Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23594 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23594 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8773/2020 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO , già rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, cui è subentrata l’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2644/2019 de lla Corte d’Appello di Bari, depositata il 17.12.2019, NUMERO_DOCUMENTO;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.6.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’attuale controricorrente, già dipendente del RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALEP.RAGIONE_SOCIALE.), poi transitata all’U.S.L. FG/8 e, infine, all’ASL FG/3, si rivolse al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere: l’accertamento de l proprio diritto all’inquadramento nella categoria D del CCNL Comparto Sanità del 7.4.1999; la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive e delle indennità professionali maturate; il riconoscimento degli scatti di anzianità, con riserva di agire in separato processo per la quantificazione delle differenze maturate.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accolse solo in parte il ricorso, limitatamente alla domanda relativa al riconoscimento degli scatti biennali di anzianità, secondo il trattamento economico previsto per il personale dipendente degli enti locali, nei limiti della prescrizione quinquennale e quindi dal 7 giugno 2005.
La sentenza di primo grado venne impugnata dall’RAGIONE_SOCIALE e la Corte d’Appello di Bari ha rigettato il gravame.
Contro la sentenza d’appello l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico, seppure articolato, motivo.
La lavoratrice si è difesa con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia « violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 9 d.P.R. n. 44 del 1990 violazione e falsa applicazione della legge regionale n. 388 del 2000, art. 51 comma 3».
La ricorrente rileva che la Corte territoriale, confermando sul punto la decisione del Tribunale, ha riconosciuto il diritto agli scatti di anzianità secondo il CCNL comparto funzioni locali, e non secondo il CCNL comparto sanità, come invece richiesto nel ricorso introduttivo.
Inoltre, lamenta che la Corte d’appello avrebbe omesso di applicare il combinato disposto dell’art. 9 d.P.R. n. 44 del 1990 e dell’art. 51, comma 3, legge n. 388 del 2000 (erroneamente indicata in rubrica come legge «regionale»), che aveva determinato la soppressione degli aumenti del R.I.A. (Reddito Individuale di Anzianità) a far tempo dal 31.12.1990 e dunque in data antecedente alla instaurazione del rapporto di lavoro oggetto di causa.
Il motivo è inammissibile, per una pluralità di ragioni concorrenti.
2.1 . Con riferimento alla violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante sotto il profilo dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., giova rilevare che la deduzione del vizio di omessa pronuncia postula: a) che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate; b) che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l ‘ indicazione specifica, altresì, dell ‘ atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l ‘ una o l ‘ altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi.
Ciò in considerazione del fatto che «non essendo detto vizio rilevabile d ‘ ufficio, la Corte di Cassazione, quale giudice del ‘ fatto processuale ‘ , intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all ‘ onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un ‘ autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi» (Cass. n. 28072/2021).
Secondo la stessa prospettazione della ricorrente il vizio lamentato afferirebbe già alla pronuncia del giudice di prime cure e vale dunque il consolidato assetto processuale secondo cui «il vizio di ultra o extra petizione della sentenza di primo grado non può essere prospettato per la prima volta nel ricorso per cassazione ove il ricorrente non l’abbia dedotto come specifico motivo di gravame nel giudizio d’appello» (Cass. 24 maggio 2011, n. 11382; Cass. 21 maggio 1987, n. 4623).
In forza dei citati principi, pertanto, avuto riguardo al principio della conversione delle nullità in motivi di impugnazione come previsto dall’art. 161, comma 1, c.p.c., la parte ricorrente avrebbe dovuto riportare nel ricorso per cassazione l ‘ atto d ‘ appello e in ogni caso le difese spiegate avanti al giudice del gravame con riferimento alla pretesa violazione dell ‘ articolo 112 c.p.c. Invece, nulla ha riportato a questo proposito ed anzi, dalla sintesi dei motivi d ‘ appello di cui alle pagine 7 ed 8 del ricorso per cassazione, non risulta che avanti alla Corte d ‘A ppello abbia eccepito la nullità della sentenza del giudice di prime cure per violazione dell’art. 112 c.p.c. Al contrario, da tale sintesi risulta che la sentenza del giudice di prime cure venne impugnata per la asserita violazione del combinato disposto dell’art. 9 del d.P.R. n. 44 del 1990 e dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000. Questione riproposta anche in questa sede.
2.2. Per quanto concerne la pretesa violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 44 del 1990 e dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il motivo è del pari inammissibile, siccome inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
Giova ricordare che il motivo d ‘ impugnazione è di necessità costituito dall ‘ enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non
potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un «non motivo» del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l ‘ inammissibilità, ai sensi dell ‘ art. 366, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 1341/2024).
La corte territoriale ha riconosciuto il diritto agli scatti di anzianità sulla sola base della disparità di trattamento tra i dipendenti occupati presso il RAGIONE_SOCIALE ed i dipendenti del servizio sanitario nazionale, ritenuta ingiustificata in quanto entrambe le categorie risultavano soggette -nel medesimo lasso temporale -al medesimo orario di lavoro e alle medesime modalità di verifica della presenza in servizio, oltre che soggetti al medesimo potere disciplinare e di controllo.
Su questo presupposto, e solo su di esso, la Corte d ‘A ppello ha rigettato il gravame, considerando decisivo il «difetto di deduzioni e prove adeguate, con onere a carico dell’RAGIONE_SOCIALE, circa possibili giustificazioni del trattamento diversificato per talune categorie di lavoratori».
La ricorrente si è limitata, in questa sede, a riproporre le medesime difese e deduzioni già svolte nei primi due gradi di giudizio con riferimento agli effetti del combinato disposto dell’art. 9 d.P.R. n. 44 del 1990 e dell’art. 51, comma 3, legge n. 388 del 2000, senza però muovere censure specifiche alla ratio decidendi adottata dalla Corte d’Appello , ovverosia all ‘ applicazione del principio di parità del trattamento tra dipendenti pubblici.
In questa prospettiva appare del tutto irrilevante la questione della fondatezza o meno dell ‘ interpretazione delle disposizioni di legge sostenuta dalla parte ricorrente, posto che il bene della vita è stato
attribuito all ‘attuale controricorrente sulla base di ragioni giuridiche affatto diverse.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, stante l’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in € 2.500, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge ;
dà atto che sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6.6.2024.