art. 360 n. 3, cod. proc. civ.,
nonché violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., e «nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e motivazione apparente, difetto assoluto di motivazione»;
la sentenza impugnata era affetta da difetto assoluto di motivazione, poiché la Corte di merito non aveva basato la decisione sulle prove offerte e sul contenuto oggettivo delle stesse ma su mere tesi difensive contrastanti con le prove documentali;
3.1 il motivo è inammissibile;
non si ravvisa la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. denunciata, perché, all’esito della riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, attiene solo all’esistenza della motivazione in sé, prescinde dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili», nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. S.U. n. 8053/2014 che richiama Cass. S.U. n. 5888/1992);
il difetto del requisito di cui all’art. 132 cod. proc. civ. si configura, quindi, solo qualora la motivazione o manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum ;
esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;
nel caso di specie il preteso vizio motivazionale è ricavato (inammissibilmente) dal confronto con la documentazione prodotta, e sollecita, quindi, un sindacato precluso alla Corte di legittimità dopo la riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.;
in conclusione, il ricorso dev’essere rigettato; nella peculiarità della fattispecie, resa evidente dall’enorme ritardo con cui la p.a. ha proceduto ad adeguarsi al dictum giudiziale amministrativo, si ravvisano giuste ragioni per procedere a compensazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione