Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20949 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20949 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 249/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME, che l a rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME; -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2720/2018 depositata il 31/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza n. 2720/2018 della Corte d’appello di Milano depositata il 31 maggio 2018.
Resiste con controricorso l a RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma RAGIONE_SOCIALE artt. 375, comma 2, 4 -quater , e 380 bis .1 c.p.c.
La Corte d’appello di Milano ha respinto l’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la delibera RAGIONE_SOCIALE n. 20664 del 12 luglio 2017, che le aveva intimato il pagamento della sanzione pecuniaria di € 550.000,00, per violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 5, 6, 9 e 12 del Regolamento (UE) n. 236/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, relativo alle vendite allo scoperto e a taluni aspetti dei contratti derivati aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell’emittente ( credit default swap ).
Il Regolamento europeo sullo short selling ha introdotto obblighi di segnalazione delle posizioni nette corte sopra una certa soglia e alcune limitazioni alle vendite allo scoperto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e all’acquisto di credit default swap di emittenti sovrani.
La sanzione irrogata si riferisce, in particolare, alle vendite allo scoperto, eseguite tra il 25 gennaio 2016 e l’11 febbraio 2016, dei titoli azionari di RAGIONE_SOCIALE, considerata ‘posizione corta netta’ agli effetti del citato Regolamento, nonché alla violazione delle restrizioni imposte dall’art. 12 e RAGIONE_SOCIALE obblighi di notifica alle autorità competente e di comunicazione al pubblico di cui agli artt. 5, 6 e 9 del medesimo Regolamento (UE) n. 236/2012.
Il ricorso si sviluppa in sessantasei pagine.
Il primo motivo del ricorso della RAGIONE_SOCIALE deduce la invalidità, ai sensi dell’art. 277 TFUE, dell’art. 3, paragrafo 2, lett. b )
e c ) del Regolamento delegato (UE) n. 918/2012 della RAGIONE_SOCIALE, del 5 luglio 2012 (che ha integrato il regolamento (UE) n. 236/2012, per quanto riguarda le definizioni, il calcolo delle posizioni corte nette, le posizioni coperte in credit default swap su emittenti sovrani, le soglie di notifica, le soglie di liquidità per la sospensione delle restrizioni, le diminuzioni significative del valore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e gli eventi sfavorevoli Testo rilevante ai fini del SEE) e dell’art. 5, paragrafo 1, lett. e) del Regolamento di esecuzione n. 827/2012 della RAGIONE_SOCIALE del 29 giugno 2012, che stabilisce norme tecniche di attuazione relative al metodo di comunicazione al pubblico delle posizioni nette in titoli azionari, al formato delle informazioni da fornire all’RAGIONE_SOCIALE in relazione alle posizioni corte nette, ai tipi di accordi, alle modalità d’intesa e alle misure che garantiscono adeguatamente che titoli azionari o debito sovrano siano disponibili per il regolamento nonché alle date e al periodo per la determinazione della sede principale di negoziazione dei titoli azionari a norma del regolamento (UE) n. 236/2012. La ricorrente assume che le citate disposizioni sono in contrasto con il Regolamento n. 236/2012 e violano gli artt. 290 e 291 TFUE. Si deduce inoltre la censura di illegittimità costituzionale per violazione del principio di tassatività di cui all’art. 49 CFDUE e per violazione dei principi di legalità, riserva di legge, tassatività e determinatezza ex artt. 3, 25 e 117 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la invalidità e la illegittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) n. 236/2012 e RAGIONE_SOCIALE artt. 5, 6 e allegato I, parte 1, del Regolamento delegato (UE) n. 918/2012, in combinato disposto con gli artt. 41 del Regolamento (UE) n. 236/2012 e 194-ter TUF, ancora per violazione del principio di tassatività di cui all’art. 49 CFDUE e per violazione dei principi di
legalità, riserva di legge, tassatività e determinatezza ex artt. 3, 25 e 117 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.
Il terzo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. n. 689 del 1981, in relazione all’interpretazione RAGIONE_SOCIALE artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) n. 236/2012 e RAGIONE_SOCIALE artt. 5, 6 e allegato I, parte 1, del Regolamento delegato (UE) n. 918/2012, nonché la ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione’ in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo circa la violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) n. 236/2012 .
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 194 -bis TUF e dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 72 del 2015, per contrasto con l’art. 49, paragrafo 1, della CFDUE e per contrasto con gli artt. 3, 25 e 117 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU.
Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. n. 689 del 1981, in relazione agli artt. 12 e 15 del Regolamento (UE) n. 236/2012, per contrarietà al principio di proporzionalità delle pene sancito dall’art. 49 della CFDUE, nonché la ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione’ in relazione all’applicazione dei criteri di quantificazione della sanzione riferita alla violazione dell’art. 12 del Regolamento (UE) n. 236/2012.
Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della l. n. 689 del 1981, nonché la ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione’ in relazione all’applicazione del criterio di quantificazione della sanzione costituita dalla gravità oggettiva sempre per la violazione dell’art. 12 del Regolamento (UE) n. 236/2012.
4.1. La ricorrente in data 28 marzo 2024 ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c., insistendo per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ovvero per il promovimento delle questioni di legittimità costituzionale.
La controricorrente RAGIONE_SOCIALE ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza del ricorso avverso, evidenziando pregiudizialmente numerosi profili di ‘novità’ delle questioni poste a fondamento delle censure.
Anche la controricorrente COGNOMEB ha depositato in data 10 maggio 2024 memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1. c.p.c.
Va invero considerato che i l giudizio di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo comunque al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ha il potere -dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa -nell’ambito delle deduzioni delle parti -all’esame completo nel merito della fondatezza dell’ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell’entità della sanzione, sulla base di un apprezzamento discrezionale, insindacabile, pertanto, in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici. In particolare, il giudice dell’opposizione è chiamato a determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981.
Il giudizio di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE rimane, in ogni modo, strutturato in conformità del modello del processo civile e risponde alle regole, in particolare, della
domanda (art. 90 c.p.c.), della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del divieto della pronuncia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa della parte (art. 112 c.p.c.), nonché ai limiti alla modificazione della causa petendi , che, in esso, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione.
Così, dunque, l’opponente a sanzione amministrativa non può, nel corso dell’ulteriore attività processuale, aggiungere alcunché a quanto allegato nell’atto di opposizione ex art. 195 TUF, il quale fissa i limiti della devoluzione della controversia; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità, in sede di ricorso per cassazione, di motivi attinenti a questioni non comprese nell’atto di opposizione ed irritualmente dedotte nel corso del giudizio di legittimità.
6. I fatti posti a base delle sanzioni intimate davano per accertato che RAGIONE_SOCIALE: in data 5 febbraio 2016 aveva venduto 5.500.000 azioni RAGIONE_SOCIALE, non di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, di cui deteneva solo il diritto di opzione; in data 9 febbraio 2016 aveva acquistato 3.590.412 azioni RAGIONE_SOCIALE e ne aveva vendute 7.108.149, ovvero 3.300.000 azioni senza averne la proprietà.
Sia dall’esposizione sommaria dei fatti di causa contenuta nel ricorso per cassazione (pagina 6 e ss.), sia dalla sentenza impugnata (pagina 4 e ss.), risulta che i due motivi dedotti dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel ricorso in opposizione notificato l’11 dicembre 2017 avverso la delibera RAGIONE_SOCIALE n. 20664 del 12 luglio 2017 erano limitati alla prova dell’elemento soggettivo, per l’obiettiva difficoltà interpretativa del Regolamento (UE) n. 236/2012, e alla errata quantificazione della sanzione applicata, invocandosi l’applicazione dei criteri di cui all’art. 194bis TUF e contestandosi l’applicazione del cumulo soggettivo ex art. 8, comma 1, della legge n. 689/1981.
La sentenza impugnata afferma proprio a pagina 4, con statuizione non impugnata in questa sede, che ‘l’opponente non ha contestato la sussistenza materiale dei fatti addebitati’.
Sono pertanto nuovi, perché non oggetto del giudizio di opposizione e quindi inammissibilmente dedotti per la prima volta nel ricorso per cassazione, i profili di fatto attinenti: a) alla estraneità delle circostanze accertate alla fattispecie della
RAGIONE_SOCIALE elementi fattuali in concreto condizionanti la riconducibilità della concreta vicenda di causa ltro osservarsi che l’art. 2, lettera b ) del Regolamento (UE) n. 236/2012, precisa che si intende per:
‘b) «vendita allo scoperto» con riferimento a un titolo azionario o a uno strumento di debito, una vendita del titolo azionario o dello strumento di debito che il venditore non possiede al momento della conclusione del contratto di vendita, incluso il caso in cui al momento della conclusione del contratto di vendita il venditore ha preso a prestito o si è accordato per prendere a prestito il titolo azionario o lo strumento di debito per consegnarlo al momento del regolamento, ad esclusione:
di un contratto pronti contro termine in cui una delle parti ha convenuto di vendere all’altra parte un titolo ad un prezzo determinato con l’impegno dell’altra parte di rivenderglielo ad una data successiva ad un altro prezzo determinato;
ii) di un trasferimento di titoli in base ad un accordo di prestito di titoli; ovvero
iii) della conclusione di un contratto future o di altro contratto derivato con cui si convenga di vendere titoli ad un prezzo definito a una data futura’.
Pertanto, l’espressione short-selling identifica qualsiasi tecnica di negoziazione a formazione progressiva, nel contesto del mercato regolamentato, di vendita di un titolo azionario (o di un titolo di debito) di cui la parte non ha la titolarità al momento della conclusione del medesimo contratto di vendita.
Il considerando (8) e l’art. (5) lettera e ) del Regolamento di esecuzione n. 827/2012 della RAGIONE_SOCIALE del 29 giugno 2012 specificano altresì che:
‘
8. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile laddove ricollega la scusabilità dell’errore nella interpretazione dei precetti sugli obblighi di notifica alla RAGIONE_SOCIALE e di comunicazione al pubblico delle posizioni corte nette in titoli azionari alle peculiarità di fatto dell’operazione collegata al diritto di opzione per la prima volta allegate nel giudizio di cassazione.
Peraltro, in tema di sanzioni amministrative, l’art. 3 della l. n. 689 del 1981 pone una presunzione di colpa a carico dell’autore del fatto vietato, riservando a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa. La Corte d’appello di Milano ha al riguardo congruamente motivato nelle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata circa l’insussistenza di un incolpevole ” error iuris ” in capo a RAGIONE_SOCIALE, non emergendo la inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, alla
luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sulla società d’investimento in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme che specificamente disciplinano l’attività che essa svolge.
Il quarto motivo di ricorso è del pari non fondato.
La Corte d’appello di Milano ha ritenuto non applicabili ratione temporis i criteri per la determinazione delle sanzioni di cui all’art. 194 -bis TUF, introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015, il cui art. 6, comma 2, dispone che le modifiche “si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 196 -bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo”.
9.1. E’ diffusa nella giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione secondo cui legittimamente le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998, apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015, non trovano applicazione per le violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia, come dispone l’art. 6 del d.lgs. n. 72 cit. Ciò, nella specie, si dovrebbe riaffermare sul presupposto che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE per le violazioni delle prescrizioni di cui al regolamento (UE) n. 236/2012 (art. 193 -ter TUF), quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, non siano assimilabili a quelle irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE ai sensi RAGIONE_SOCIALE 187 -bis e 187 -ter del TUF, sicché esse non avrebbero la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né porrebbero, quindi, un
problema di compatibilità con le garanzie riservate dall’art. 7 CEDU ai fini dell’applicazione all’imputato della legge più favorevole (si vedano Cass. n. 20689 del 2018; Cass. n. 23814 del 2019, anche per la motivazione sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015; Cass. n. 8855 del 2017; Cass. n. 8046 del 2019; Cass. n. 3248, n. 3243, n. 30499 e n. 30500 del 2022; Cass. n. 24375 e n. 33788 del 2023).
9.2. In realtà, la sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dalla RAGIONE_SOCIALE per le violazioni delle prescrizioni di cui al regolamento (UE) n. 236/2012, ai sensi dell’art. 193 -ter TUF, prevede il pagamento di una somma da euro venticinquemila a euro duemilionicinquecentomila, con aumento fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito, nonché la confisca del prodotto o del profitto dell’illecito. Si tratta, quindi, di sanzione che non può essere considerata come misura meramente ripristinatoria dello status quo ante , né semplicemente mirante alla prevenzione di nuovi illeciti, denotando una elevata carica afflittiva e che è sempre destinata, nelle intenzioni del legislatore, a eccedere il valore del profitto in concreto conseguito dall’autore, comunque oggetto di separata confisca. La sanzione dell’art. 193 -ter TUF persegue, dunque, una finalità di deterrenza, o prevenzione generale negativa, e si spiega in chiave di punizione dell’autore dell’illecito in questione; la sua natura punitiva induce a non escludere a priori che essa debba soggiacere alle garanzie che la Costituzione e l’ordinamento internazionale dei diritti umani assicurano alla materia penale, ivi compresa la garanzia della retroattività della lex mitior .
9.3. La giurisprudenza costituzionale, invero, afferma ormai costantemente che il processo di assimilazione delle sanzioni
amministrative ‘punitive’ alle sanzioni penali, quanto a garanzie costituzionali, porta all’estensione ad esse di larga parte dello statuto sostanziale delle sanzioni penali, basato sull’art. 25 Cost., con riferimento alla determinatezza dell’illecito e delle sanzioni, alla violazione del ne bis in idem , alla retroattività della lex mitior , alla proporzionalità della sanzione alla gravità del fatto nonché alla rilevanza di una sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma sanzionatoria (Corte cost., sentenze n. 169 del 2023; n. 149 del 2022; n. 185 e n. 68 del 2021, n. 134, n. 112 e n. 63 del 2019; n. 121 del 2018).
In particolare, i l principio di retroattività della lex mitior in materia penale, applicabile anche alle sanzioni amministrative richiamandosi alla giurisprudenza della Corte EDU, trova fondamento, nell’ordinamento costituzionale, sia direttamente, giacché riconducibile allo spettro di tutela del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (che impone di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto la modifica mitigatrice), sia per effetto dell’azione RAGIONE_SOCIALE artt. 49 CDFUE e 7 CEDU, in forza RAGIONE_SOCIALE artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
L’ambito di operatività del principio di retroattività in mitius non deve, peraltro, essere limitato alle sole disposizioni concernenti la definizione dell’illecito e la misura della pena, ma va esteso a tutte le norme sostanziali che, pur riguardando profili diversi dalla sanzione in senso stretto, riguardano il complessivo trattamento riservato al reo; esso non si riferisce, dunque, soltanto a quelle norme che concernono in senso stretto la pena, ma anche a quelle disposizioni che incidono
su discipline penali di natura sostanziale (Corte cost., sentenza n. 238 del 2020).
9.4. Secondo la prospettazione della ricorrente, qui, in ogni modo, si imporrebbe di assoggettare al principio di retroattività in mitius non la definizione dell’illecito o la misura della sanzione dell’art. 193 -ter TUF, quanto i generali criteri di determinazione delle sanzioni di cui all’art. 194 -bis TUF.
9.5. Al contrario, la Corte d’appello di Milano, premessa la assunta inoperatività ratione temporis dei criteri per la determinazione delle sanzioni di cui all’art. 194 -bis TUF, in forza del regime transitorio di cui all’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, e dichiarando di fare applicazione dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nell’ambito della cornice edittale apprestata dall’art. 193 -ter TUF, ha dato valore, quanto alla gravità oggettiva e soggettiva delle violazioni, all’ammontare delle vendite allo scoperto, alla mancata consegna di titoli in fase di regolamento ed alla rispettiva durata, all’entità del profitto (€ 670.000), all’entità dell’indicatore sintetico delle posizioni corte rispetto al capitale dell’emittente, al periodo di tempo in cui sono state omesse le comunicazioni, al comportamento della RAGIONE_SOCIALE, definito comunque collaborativo.
