Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25898 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 25898 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 23780/2020 proposto da:
NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Ricorrenti –
contro
CONSOB, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) , dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente – avverso la sentenza della corte d ‘ appello di Milano n. 5024/2019 depositata il 16/12/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 22 maggio 2025.
Sanzioni Consob
Udito il Sostituto Procuratrice Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME Udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Consob, con delibera n. 20560 del 02 agosto 2018, sanzionò ai sensi dell’art. 190 TUF la Sofia Gestione del Patrimonio RAGIONE_SOCIALE (‘Sofia’ o ‘SGR’) per varie violazioni del medesimo testo unico, ossia per essersi dotata di un processo decisionale inidoneo e inefficace, in quanto privo della capacità di indirizzare e controllare le scelte di investimento effettuate per conto dei patrimoni gestiti su base individuale e collettiva (violazione A), per aver omesso di adottare misure idonee a garantire l’individuazione e la gestione dei conflitti di interessi potenzialmente pregiudizievoli per la clientela (violazione B), per aver omesso di adottare misure efficaci per la trasmissione degli ordini di compravendita di strumenti finanziari, con conseguente trasmissione degli ordini a condizioni meno favorevoli per gli investitori (violazione C), per avere omesso di dotarsi di procedure idonee a garantire il corretto svolgimento dei servizi di investimento (violazione D), per avere tenuto comportamenti non corretti nella gestione dei reclami (violazione E).
A i sensi dell’art. 190 -bis TUF, per quanto qui rileva, a NOME COGNOME, presidente del CdA dal 27 luglio 2015 al 5 luglio 2017, al quale, in applicazione del cumulo giuridico, furono irrogate la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 85.000 e la sanzione accessoria dell’interdizione dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo per il periodo complessivo di 20 mesi, per le violazioni sub A,B,C; ad NOME COGNOME consigliere d’amministrazione e responsabile della funzione di revisione interna dal 27 luglio 2015 al 5 luglio 2017, per le stesse violazioni, la
sanzione amministrativa pecuniaria di euro 85.000 e la sanzione accessoria interdittiva per il periodo complessivo di 20 mesi, a NOME COGNOME responsabile della funzione di compliance nel periodo dal 25 agosto 2015 al 5 luglio 2017, per le stesse violazioni, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 47.000 e la sanzione accessoria interdittiva per il periodo complessivo di 12 mesi.
I destinatari del provvedimento della Commissione hanno proposto opposizione alla corte d’appello di Milano e hanno chiesto l’annullamento delle sanzioni; la corte d’ appello, nel contraddittorio della Consob, ha respinto la domanda e ha condannato gli opponenti alle spese.
Questi, in breve, per quanto qui di rilievo in relazione ai motivi di ricorso per cassazione, i punti chiave della decisione: (i) sussiste il profilo oggettivo de ll’illecito di cui all’art. 190 -bis TUF, illecito di pericolo astratto, per la cui integrazione è sufficiente una condotta potenzialmente pericolosa. Con la precisazione che, nel caso di specie, i clienti della RAGIONE_SOCIALE hanno subito perdite effettive come accaduto, a titolo esemplificativo, per l’investimento operato dalla società nelle ‘Note RAGIONE_SOCIALE i l cui andamento è stato peggiore rispetto al basket di strumenti finanziari sottostanti. Inoltre, le condotte degli opponenti hanno inciso sull’organizzazione aziendale, basti pensare alle indebite ingerenze nella gestione della società, accertate da ll’autorità di vigilanza, ad opera di soggetti (sig.ri COGNOME e COGNOME) legati alla società da rapporti di collaborazione/agenzia, che hanno determinato l’omessa verifica delle condizioni di trasmissione degli ordini di acquisto (violazione C). In particolare, è stato stabilito che COGNOME ha presentato osservazioni alla direzione generale sulla bozza del piano di verifiche predisposta dalla funzione di revisione interna, presieduta da COGNOME suggerendo con successo di eliminare dal piano la verifica della cd.
