Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25439 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25439 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2003/2019 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME E NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 84/2018 depositata il 06/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso la delibera numero 19933 del 30 marzo 2017 con cui la Consob ha irrogato,
con contestuale ingiunzione di pagamento, sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di una pluralità di esponenti aziendali o dipendenti della Banca Popolare di Vicenza.
Con particolare riferimento ai fatti che hanno dato luogo al procedimento che si è concluso con la detta delibera n. 19933, oggetto della sentenza gravata, si rappresenta sinteticamente quanto segue. Nel corso del 2014 e 2015, la Banca Popolare di Vicenza ha sottoposto all’approvazione della Consob e poi pubblicato i seguenti Documenti di Registrazione:
Documento di Registrazione pubblicato il 9 maggio 2014;
-Documento di Registrazione pubblicato l’8 maggio 2015.
I due documenti di registrazione sono ambedue confluiti nell’offerta pubblicata l’8 maggio 2015.
Nei confronti di NOME COGNOME in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione, è stata applicata, ex art. 191 del TUF, una sanzione complessiva di € 40.000 per la violazione dell’art. 94, comma 2, tu incorsa nella pubblicazione di due prospetti informativi di base relativamente ad emissione obbligazionarie, rispettivamente pubblicati il 7 febbraio 2014 ed il 5 febbraio 2015 (sanzione così determinata in applicazione del cumulo ex giuridico art. 8, comma 1, della legge n. 689 del 1981, ritenuta la violazione più grave quella pubblicata l’8 maggio 2015.
Dallo svolgimento delle verifiche ispettive condotte dalla Consob presso Banca Popolare di Vicenza nel periodo 22 aprile 2015 – 24 febbraio 2016 è emerso che la banca ha posto in essere decisione e iniziative di varia natura, rivolta in gran parte a favorire il sostegno alla domanda del proprio titolo azionario anche in vista dell’ indagine effettuata nel corso del 2014 dalla Bce sui bilanci delle principali 128 banche europee in vista dell’inizio della Vigilanza
unica, fissato per il 4 novembre, la quale, essendo diretta a valutare la quantità e la qualità del patrimonio di vigilanza, ha condotto la banca medesima a ricercare forme di rafforzamento dei requisiti patrimoniali e a creare l’apparenza di una maggiore solidità patrimoniale. Tali obiettivi sono stati tuttavia perseguiti attuando condotte illecite frutto anche di scelte aziendali riconducibili, secondo i rispettivi ruoli e responsabilità, ai principali livelli decisionali della Banca (anche quelle deputate al contatto con la clientela al dettaglio) senza che tali criticità siamo stati efficacemente contrastata dagli organi di vertice e dalle funzioni di controllo. Nel contesto in esame hanno assunto una rilevanza centrale sia le operazioni straordinarie sul mercato primario della banca (aumento di capitale e mini-aumento di capitale del 2013 e 2014, emissioni obbligazionarie) sia l’operazione di vendita di azioni proprie realizzate sul mercato secondario mediante operazioni in contropartita diretta tramite il Fondo RAGIONE_SOCIALE. Particolare rilevanza anche per dimensioni e diffusività, ha assunto in tale ambito il fenomeno dei cosiddetti finanziamenti correlati, ossia dei finanziamenti concessi alla clientela per l’acquisto di azioni banca popolare di Vicenza. I suddetti finanziamenti hanno consentito per lungo tempo ingenti acquisti azionari mediante i quali sarebbe stata creata l’apparenza di una maggiore solidità patrimoniale della banca anche in violazione dei presidi posti a tutela degli investitori.
In relazione ai fatti sopra è stato avviato dalla Divisione RAGIONE_SOCIALE Ufficio Prospetti Non -Equity con lettera del 4 aprile 2016 procedimento sanzionatorio per la violazione del predetto articolo 94, comma 2, del TUF, per la mancata rappresentazione, nella relativa documentazione di offerta delle obbligazioni della
Banca, di informazioni concernenti la sussistenza, l’entità e gli effetti del ‘Capitale finanziato’, inteso come fattispecie in relazione alla quale i clienti della BPVi hanno impiegato -per la sottoscrizione degli aumenti di capitale nonché per l’acquisto di azioni della Banca, nel periodo 1° gennaio 2012 -28 febbraio 2015 -somme rivenienti da finanziamenti erogati da quest’ultima correlati alla sottoscrizione o all’acquisto delle relative azioni. La contestazione è stata notificata a tutti i membri del Consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della Banca, oltre che al Direttore Generale, al Vicedirettore Generale e alla stessa Banca, in qualità di responsabile in solido con gli autori della violazione.
La Commissione, sulla base delle risultanze istruttorie e valutate le deduzioni presentate, ha ritenuto accertata la violazione contestata e sopra descritta, adottando la menzionata delibera n. 19933 del 30 marzo 2017 con la quale ha applicato COGNOME NOME -in qualità di membro presidente del Consiglio di amministrazione – la sanzione pecuniaria di euro 40.000,00.
Avverso la detta delibera la NOME COGNOME ha proposto opposizione alla Corte d’Appello di Venezia con atto notificato alla Consob il 30 maggio 2017; all’esito della discussione orale, la Corte di merito, definitivamente pronunciando, ha respinto l’opposizione, con la sentenza n. 84 del 6 giugno 2018.
In data 2 gennaio 2019, NOME COGNOME ha notificato alla Consob un ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, chiedendone l’annullamento sulla base di tre motivi.
La Consob resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
a) Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 195, comma 1, d.lgs. n. 58/1998 (TUF), in ragione della tardività dell’esercizio della potestà sanzionatoria e della conseguente decadenza di Consob dal potere sanzionatorio per decorso del termine posto dall’art. 195, comma 1, d.lgs. n. 58/1998.
La decorrenza del termine di 180 giorni per avviare il procedimento, diversamente da quanto riconosciuto dalla Corte d’appello, non decorreva dal 24 febbraio 216, ma dal 17 settembre 2015, risultando intempestiva la contestazione effettuata il 4 aprile del 2016, decorsi 199. In verità, corte di merito ha ritenuto tempestiva la contestazione in termini assoluti, anche nel caso in cui si volesse assumere come termine iniziale il 17 settembre 2015, avuto riguardo al tempo occorrente all’amministrazione per il compiuto accertamento dei fatti.
L’una e l’altra affermazioni sarebbero censurabili, in quanto operate in assenza di una adeguata verifica in fatto della reale essenzialità delle acquisizioni operata dopo il 17 settembre, essendoci inoltre una pluralità di elementi da cui si desumeva che la Consob era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato già dalla fine del mese di giugno 2015.
a)1 . ─ Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, sia in generale, sia con specifico riguardo proprio alle condotte dei componenti il consiglio d’amministrazione della Banca popolare di Vicenza, sanzionate con la stessa delibera Consob n. 19934/17, che «in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte
della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Cass. n. 21171/2019), competendo (cfr. Cass. n. 27405/2019) al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato. Infatti, (cfr. Cass. n. 8687/2016) solo l’assoluta carenza di motivazione in merito a tale verifica permette al giudice di legittimità di sindacare l’operato del giudice di merito, occorrendo però ribadire che (Cass. n. 21171/2019) la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenendo altresì conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, dovendo la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio “ex ante”, restando irrilevante la loro inutilità “ex post” (conf. Cass. n. 9254/2018)» (v. n. 1741/22). Il relativo apprezzamento di merito è stato operato dalla Corte distrettuale, la quale ha osservato che «alle acquisizioni di documenti effettuate dagli ispettori il 30 aprile 2014, l’8 maggio 2015, il 30 giugno 2015, il 24 luglio 2015 e il 17 settembre 2015 (…) hanno fatto seguito le ulteriori acquisizioni in data 20 ottobre
2015 (…), 20 gennaio 2016 (…) e 24 febbraio 2016 (…). La corte veneta, dopo avere identificato e descritto i documenti acquisiti dopo il 17 settembre 2015, ha opinato «che il materiale probatorio raccolto dall’autorità di vigilanza non era sufficiente a fornire un esaustivo quadro probatorio della violazione di cui si controverte, senza che fossero acquisiti gli ulteriori numerosi dati di cui gli ispettori della Consob sono venuti solo successivamente in possesso. Ciò anche in ragione della correlazione di tale accertamento ad altre violazioni emerse all’esito dell’indagine ispettiva conclusasi con il deposito della relazione ispettiva in data 25.2.216. La contestazione contenuta nella lettera dl 4 aprile 2016 risulta, quindi, tempestiva».
Dunque, non solo tale apprezzamento di fatto è insindacabile in questa sede di legittimità (altro essendo l’omesso esame di fatti discussi e decisivi, contemplato dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c.), ma è altresì metodologicamente erroneo pretendere che la valutazione in termini di necessità o di superfluità degli ultimi documenti raccolti sia operato con un giudizio ex post e non, come innanzi s’è detto, ex ante.
b) Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 94, comma 2 e comma 8, e 191, comma 1 ( sic! ), TUF, nonché dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ossia -tra l’altro che la delega alla redazione del prospetto era conferita ad altri soggetti.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha riconosciuto sussistente, nei confronti dell’attuale ricorrente, l’elemento soggettivo della violazione.
Secondo il ricorrente la normativa di riferimento, in materia di prospetti, non solo impone di identificare il soggetto responsabile
nel solo emittente, quindi la Banca, ma richiede, al fine dell’integrazione dell’elemento soggettivo della violazione, la sussistenza del dolo. Il ricorrente, invece, è stato ritenuto responsabile solo a titolo di colpa, per avere solamente firmato un documento redatto dai tecnici della divisione mercati per conto della Banca. Invero, la delega per la predisposizione dei prospetti era stata conferita ad altri soggetti, i quali avevano predisposto i documenti che il ricorrente aveva sottoscritto in forza del proprio ruolo sulla base di ciò che era a lui noto in quel momento; e ciò che in quel momento era conosciuto o conoscibile con l’uso di ogni diligenza – non includeva il fatto che alcuni alti dirigenti della banca stavano compimento e occultando attività non corrette all’interno della banca.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981 e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in quanto, pur prendendo in considerazione le circostanze pacificamente emerse relativamente alle pressioni della rete e all’occultamento agli organi della Banca, la Corte ha ritenuto (erroneamente) carente la buona fede in capo al cav. COGNOME ed evincibile l’elemento soggettivo della colpa.
Si sostiene che la Corte d’appello, nonostante sia partita dal richiamo di principi giurisprudenziali esatti, non ha poi applicato in modo corretto i medesimi principi, in presenza di una pluralità di elementi da cui risultava che l’attuale ricorrente non aveva avuto alcuna possibilità di avere cognizione del fenomeno, che era stato occultato agli organi di controllo, che non avevano mai segnalato alcunché al Consiglio di amministrazione.
Parte ricorrente (oltre a rinviare ai propri scritti difensivi precedenti la decisione) richiama, in particolare il verbale della divisione
Internal Audit del 28 agosto 2015 e alla relazione per la commissione redatta dalla stessa Consob, che darebbero il quadro di un vero e proprio occultamento dell’attività, posto in essere, in particolare, dai funzionari COGNOME e COGNOME sempre e soltanto attraverso mail interne, che sfuggivano al controllo del collegio sindacale e del C.d.A.
b-c)1. ─ I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Nessuna violazione di lege e nessun omesso esame inficia la sentenza impugnata. Richiamato il principio che la mera ripartizione dei compiti su cui punta il ricorrente è del tutto irrilevante ad escludere o anche ad attenuare la riferibilità delle violazioni al Presidente del Consiglio di amministrazione, fondata sul dovere «agire in modo informato», che fa carico anche agli amministratori non esecutivi e pur quando non siano titolari di deleghe (Cass. n. 19556/2020; Cass. n. 24851/2019), occorre premettere che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’art. 190 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, individuando una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, àncora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., S.U., n. 20930/09). Ciò
posto, quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 legge n. 689/81, va rilevato che per sua stessa definizione la violazione di legge non può mai derivare dall’erroneo o dal carente apprezzamento delle risultanze istruttorie. Del tutto ferma è la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, c.p.c. deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (così, a partire dalla n. 16132/05 fino alla n. 16038/13). Pertanto, è inammissibile la censura che -come nel caso che qui ne occupa -pretenda di dimostrare la violazione o falsa applicazione di legge sulla base dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dal giudice di merito, sol perché non conforme alle aspettative della parte. Relativamente al dedotto omesso esame, va osservato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (cfr. Cass. n. 2268/22). Tale fatto storico,
inoltre, deve essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), con la conseguenza che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415/18). Nella specie, la sentenza impugnata ha specificamente esaminato l’assunto dell’opponente circa la non conoscibilità delle sistematiche operazioni di finanziamento alla clientela, ritenendo che l’assunto trovasse indubbia smentita nei fatti. Ha quindi passato in rassegna gli elementi istruttori, che l’attuale ricorrente «fu certamente edotto dal 28.4.2015 del fenomeno del capitale finanziato, ma neppure allora si attivò . E ciò senza tenere conto che già prima del 28.4.2015 vi è prova che lo Zonin fosse (o potesse) essere a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato», richiamando a questo fine un documento del 23 giugno 2014, «portato a conoscenza dello Zonin, sottolineando come il medesimo fosse presente ogni qual volta il CdA deliberò operazioni di vendita sulle proprie azioni.
A fronte di tali elementi, giudicati dalla Corte veneta direttamente dimostrativi dell’elemento soggettivo dell’illecito, le deduzioni di parte ricorrente non eccedono la soglia delle controdeduzioni di puro merito, pretendendo di riproporre in sede di legittimità il giudizio sul fatto.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in € 6.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione il 13/02/2025.
Il Presidente NOME COGNOME