Inoltre, la Corte di Milano ha affermato ancor prima che fosse ‘del tutto indimostrato che l’applicazione dei criteri di cui all’art. 194 -bis del TUF avrebbe consentito ad RAGIONE_SOCIALE un trattamento sanzionatorio più favorevole’.
9.6. Invero, l’art. 194 -bis ha previsto criteri omogenei di determinazione delle sanzioni applicabili per tutti gli illeciti amministrativi contemplati nel TUF, specificamente indicando i seguenti elementi di valutazione, in luogo della previsione generale
dettata dall’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, applicabile prima della novella: a) gravità e durata della violazione; b) grado di responsabilità; c) capacità RAGIONE_SOCIALEa del responsabile della violazione; d) entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile; e) pregiudizi cagionati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare sia determinabile; f) livello di cooperazione del responsabile della violazione con la Banca d’Italia o la RAGIONE_SOCIALE; g) precedenti violazioni in materia bancaria o RAGIONE_SOCIALEa commesse da parte del medesimo soggetto; h) potenziali conseguenze sistemiche della violazione; h -bis) misure adottate dal responsabile della violazione, successivamente alla violazione stessa, al fine di evitare, in futuro, il suo ripetersi.
Appunto come osservato nella sentenza impugnata, la allegazione che è alla base della doglianza in esame rimane, altresì, carente di dimostrazione che la disposizione sopravvenuta sia complessivamente più favorevole con riferimento al caso concreto.
L’art. 194 -bis TUF, per il suo peculiare contenuto, non opera, infatti, automaticamente in maniera più favorevole per l’autore dell’illecito rispetto all’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dipendendo tale eventuale risultato da una complessiva valutazione discrezionale nell’uso dei più analitici criteri di determinazione delle sanzioni introdotti, il che può rendere anche ragionevole la previsione di irretroattività della norma generalmente contenuta nell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015.
Il quinto ed il sesto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi. Essi denotano profili di inammissibilità e sono comunque da respingere.
Sia dall’esposizione sommaria dei fatti di causa contenuta nel ricorso per cassazione (pagina 6 e ss.), sia dalla sentenza impugnata (pagina 4 e ss.), risulta estraneo ai motivi dedotti dalla RAGIONE_SOCIALE nel ricorso in opposizione il tema qui dedotto, implicante necessariamente altresì nuovi accertamenti di fatto, attinente alla proporzionalità, ai sensi dell’art. 49, paragrafo 3, CDFUE, della sanzione amministrativa irrogata (canone applicabile alla generalità delle sanzioni amministrative, in rapporto alla gravità dell’illecito, sulla base del disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma: Corte cost., sentenze n. 194 e n. 46 del 2023), ai sensi dell’art. 193 -ter TUF, essendo prevista, oltre l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie ( graduabili in funzione della concreta gravità dell’illecito), sempre la confisca del «profitto» (cioè del risultato economico dell’operazione, con funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo all’autore), nonché del «prodotto» (con funzione “punitiva”) dell’illecito.
Nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il ” thema decidendum ” ed implichino, come nella specie, valutazioni, indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio.
La deduzione del vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione non è più ammessa dal tempo della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica
della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia
Quanto alle restanti censure, nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione del TUF, il giudice ha il potere discrezionale di quantificarne l’entità, entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981 (applicato ratione temporis ), quali la gravità della violazione, la personalità dell’agente e le sue condizioni economiche (tra le tante, Cass. n. 9126 del 2017).
12. Il ricorso va perciò rigettato.
In ragione dell’assoluta novità di alcune delle questioni dirimenti trattate, vanno compensate per intero fra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese sostenute nel giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile