Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11606 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11606 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12590/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 200/2024 depositata il 12/3/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 1435/2020, dichiarava l’inefficacia ex art. 2901 cod. civ., nei confronti del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, della cessione del credito effettuata dalla società fallita in favore di NOME COGNOME con atto notarile del 16 aprile 2015.
La Corte distrettuale di Lecce, a seguito dell’appello presentato dalla COGNOME, riteneva -fra l’altro e per quanto qui di interesse che l’appellante ave sse omesso di ‘fare i conti’ con l’approfondita ricostruzione sulla base della quale il primo giudice aveva dimostrato – attraverso una corretta ricognizione del materiale probatorio, valorizzato alla stregua di una rigorosa applicazione dei canoni di apprezzamento della prova per presunzioni l’esistenza di vincoli familiari duraturi, quali un rapporto di coniugio caratterizzato da comuni cointeressenze pure di indole patrimoniale che si erano protratte anche nel tempo successivo alla separazione e fino al divorzio, intervenuto nel gennaio 2016, al fine di ravvisare la scientia damni in capo alla COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 12 marzo 2024, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, cod. proc. civ. e 111 Cost., perché la Corte distrettuale non ha proceduto a un autonomo vaglio critico della motivazione del tribunale, richiamata per relationem , sul punto dell’elemento soggettivo di cui all’art. 2901 cod. civ. in capo al terzo, pur risultando criticato, col gravame, il procedimento inferenziale, in quanto la motivazione del tribunale era poco chiara e ambigua e impediva così il controllo della motivazione.
La sentenza impugnata non contiene – in tesi l’esplicitazione de i motivi che hanno condotto la Corte territoriale a ritenere la correttezza del ragionamento induttivo compiuto dal tribunale e risulta, di conseguenza, nulla per carenza dei requisiti motivazionali minimi, avendo trascurato di esaminare tutte le articolazioni della
motivazione della pronuncia impugnata e di argomentare puntualmente ed in diretta correlazione coi motivi di appello in ordine ai riflessi della separazione sui rapporti anche patrimoniali e alla mancata persistenza di interessi comuni.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.: la Corte distrettuale -a dire della ricorrente -ha violato i canoni legali che presiedono al ragionamento induttivo, laddove non ha rilevato nella motivazione del tribunale, richiamata per relationem , che gli indizi valorizzati (ed in particolare il rapporto di coniugio venuto meno tre anni prima della cessione del credito revocata), per come ricostruiti, erano labili, contraddittori ed equivoci e quindi privi di gravità, precisione e concordanza, né li ha chiariti o integrati.
4.3 Il terzo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., dell’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, costituito dall’interruzione della convivenza fra NOME COGNOME e NOME COGNOME, già liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, almeno dal 2011 e dallo scioglimento della comunione legale quale effetto degli accordi di separazione confluiti nel decreto di omologa dello stesso anno.
I mezzi, da esaminarsi congiuntamente, risultano, tutti, inammissibili.
La decisione impugnata ha puntualmente spiegato, attraverso argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal collegio per la formazione del proprio convincimento, le ragioni per le quali la Corte territoriale non si è soffermata ad esaminare le critiche rivolte al ragionamento inferenziale compiuto dal tribunale rispetto alla scientia damni , laddove ha sottolineato che tali censure omettevano ‘ totalmente di fare i conti con l’approfondita ricostruzione ‘ compiuta dal primo giudice (v. pagg. 10 e 11 della decisione impugnata).
Il rigetto della doglianza ha perciò trovato fondamento nel fatto che ‘ l’appellante non le statuizioni del primo giudice ed il percorso motivazionale che le sorregge, di cui, anzi, il contenuto, limitandosi a riproporre questioni già decise dal primo giudice senza impugnare il complessivo impianto logico delle statuizioni emesse al riguardo ‘ (pag. 11).
Il primo motivo in esame evita, ancora una volta, di confrontarsi e contestare specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata, come il ricorso per cassazione deve, invece, necessariamente fare (Cass. 19989/2017), e risulta così irrimediabilmente inficiato dalla sua genericità.
Tale specificità di contestazione imponeva di rappresentare compiutamente vuoi ‘ l’approfondita ricostruzione ‘ compiuta dal primo giudice ed il percorso motivazionale che sorreggeva la sua decisione, vuoi le doglianze dedotte all’interno dell’atto di impugnazione, al fine di dimostrare che l’impianto logico posto a base della sentenza del tribunale, in realtà e diversamente da quanto ritenuto dai giudici distrettuali, era stato oggetto di adeguata impugnazione, che conteneva, a mente dell’art. 342 cod. proc. civ., una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confutava e contrastava la complessità delle ragioni addotte dal primo giudice (cfr. Cass., Sez. U., 36481/2022, Cass. Sez. U., 27199/2017).
Il secondo mezzo, invece, si rivolge a una parte della statuizione (laddove la Corte di merito ha rilevato la corretta ricognizione del materiale probatorio, che era stato valorizzato alla stregua di una rigorosa applicazione dei canoni di apprezzamento della prova per presunzioni) che offre una motivazione ad abundantiam , dato che la ragione fondante il rigetto era costituita, come sottolineato di giudici distrettuali a conclusione del paragrafo 3.1 della decisione impugnata (pag. 11), dalla elusione del complessivo impianto logico delle statuizioni emesse dal primo giudice in tema di scientia damni .
Ne discende l’inammissibilità della censura, tale essendo la sorte da riservare al motivo di ricorso per cassazione che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam e pertanto non costituente la ratio decidendi della medesima (cfr. Cass. 8755/2018, Cass. 23635/2010).
Stessa sorte spetta, infine, all’ultima censura, dato che la separazione fra la Calò e l’Ancora, in realtà, è stata considerata all’interno della statuizione resa dal primo giudice (a dire del quale il ‘ rapporto di coniugio ‘ era stato ‘ caratterizzato da comuni cointeressenze anche di indole patrimoniale che si protratte anche nel tempo successivo alla separazione e fino anche al divorzio ‘; v. pag. 11 della decisione impugnata), secondo una ricostruzione della vicenda esaminata pure dalla Corte distrettuale, ma non impugnata nella sua completezza e dunque non rivedibile in sede di appello.
In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 6.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 26 marzo 2025.