Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28018 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 28018  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5239/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata  e  difesa  dagli  AVV_NOTAIO  e  NOME AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli AVV_NOTAIO COGNOME,  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME  e  NOME COGNOME
– controricorrente –
 avverso  la  sentenza  n.  3401/2021  del la  Corte  d’Appello  di Milano, depositata il 22.11.2021;
udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 15.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE propose, davanti al Tribunale di Milano, azione revocatoria fallimentare di rimesse su conto corrente bancario nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE S.p.A. (d’ora innanzi , per brevità, anche «la banca»), chiedendone la condanna al pagamento della somma di € 1.023.581,06 in linea capitale. In pendenza del giudizio di primo grado fu omologato il concordato fallimentare di RAGIONE_SOCIALE, proposto ai creditori dal Comune di Milano (già socio di maggioranza e principale cliente di RAGIONE_SOCIALE), il quale intervenne per proseguire l’azione che gli era stata trasferita secondo quanto previsto nel concordato.
Il tribunale accolse la domanda, con sentenza che venne però integralmente riformata dalla C orte d’ Appello di Milano che ritenne non raggiunta la prova che la banca conoscesse lo stato di insolvenza di RAGIONE_SOCIALE all’epoca delle rimesse bancarie .
Su ricorso del Comune di Milano, con ordinanza n. 11696/2020, questa Corte cassò la sentenza di secondo grado, attribuendo ai giudici milanesi l’errore di avere preso in esame soltanto alcuni degli «elementi proposti dalla fattispecie concreta» ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis e, per di più, ciascuno singolarmente e non anche in base a una valutazione sintetica del loro significato complessivo. La causa venne pertanto rinviata alla medesima corte territoriale per procedere a un nuovo esame in conformità ai criteri indicati.
In sede di rinvio , all’esito del rinnovato giudizio , la Corte d’Appello di Milano accolse l’azione revocatoria fallimentare e condannò la banca al pagamento della somma di €
1.023.581,06, oltre agli accessori maturati e maturandi e alle spese di lite.
Contro la sentenza della corte territoriale RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Il Comune di Milano si è difeso con controricorso.
A seguito di proposta di definizione del giudizio, formulata da questa Corte ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c.  e  ritualmente comunicata alle parti, la banca, a mezzo di difensori muniti di nuova procura speciale, ha depositato istanza per la decisione del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione  di  norme  di  diritto ex art.  360,  n.  3,  c.p.c.  con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c.», per la «mancanza del fatto noto e dei requisiti di gravità, precisione e concordanza degli indizi».
La ricorrente sostiene che «gli elementi indiziari individuati dalla Corte d’Appello sono del tutto insufficienti e inadeguati e pertanto non è stata raggiunta la prova richiesta». Per dimostrare il proprio assunto, la banca procede ad un’elencazione (a dire il vero) parziale e a una critica degli elementi di fatto noti che il giudice del rinvio ha utilizzato per costruire la presunzione di verità del fatto ignorato rilevante ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria, ovverosia la conoscenza dello stato d’insolvenza .
1.1.  Il  motivo  è  inammissibile,  perché -al  di  là  del tentativo  di  presentarlo  come  una  critica  al  «criterio  logico» posto  dal  giudice  del  merito  alla  base  della  selezione  delle risultanze probatorie e del proprio convincimento -nasconde, in realtà, la pretesa di un rinnovato esame del fatto da parte della Corte di cassazione.
Tale pretesa è addirittura esplicita nella riportata affermazione secondo cui «gli elementi indiziari individuati dalla Corte d’Appello sono del tutto insufficienti e inadeguati e pertanto non è stata raggiunta la prova richiesta». Quanto poi alla contestazione della «mancanza del fatto noto» (così la rubrica del motivo), non si comprende a cosa si riferisca la ricorrente, posto che essa stessa elenca una serie di fatti noti (di cui non si discute siano tali) che la corte milanese ha considerato per fondare il ragionamento presuntivo.
Piuttosto è significativo che tali fatti siano riportati nel ricorso in modo parziale e senza evidenziarne alcuni rilevanti profili messi invece in luce dal giudice del rinvio. Così, significativamente, delle risultanze del bilancio si menziona soltanto la perdita d’esercizio 2007 , al fine di rilevare che essa era coperta dalla riserva straordinaria. Ma si omette di riferire che la corte d’appello ha fatto leva soprattutto sulla delibera di approvazione del bilancio e di messa in liquidazione della società, da cui risultavano perdite in corso di formazione nel 2008 tali da erodere interamente sia le riserve che il capitale sociale; oltre a menzionare gli indici di redditività negativi e il crollo verticale del fatturato, in assenza di fattori straordinari che fossero intervenuti a determinarlo. Quanto poi ai titoli dei giornali sulla situazione in cui versava RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente ne cita alcuni, per evidenziarne il carattere generico e
dubitativo, ma ignora i ben diversi -e più concludenti -titoli che la corte d’appello ha citato e valorizzato nella motivazione della sentenza.
In  sostanza,  mentre  la  sentenza  d’appello  fu cassata perché  la  corte  territoriale  non  aveva  considerato,  in  modo anche  unitario,  tutti  gli  «elementi  proposti  dalla  fattispecie concreta», in questo caso è la critica della ricorrente a essere parziale, perché non considera tutti gli elementi che la corte del merito ha analiticamente passato in rassegna e sinteticamente apprezzato.
