Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10925 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10925 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2803/2023 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1529/2022, depositata il 31/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME assumendo di essere creditore nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dell’importo di euro 56.000,00, pari al doppio della caparra corrisposta al momento della stipulazione di un contratto preliminare di vendita immobiliare, per avere legittimamente esercitato il diritto di recesso, agiva nei confronti della suddetta società e di NOME COGNOME il quale dalla stessa aveva acquistato due immobili, uno dei quali quello oggetto del contratto preliminare sciolto per recesso che poi aveva trasferito a NOME COGNOME per ottenere la declaratoria di inefficacia degli atti dispositivi e la condanna del COGNOME al pagamento di quanto aveva ricavato dalla vendita dell’immobile alla COGNOME.
Il Tribunale di Pescara, con la sentenza n. 2269/2015, accoglieva la domanda revocatoria e disattendeva quella di condanna nei confronti del COGNOME
La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza n. 1529/2022, depositata il 31/10/2022, ha rigettato i gravami, quello principale del COGNOME e quello incidentale della RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto ha confermato la pronuncia di primo grado.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando cinque motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti, in vista dell’odierna camera di consiglio, depositano memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo si denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere la corte territoriale confermato la revocazione degli atti dispositivi, sebbene il prezzo della vendita fosse stato destinato al pagamento di debiti scaduti e la vendita fosse stata strumentale al soddisfacimento dei predetti debiti.
In particolare, la corte d’appello avrebbe dapprima escluso la sussistenza di alcun riscontro del fatto che il corrispettivo delle vendite fosse stato destinato a ripianare la situazione debitoria dell’alienante, ma poi avrebbe riconosciuto che l’acquirente si era accollato il mutuo della disponente ed aveva estinto le ipoteche sugli immobili acquistati; ciononostante avrebbe poi escluso l’irrevocabilità degli atti dispositivi, incorrendo nella violazione della giurisprudenza di questa Corte che ritiene non accoglibile la domanda revocatoria quando l’alienante provi che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato per estinguere un suo debito scaduto.
In aggiunta, il ricorrente si duole del fatto che la corte territoriale non abbia considerato che la disponente svolgeva attività di intermediazione nella vendita di immobili e che quindi l’unico modo per reperire quanto necessario per estinguere i suoi debiti era la vendita di immobili a un giusto prezzo.
Il motivo è, in parte, inammissibile, in parte, infondato.
Il ricorrente non ha affatto colto la ratio decidendi della sentenza impugnata e, per l’effetto, non l’ha efficacemente confutata.
La corte d’appello ha, infatti, ritenuto che la deduzione del COGNOME, condivisa dalla difesa della società RAGIONE_SOCIALE, quanto alla destinazione dei proventi della vendita al ripianamento dell’esposizione debitoria dell’alienante non trovava riscontro
probatorio e che la produzione documentale depositata in appello dall’alienante a supporto di quanto esposto era da ritenere tardiva.
Non è mai caduta nella contraddizione imputatale, perché la prova a sostegno dell’eccezione di destinazione della provvista al pagamento di debiti scaduti non è quella rinveniente dall’assunzione dell’accollo di debito da parte del terzo acquirente né dalla compensazione di parte del corrispettivo del prezzo con un suo controcredito, sicché non rileva che il giudice a quo abbia accertato che con uno dei contratti, quello del giugno 2010, avente ad oggetto l’immobile sito nel Comune di Rosciano, le parti avessero previsto di destinare l’importo di euro 22.132,74 a compensazione di un controcredito vantato dall’acquirente e che con il secondo, quello del giugno 2011, relativo all’immobile sito nel Comune di Pianella, l’acquirente si fosse accollato il mutuo fondiario gravante sull’immobile per euro 155.000,00 (p. 4 della sentenza).