Oltre a questo, la banca mette in discussione la concordanza degli indizi, ma lo fa, da un lato, evidenziando un aspetto di cui francamente non si comprende che pertinenza possa avere con riguardo alla prova della scientia decoctionis , ovverosia il fatto che l’azione revocatoria venne esperita su richiesta del Comune, che la pose quale condizione per formulare la proposta di concordato fallimentare; dall’altro lato, indicando come indizi discordanti , non concreti fatti noti di segno contrario rispetto al fatto ignorato da provare, bensì l’assenza di ulteriori indizi concordanti , quali protesti e procedimenti esecutivi. Ma è evidente che di discordanza si può discorrere se si è presenza di fatti noti di valore indiziario contrastante, non per la mera assenza di alcuni fatti noti che avrebbero potuto ulteriormente contribuire a dimostrare il fatto ignorato da provare .
Infine, la banca ripropone con questo motivo un elemento che la corte milanese ha tuttavia preso in considerazione per osservare che esso, ove ritenuto rilevante, non potrebbe essere utile a negare la scientia decoctionis , ma semmai al contrario.
La ricorrente sottolinea di avere confidato nel pagamento delle fatture portate allo sconto, perché queste venivano emesse previa delibera di autorizzazione del Comune, che era anche il socio di maggioranza, sicché «la situazione di NOME non poteva destare alcuna preoccupazione». Ma, in tal modo, la banca confonde il profilo particolare della sicurezza di poter recuperare il proprio credito, con quello generale della solvibilità del debitore. Il che ha consentito al giudice del rinvio di replicare che «il fatto che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si disinteressasse, a suo dire, della situazione di NOME, confidando unicamente nella solvibilità del suo socio di maggioranza e principale cliente, conferma … che l’istituto di credito era ben consapevole dell’insufficienza dei mezzi propri del correntista a far fronte alle obbligazioni contratte e della sua dipendenza dall’ente» .
Anche il secondo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c. con riferimento agli artt. 2727 e 2729 cod. civ.», questa volta per la «non correttezza del procedimento che il giudice di merito è tenuto a seguire per la valutazione della prova presuntiva».
La censura, riproponendo alcuni dei fatti già valorizzati ad illustrazione del primo motivo, addebita alla corte d’appello di non avere esaminato compiutamente tutti gli indizi disponibili e, in particolare, di avere trascurato la peculiarità della fattispecie, in cui il Comune di Milano svolse il molteplice ruolo di socio di maggioranza di RAGIONE_SOCIALE, i suo principale cliente, autore delle rimesse revocate e proponente il concordato con sollecitazione al fallimento perché esercitasse l’azione revocatoria.
2.1. Il motivo è innanzitutto inammissibile, perché, ancora una  volta,  si  pretende  nient’altro  che  un  riesame  del  fatto,
peraltro ponendo  l’attenzione su circostanze prive di un comprensibile nesso logico rispetto al thema probandum .
Ma questo motivo è altresì improponibile con riferimento ad altro profilo, proprio dei limiti posti alla cognizione del giudice del rinvio, laddove la banca ricorrente afferma che «In ragione di tali peculiarità era logico e corretto collocare l’accertamento della sussistenza della scientia decoctionis alla data in cui NOME aveva presentato alla banca le fatture emesse nei confronti del Comune di Milano e non invece alla data in cui le somme pagate dall’ente debitore era no state accreditate sul conto di RAGIONE_SOCIALE». Ebbene, nell’ordinanza n. 11696/2020, questa Corte aveva, tra l’altro, « rilevato che -trattandosi di revoca di pagamenti -la valutazione della conoscenza dello stato di insolvenza dev ‘ essere operata con riferimento al tempo in cui il pagamento risulta realmente effettuato e, quindi, ricevuto dal creditore ». Pertanto, il giudice del rinvio non avrebbe potuto discostarsi da tale statuizione, se non violando l’art. 384, comma 2, c.p.c.
Il terzo motivo censura «omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, n. 5, c.p.c.».
Il motivo prospetta le medesime circostanze evidenziate ad illustrazione  del motivo precedente sub specie di omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c .
3.1. L’ inammissibilità di questo terzo motivo è di ancor più immediata  evidenza,  non  potendosi vestire una  critica al ragionamento presuntivo tramite il quale il giudice del merito ha accertato la verità di un fatto controverso e rilevante in causa
con i panni di una censura di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,  la cui esistenza  risulti dagli atti processuali in modo  inequivoco  e  che  sia stato tuttavia trascurato dal giudice.
 Si  deve,  pertanto,  ribadire  quanto  affermato  nella proposta  di  definizione  accelerata,  ovverosia  che,  nel  suo complesso, « il ricorso riflette un semplice tentativo di revisione della rilevanza e concludenza (e quindi della intrinseca valutazione) degli elementi di prova ».
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di  legittimità  seguono  la  soccombenza e si  liquidano come in dispositivo , avuto riguardo al valore della causa superiore a € 1.000.000.
Poiché l’esito del giudizio è conforme alla proposta di definizione  di  cui  all’art.  380 -bis c.p.c.,  la  ricorrente  viene condannata altresì al pagamento, in favore del controricorrente, di  una  ulteriore  somma  pari  a  quella  liquidata  a  titolo  di compensi di avvocato.
Inoltre, per il combinato disposto degli artt. 380 -bis , comma 3, e 96, comma 4, c.p.c., la ricorrente viene condannata al  pagamento dell’ulteriore  somma di € 2.500 in  favore  della cassa delle ammende.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in € 18.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi e agli eventuali accessori di legge;
condanna  la  ricorrente  al  pagamento,  in  favore  del controricorrente, dell’ulteriore somma equitativamente determinata in € 18.000;
condanna la ricorrente  al  pagamento  della somma di € 2.500 in favore della cassa delle ammende;
dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n.  115  del  2002,  della  sussistenza  dei  presupposti  per  il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del 15.10.2025.
Il Presidente NOME COGNOME