Il ricorrente non solo omette di confrontarsi con detta statuizione, e con le complessive argomentazioni a essa sottese, limitandosi a riproporre le sue tesi già formulate coi motivi di gravame, incorrendo, così, nella violazione dell’art. 366, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ. (in quanto con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello: Cass. 24/09/2018, n. 22478), ma ritiene che la statuizione di inammissibilità per tardività della produzione documentale a supporto della deduzione difensiva sia stata assunta erroneamente, perché il giudice (a prescindere dalla tardività della produzione documentale che, dunque, non è contestata) non avrebbe potuto non esaminare i nuovi documenti, senza incorrere nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.
Il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, oltre a non essere deducibile dato il mancato superamento della preclusione
processuale di cui all’art. 348 ter , ultimo comma, cod.proc.civ., ora abrogato, ma sostanzialmente riprodotto all’art. 360, 4° comma, cod.proc.civ., non può essere invocato per lamentare l’omesso esame di documenti costituenti fonti di prova. Mette conto evidenziare, infatti, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass. 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame (v. Cass. 14/09/2022, n.27076; Cass. 25/07/2023, n.22273).
Certamente inoltre il vizio denunciato non può essere utilizzato per aggirare il divieto posto dall’art. 345 cod.proc.civ. È evidente che il ricorrente confonde e sovrappone il giudizio di indispensabilità dei documenti con quello di decisività dei fatti il cui esame sia stato omesso, senza neppure considerare che, a prescindere dal giudizio di decisività, nel senso di indispensabilità dei documenti prodotti per la prima volta in appello (non più richiesto quando la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia pubblicata dopo l’11/09/2012: v. Cass. 13/08/2024, n. 22756), la corte territoriale non ha rimesso in termini l’odierno ricorrente,
per non avere egli dimostrato di non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa a lui non imputabile la produzione documentale che intendeva utilizzare per dimostrare di avere utilizzato il corrispettivo ricavato dall’atto dispositivo per ripianare la sua situazione debitoria.
Con il secondo motivo il ricorrente prospetta l’errore di percezione del contenuto degli atti di compravendita, per violazione dell’art. 115 cod.proc.civ., rilevante ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
Il ricorrente riproduce il contenuto dei contratti di compravendita, proponendosi di dimostrare che, contrariamente a quanto ritenuto della corte d’appello, caduta in un errore di percezione, da essi emergeva inequivocabilmente che buona parte del ricavato dalla vendita era stato impiegato per estinguere i debiti della società disponente.
Il motivo è infondato.
L’assunzione dell’accollo e la compensazione di parte del corrispettivo della vendita con un controcredito da parte dell’acquirente/odierno ricorrente (che la corte territoriale ha accertato e quindi nient’affatto trascurato, v. p. 4 della impugnata sentenza) erano frutto di accordi tra le parti diretti a regolare le reciproche ragioni di dare e avere, nell’ambito dei quali si collocava il trasferimento immobiliare; in questa prospettiva, l’accollo del mutuo e la compensazione rappresentavano modalità di corresponsione di parte del prezzo della compravendita. L’accollo e la compensazione partecipavano, in altri termini, della causa della compravendita stessa, costituita dallo scambio di cosa contro prezzo, ma non indicavano affatto che gli atti dispositivi erano stati posti in essere allo scopo di estinguere i pregressi debiti scaduti della disponente.
A tale scopo va ribadita la risalente affermazione di principio per cui ad escludere la revocatoria di un’alienazione da lui compiuta
non basta che il debitore provi l’esistenza di altro debito già scaduto, ma occorre la prova che il debitore non aveva altra possibilità per soddisfare tale debito e che quindi la alienazione da lui compiuta dipese esclusivamente da tale necessità (Cass. 10/08/1962, n. 2555; Cass. 18/07/1974, n. 2157). Con particolare riguardo alla compravendita di beni l’esenzione dalla revocatoria ordinaria dell’adempimento di un debito scaduto, alla stregua di quanto sancito dall’art. 2901, 3° comma, cod.civ., traendo giustificazione dalla natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 cod.civ., ricomprende anche l’alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all’adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo, ponendosi in siffatta ipotesi la vendita in rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, così potendosene escludere il carattere di atto pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca (Cass. 16/11/2023, n. 31941; Cass. 15/05/2020, n. 8992).
In tale prospettiva si colloca la conclusione della corte d’appello là dove ha ritenuto insussistente la prova, in concreto, che la vendita da parte della società disponente fosse stata utilizzata per reperire i mezzi necessari per estinguere i suoi debiti scaduti (prova gravante sull’acquirente: Cass. 08/09/2016, n. 17766) quale ratio decidendi che, come tale, non è attinta fondatamente dalle doglianze di parte ricorrente che, pur ruotando intorno al nesso di strumentalità tra vendita e pagamento dei debiti scaduti, non hanno specificamente superato quanto rilevato dal giudice del merito e cioè il difetto di prova che la vendita fosse stata fatta allo scopo di reperire le somme da destinare al ripianamento delle esposizioni debitorie già scadute (ipotesi quella del pagamento del debito scaduto che sottrae, ai sensi dell’art. 2901, 3° comma, cod.civ., l’atto dispositivo all’azione revocatoria, in ragione della
natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 cod.civ., ricomprendente anche l’alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all’adempimento di un proprio debito: Cass. n. 8992/2020, cit.).
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 2901, 1° comma, cod.civ. e degli artt. 3, 41, 1° comma, Cost., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Il ricorrente ripropone la tesi disattesa dalla corte d’appello secondo cui vi sarebbe una differenza tra atti di ordinari amministrazione -per tali il ricorrente intende quelli dispositivi che rientrano nell’attività ordinaria, cioè nell’oggetto sociale della disponente -da quelli di straordinaria amministrazione -per tali intendendo gli atti di dismissione del suo patrimonio -e ritiene che il giudice a quo, ritenendo revocabili gli atti posti in essere, nell’esercizio della sua attività di impresa, dall’alienante, solo perché debitrice, abbia violato il principio di eguaglianza e di libertà di impresa.
Come correttamente rilevato dal giudice a quo , l’art. 2901 cod.civ. non contempla la suddetta distinzione che snaturerebbe la finalità dell’ actio pauliana , il quale è strumento di difesa delle ragioni creditorie, attribuendo rilevo all’interesse del debitore.
La ragione per cui l’azione revocatoria è stata ammessa è perché la corte d’appello ha ritenuto non dimostrato che gli atti dispositivi fossero stati posti in essere per estinguere i debiti scaduti dell’alienante. Del resto, come il giudice a quo ha rilevato, la declaratoria di inefficacia non avendo finalità recuperatoria non ha impedito alla società disponente lo svolgimento della sua attività di intermediazione immobiliare. Il che priva di fondatezza le argomentazioni difensive del ricorrente volte a sostenere l’avvenuta limitazione della libertà di iniziativa economica e/o del principio di eguaglianza.
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo di aver violato e falsamente applicato l’art. 2729 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per avere desunto la sua scientia damni dal fatto che le visure ipocatastali, le iscrizioni e le trascrizioni pregiudizievoli fossero da lui conoscibili.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
La corte d’appello ha desunto la scientia damni dell’odierno ricorrente dal mero fatto di non poter addurre di non essere a conoscenza delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli della società alienante, perché dette circostanze se non conosciute erano da lui conoscibili con l’uso dell’ordinaria diligenza; gli atri elementi, infatti -il fatto che si fosse reso acquirente di più immobili, che la RAGIONE_SOCIALE avesse messo in vendita il suo patrimonio immobiliare in un arco temporale non eccessivamente ampio, che non avesse utilizzato i proventi delle vendite per soddisfare i suoi creditori, l’avvenuta cancellazione solo delle iscrizioni ipotecarie sui beni oggetto degli atti dispositivi revocandi – hanno riguardato, infatti, l’accertamento dell’elemento soggettivo dell’alienante .
Il che significa che il giudice a quo ha desunto la scientia damni del terzo acquirente da un solo elemento indiziario, proprio come denunciato dal ricorrente.
La prova presuntiva è un mezzo di prova critica in relazione al quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la formulazione dell’inferenza dal fatto noto a quello ignoto; più specificamente, affinché si possa conseguire la prova del fatto ignoto, l’art. 2729 cod.civ. richiede che gli elementi presuntivi siano gravi, precisi e concordanti, venendo meno, in caso contrario, la garanzia di ragionevole certezza circa la verità del fatto stesso; in assenza di tali requisiti deve escludersi la correttezza del ragionamento logico che dal fatto noto risale a quello ignoto; nella giurisprudenza di questa Corte è consolidata la definizione dei suddetti requisiti: la gravità è indice di un elevato grado di
attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice, che non deve tradursi in certezza ma nella probabilità che l’esistenza del fatto ignoto sia maggiore di quella della sua inesistenza; la precisione evoca la non equivocità, implica, cioè, l’erroneità del ragionamento presuntivo ove da esso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare; la concordanza esprime la convergenza di più indizi; il che non significa, però, che il ragionamento inferenziale non possa farsi se non quando esso si basi su una pluralità di indizi -con la conseguenza che un solo elemento indiziario renda illegittimo il ragionamento logico deduttivo condotto dal giudicante -ma che il ragionamento presuntivo basato su un solo indizio richiede che quest’ultimo si configuri come grave e preciso (cfr., ex aliis , Cass. 15/02/2023, n. 4784; Cass. 21/03/2022, n. 9054; Cass. 29/01/2019, n. 2482 del 2019) e che la motivazione che il giudice adduce per spiegare perché da detto unico indizio sia risalito al fatto noto sia adeguata (cfr. Cass. n. 4784/2023, cit.; Cass. 28/10/2019, n. 27457 del 2019).
Ora, nel caso di specie, con il motivo di ricorso il ricorrente non prospetta inferenze probabilistiche semplicemente diverse da quelle applicate dal giudice di merito e quindi non sollecita un controllo sulla motivazione relativa alla ricostruzione della quaestio facti , ma denuncia fondatamente l’insussistenza dei requisiti di gravità e di precisione dell’unico elemento indiziante assunto dal giudicante a fondamento del suo ragionamento inferenziale.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente per violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo ritenuto che le <>, senza spiegare, secondo il ricorrente, la ragione per cui ha disatteso il motivo di appello con cui aveva lamentato l’arricchimento ingiustificato.
Il motivo è infondato.
L’evocazione da parte del ricorrente di Cass. n. 164/1972 e n. 1884/1990 per sostenere le sue tesi in appello non erano pertinenti, perché riguardavano la funzione recuperatoria dell’azione revocatoria fallimentare, mentre la revocatoria ordinaria non ha effetto e finalità recuperatorie, ma solo di ricostituzione della garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, compromessa dall’atto di disposizione da questi posto in essere; l’esito vittorioso di tale azione, pertanto, non comporta l’annullamento dell’atto impugnato -con conseguente effetto restitutorio o recuperatorio del bene – ma determina l’inefficacia dell’atto stesso nei confronti del solo creditore attore, per consentirgli di aggredire il bene con l’azione esecutiva qualora il proprio credito rimanga insoddisfatto; correttamente il giudice a quo ha rigettato il motivo di appello e lo ha fatto con una motivazione, per quanto sintetica, idonea a far comprendere l’ iter logico giuridico da essa sotteso.
All’accoglimento del quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri, consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’A ppello di L’aquila, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo applicazione del suindicato disatteso principio.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per
le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’A ppello di L’ Aquila, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio dell’11 aprile 2025 dalla