best execution in quanto il ricorso quasi esclusivo a UBS per la negoziazione degli strumenti finanziari avrebbe comunque garantito il rispetto della normativa; (ii) sussiste la violazione A -diligenza e correttezza nella prestazione dei servizi di gestione di portafogli. Vero è che, come sostengono gli opponenti, al consiglio di amministrazione non spetta decidere i singoli investimenti, ma in base al modello organizz ativo dell’ente il CdA deve comunque indicare gli obiettivi e le strategie di investimento (su proposta del comitato investimenti). Nella specie, è stato accertato che l’organo amministrativo si è limitato a recepire in maniera acritica le indicazioni del comitato investimenti, come accaduto, ad esempio, per l’operatività su alcuni fondi di investimento alternativi di diritto estero, ad alto rischio, inseriti nei patrimoni gestiti in assenza dei requisiti per l’investimento ; donde la prova della notevole scorrettezza e negligenza degli amministratori; (iii) sussiste la violazione B -mancata identificazione e gestione delle situazioni di conflitto di interessi -con specifico riferimento agli investimenti operati in alcuni OICR, gestiti direttamente da Sofia Spa o nei confronti dei quali la società svolgeva attività di consulenza o ancora che detenevano partecipazioni della SGR sanzionata; (iv) sussiste la violazione C -adozione di misure inefficaci per la trasmissione degli ordini di investimento. Infatti, nel periodo oggetto di indagine (dal 1° gennaio 2016 al 5 luglio 2017), gli ordini riguardanti il servizio di investimento di gestione di portafogli sono stati trasmessi quasi esclusivamente ad una delle controparti approvate dal CdA, ossia alla UBS Italia Spa, la quale svolgeva anche il ruolo di executing broker , ed applicava commissioni molto più alte rispetto agli altri operatori, circostanza, questa, che era stata inutilmente segnalata con una serie di mail da COGNOME responsabile della business unit asset management and advisor della Sofia Spa; (v) le sanzioni pecuniarie sono congrue nel
quantum in base ai criteri di legge (artt. 11 della legge n. 689 del 1981 e 194-bis TUF), e la sanzione accessoria interdittiva, disciplinata dall’art. 190 -bis, inserito nel testo unico con d.lgs. n. 72 del 2015, applicabile , ai sensi dell’art. 6 del medesimo decreto, solo a far data dall’8 marzo 20 16, è stata correttamente irrogata in quanto le condotte contestate si collocano sia prima che dopo la data dell’8 marzo 2016 e si tratta di illeciti omissivi permanenti, e per di più è sorretta da adeguata motivazione connessa alle posizioni apicali dei trasgressori e alla sussistenza del requisito del grave pregiudizio per i clienti e dell ‘incidenza delle condotte sull’organizzazione aziendale; (vi) non sono fondate le censure in punto di illegittima applicazione retroattiva dell’interdizione temporanea che, diversamente da quanto affermano gli opponenti, non deriva dalla direttiva 2014/65/UE (MiFID II), relativa ai mercato degli strumenti finanziari, ma ha la propria fonte di diritto europeo nella direttiva 2013/36, in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento. Quest’ultima direttiva – recepita con legge delega n. 154 del 2014, da cui è scaturito il d.lgs. n. 72 del 2015 (entrato in vigore in data 8 marzo 2016, ben prima della cessazione, nel luglio 2017, delle condotte permanenti sanzionate) che ha intro dotto l’art. 190-bis TUF, il cui terzo comma prevede le misure interdittive per le persone fisiche, nella specie applicate dalla Consob ai ricorrenti -che disciplina ratione materiae la vicenda in esame, dedic a un’apposita sezione (la IV sezione) al potere sanzionatorio delle autorità di vigilanza e al diritto al ricorso dei soggetti sanzionati. In particolare, l’art. 67 comma 2 lett. d) della direttiva si prescrive agli Stati membri di assicurare che le sanzioni irrogate alle persone fisiche includano anche ‘ l’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni in seno a enti a carico di un membro dell’organo di gestione dell’ente o di altre persone fisiche considerati responsabili ‘ , dizione ampia che include
sia i componenti dell’organo di gestione sia quelli dell ‘organo di controllo.
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
La Consob ha resistito con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che il ricorso sia respinto.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 190bis comma 1 TUF, 2727 e 2728 c.c.: è errato l’enunciato della sentenza impugnata secondo cui la condizione di punibilità degli illeciti amministrativi contestati ai ricorrenti sarebbe rappresentata dal pregiudizio presunto per gli investitori. In realtà, spiegano i ricorrenti, l’art. 190 -bis TUF prevede un grave pregiudizio effettivamente provocato agli investitori, pregiudizio la cui prova è a carico dell’autorità , la quale ha omesso tale adempimento.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 190-bis comma 1 e 195 comma 1 TUF e l’assenza assoluta di motivazione in ordine alle violazioni A e C, nonché in punto di gravità del pregiudizio.
Si lamenta che, quanto alle violazioni A e C, la sentenza non spende una parola al fine di dimostrare l’esistenza di un grave pregiudizio per gli investitori, inteso come misura della perdita subita dai risparmiatori per i maggiori costi di investimento, e si aggiunge che la Consob non ha mai accertato perdite e che, a causa della non corretta esegesi del dato normativo (censurata con il primo motivo), ha ritenuto sufficiente il mero pericolo astratto.
Il primo e il secondo motivo, suscettibili di esame congiunto per connessione, sono infondati.
Prima occorre inquadrare la fattispecie dal punto di vista normativo e giurisprudenziale: nella versione ratione temporis vigente, l’art. 190 bis (‘Responsabilità degli esponenti aziendali e del personale per le violazioni in tema di disciplina degli intermediari, dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari’) TUF, come modificato dall’art. 5 del d.lgs. 72 del 12/05/2015, in vigore dal 27/06/2015, al primo comma, dispone che: « Fermo restando quanto previsto per le società e gli enti nei confronti dei quali sono accertate le violazioni, per l’inosservanza delle disposizioni richiamate dagli articoli 188, 189 e 190, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila fino a cinque milioni di euro nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché nei confronti del personale, quando l’inosservanza è conseguenza della violazione di doveri propri o dell’organo di appartenenza e ricorrono una o più delle seguenti condizioni: la condotta ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero ha provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l ‘ integrità ed il corretto funzionamento del mercato ».
La Cassazione ha enunciato il principio di diritto per il quale, in tema di intermediazione finanziaria, la fattispecie d’illecito di cui all’art. 190 -bis comma 1 lett. a) TUF, essendo posta a presidio della tutela del risparmiatore dal pericolo astratto di pregiudizio, non richiede che sia provato il danno da esso concretamente subito, ragion per cui, ai fini della punibilità, è sufficiente dimostrare la potenziale pericolosità della condotta, la quale deve essere improntata a correttezza e trasparenza, onde evitare detto rischio (Sez. 2, Sentenza n. 18675 del 03/07/2023, Rv. 668394 -01; in termini, Cass. nn. 1323/2024, 1324/2024, 28619/2024, 7139/2025).
Cass. n. 1324/2024 (punto n. 5 della motivazione) evidenzia che: « Questa Corte ha già avuto modo di precisare che: ‘In tema di intermediazione finanziaria, la sanzione amministrativa conseguente alla violazione degli artt. 40 comma 1 lett. a), e 190 del d.lgs. n. 58 del 1998 non richiede, per la sua applicazione, l’effettivo verificarsi del danno che, al più, può costituire un parametro da considerare ai fini della quantificazione della sanzione medesima, versandosi in presenza di illeciti di c.d. ‘mera trasgressione’, relativamente ai quali occorre unicamente avere riguardo alla condotta in concreto tenuta ed alla sua potenziale idoneità a pregiudicare l’interesse dei partecipanti, sebbene, poi, il pregiudizio non si sia manifestato’ (Cass. n. 9126 del 2017, Cass. n. 14152 del 2022). Il principio trova applicazione anche con riferimento all’art 190 -bis T.U.F., norma anch’essa posta a presidio del corretto espletamento del servizio di intermediazione finanziaria a tutela non solo del singolo investitore ma dell’intero mercato e dell’affidamento che i potenziali investitori debbono nutrire circa la correttezza delle regole procedimentali ».
Passando dal piano concettuale all’esame dei primi due motivi, come sopra accennato (v. punto 2 dei ‘Fatti di causa’ ), la corte d’appello – la cui ricostruzione in fatto delle condotte addebitate ai ricorrenti è un punto fermo ai fini della verifica della sussistenza o meno dei prospettati errores in iudicando -applica bene queste disposizioni e questi principi di diritto lì dove (v. pag. 6 della sentenza), disattendendo il primo motivo di appello, ravvisa i presupposti per sanzionare gli esponenti aziendali perché, spiega il giudice distrettuale, l’art. 190 -bis TUF delinea un illecito di pericolo astratto, per la cui integrazione è sufficiente una condotta potenzialmente pericolosa.
Dopo avere premesso -correttamente -che le violazioni di cui rispondono gli opponenti (artt. 21, 35-decies, TUF, disposizioni del
regolamento congiunto Banca d’Italia/Consob e del regolamento intermediari) sono illeciti di pericolo astratto, la sentenza aggiunge un’altra considerazione, che postula un giudizio di fatto che non compete alla S.C. sindacare, cioè che, comunque, i risparmiatori hanno subito perdite effettive, come accaduto, a titolo esemplificativo, per l’investimento operato dalla SGR nelle obbligazioni strutturate cd. ‘RAGIONE_SOCIALE‘, il cui andamento è stato peggiore rispetto al basket di strumenti finanziari sottostanti.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 190-bis e 195bis TUF e l’assenza di motivazione della sentenza in relazione ai comportamenti dei ricorrenti incidenti in modo rilevante sulla complessiva organizzazione.
Si lamenta che la corte d’appello , senza motivare sul punto, e nonostante che la delibera sanzionatoria della Consob non recasse una simile contestazione, ha ravvisato in capo agli opponenti anche il requisito di punibilità ex art. 190-bis comma 1 lett. a), alternativo alla condotta che ha provocato un grave pregiudizio agli investitori, consistente nella ‘ condotta che ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione ‘ della SGR, quale illecito che l’autorità di vigilanza ha contestato ad altri esponenti aziendali (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME) e che invece non ha contestato ai ricorrenti.
5. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ‘ ad abundantiam ‘ o costituenti ‘ obiter dicta ‘ , poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Sez. L, Sentenza n. 22380 del 22/10/2014, Rv. 633495 01).
Per la corte di merito le violazioni sono fondate perché le condotte degli opponenti hanno causato ai clienti perdite effettive. Considerazione, questa, che, secondo l’ar t. 190-bis comma 1 lett. a) TUF, è sufficiente a configurare la responsabilità dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione e controllo nell’ambito (tra le altre) delle società di gestione del risparmio.
Stabilito che la sentenza afferma che le violazioni si sono perfezionate in presenza di una delle due condizioni alternative di punibilità, è certo che non sussiste un interesse dei ricorrenti ad impugnare l’inciso della sentenza secondo cui gli illeciti si sono perfezionati anche con riferimento alla condizione – alternativa a quella del grave pregiudizio per gli investitori della ‘rilevante incidenza della condotta sulla complessiva organizzazione’ , che, secondo la prospettazione dei ricorrenti, non è menzionata dal provvedimento sanzionatorio.
Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 20 e 28 reg. UE 231/2013, artt. 45, 48 e 60 reg. Consob 16190/2007 e 2697 c.c.: l’illegittima inversione dell’onere della prova in relazione alla violazione C sulla best execution .
Sulla premessa che spettava alla Consob dimostrare che il negoziatore USB (una delle ‘massime banche del mondo’) alla quale la SGR aveva affidato l’esecuzione degli ordini di acquisto, ‘costasse troppo’, si lamenta che la corte distrettuale, ribaltando l’onere della prova sugli incolpati, avrebbe giudicato ‘assolutamente indimostrati i maggiori oneri cui sarebbero stati sottoposti i clienti in caso di trasmissione degli ordini a un soggetto diverso da UBS, così come i vantaggi di cui essi avrebbero beneficiato in conseguenza della scelta in concreto effettuata’.
7. Il motivo è infondato.
In merito alla violazione C, in punto di trasmissione degli ordini di investimento a condizioni meno favorevoli per i risparmiatori, la sentenza (v. pag. 13) riconosce che Consob ha dato prova della sussistenza della violazione poiché è stato dimostrato che gli ordini venivano trasmessi quasi esclusivamente alla UBS, la quale applicava ‘commissioni molto più elevate rispetto alle altre controparti’. Dopodiché, senza infrangere il criterio di riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., il giudice di merito soggiunge che la società non ha fornito la prova contraria idonea a neutralizzare l’incolpazione , nel senso che non ha dimostrato che i clienti avrebbero sopportato oneri maggiori se gli ordini di investimento fossero stati trasmessi a soggetti diversi da UBS.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 5 e 190-bis comma 3 TUF , dell’art. 25 Cost. e dell’art. 1 legge n. 689 del 1981: illegittima applicazione retroattiva della sanzione dell’interdizione temporanea.
La tesi dei ricorrenti è così argomentata: (a) le violazioni contestate attengono alla materia dei servizi di investimento cui si riferiscono la direttiva 2004/39/CE (MiFID) e la direttiva 2014/65/UE (MiFID II) e non attengono alla materia dei requisiti prudenziali di stabilità disciplinati dalla direttiva 2013/36/UE (CRD IV); (b) nell’arco temporale delle presunte violazioni (luglio 2015-luglio 2017), la direttiva MiFID II non era stata ancora recepita dalla normativa interna: infatti, tale recepimento, previsto dalla legge delega n. 114 del 2015, è stato attuato con d.lgs. n. 129 del 3 agosto 2017, ossia in epoca successiva ai fatti oggetto del giudizio ; (c) l’art. 190 -bis comma 3 TUF che prevede la sanzione interdittiva è stato introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015, attuativo della legge delega n. 154 del 2014, che riguarda il recepimento della direttiva 2013/36/UE (CRD IV), la quale ha per oggetto il coordinamento delle disposizioni
nazionali relative all’accesso all’attività degli enti creditizi e delle imprese di investimento, la loro governance , i requisiti prudenziali degli stessi enti e imprese e il relativo quadro di vigilanza, ma non si occupa del servizio di gestione di patrimoni, dei conflitti di interessi nell’attività di investimento per conto dei clienti, e della trasmissione degli ordini di negoziazione da parte del gestore (che sono le tre materie alle quali si riferiscono le violazioni oggetto dell’impugnata delibera sanzionatoria); (d) non vi è dubbio, da un lato, che il legislatore delegato del 2015 abbia voluto introdurre la ‘ sospensione temporanea dall’incarico’ soltanto per le violazioni derivate dalla direttiva CRD IV e che la legge delega non prevedesse l’estensione della misura interdittiva a violazione di norme sui servizi di investimento ; dall’altro, che soltanto con il d.lgs. n. 129 del 2017 può ritenersi legittimante introdotta nell’ordinamento interno la sanz ione interdittiva prevista dall’art. 70 della direttiva MiFID II.
La conclusione del ragionamento è che applicare, come ha fatto la Consob, la sanzione interdittiva ad ambiti normativi governati da direttive il cui recepimento non era oggetto di legge delega e fuori dal coordinamento riguardante le sole sanzioni pecuniarie significa attribuire al d.lgs. n. 72 del 2015 una forza innovativa che il legislatore delegato non poteva vantare ed implica, in ultima analisi, un ‘ evidente violazione del principio di legalità.
9. Il motivo è infondato.
L ‘art. 1 della legge 7 ottobre 2014 n. 154 ha attribuito al Governo la delega per recepire, tra le altre, la direttiva 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, «sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento».
La direttiva 2013/36/UE si rivolge sia agli enti creditizi che, come si desume fin dal primo «considerando», alle imprese di investimento,
tra le quali rientra la società RAGIONE_SOCIALE (v. Sez. 2, Sentenza n. 15352 del 31/05/2023, Rv. 667967 -02, relativa all’opposizione volta dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME, consulente della società, contro la delibera Consob n. 20560/2018).
È stato affermato (v. Sez. 2, Sentenza n. 1323 del 12/01/2024, Rv. 669930 -01, anch’essa in tema di impugnazione della delibera n. 20560 del 2018; in termini, Cass. n. 15366/2023) che, in tema di sanzioni amministrative irrogate dalla Consob, deve ritenersi che la direttiva (UE) 2013/36/UE del 26 giugno 2013, come pure il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, emesso in forza della legge n. 154 del 2014, che ha introdotto l ‘ art. 190-bis del TUF, si applichino non solo agli istituti di credito, ma anche alle società di investimento, fra le quali rientrano anche le società di gestione collettiva del risparmio (RAGIONE_SOCIALE).
La direttiva contiene specifiche disposizioni rivolte alle imprese di investimento (v. art. 29 sul capitale iniziale) e introduce principi di vigilanza prudenziale (capo I) sia sugli enti creditizi che sulle imprese di investimento.
L’art. 5 co mma 5 d.lgs. 12 maggio 2015 n. 72, emesso in forza della legge delega n. 154 del 2014 (elemento, questo, che pone la disposizione al riparo dalla prospettazione del vizio di eccesso di delega) ha introdotto l’art. 190-bis TUF, il cui comma 3, nella versione originaria, prevedeva la sanzione amministrativa accessoria di cui si discute dell’interdizione « per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso intermediari autorizzati ai sensi del presente decreto legislativo, del decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 395, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, o presso fondi pensione ».
Per l’ art. 3 comma 1 lett. n) legge n. 154 del 2014, n ell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva 2013/36/UE , il Governo è tenuto ad « attribuire alla Banca d’Italia e alla Consob, nel rispetto del vigente riparto di competenze, il potere di adottare le misure previste dalla direttiva 2013/36/UE relative alla sospensione temporanea dall’incarico » e l’art. 67 co mma 2 lett. d) della stessa direttiva comprende specificamente l’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni a carico dell’organo di gestione dell’ente o di altre persone fisiche responsabili, sicché, in definitiva, al contrario di quanto si afferma in ricorso, il d.lgs. n. 72 del 2015 si è limitato a dare attuazione alla delega.
Infine, non è persuasiva la tesi dei ricorrenti in punto di pretesa illegittima applicazione retroattiva del d.lgs. n. 129 del 2017, trattandosi di una normativa che non risulta neppure citata dal provvedimento sanzionatorio.
10. Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 190-bis comma 3, 195 comma 1 TUF, e dell’art. 74 della direttiva MiFID II : la sentenza sarebbe viziata per non avere rilevato che il provvedimento sanzionatorio era privo della necessaria motivazione con riferimento a ll’applicazione della sanzione interdittiva, la quale non consegue in maniera automatica alla sanzione pecuniaria ma necessita di una specifica e rigorosa motivazione.
11. Il motivo è infondato.
Al contrario di quanto si rappresenta in ricorso, non vi è stato alcun automatismo n ell’applicazione della sanzione interdittiva; infatti, la corte territoriale spiega (v. pag. 19 della sentenza) che la Consob ha legittimamente inflitto la sanzione interdittiva tenuto conto delle posizioni apicali dei soggetti responsabili delle violazioni e della gravità delle loro condotte illecite.
12. Il settimo motivo denuncia la violazione degli artt. 194-bis TUF e 115 comma 1 c.p.c. e l’omesso esame della capacità economica di COGNOME
L a corte d’appello non avrebbe esaminato la specifica posizione di COGNOME che aveva documentato la propria capacità finanziaria -connessa alla retribuzione annua lorda di euro 15.000 -inconciliabile con la sanzione pecuniaria applicata, pari a euro 85.000, da ritenersi, conseguentemente, sproporzionata.
13. Il motivo è infondato.
In disparte la prospettabile inammissibilità della censura, che oltre a stigmatizzare un errore di diritto pare altresì alludere, in maniera poco chiara, alla violazione del parametro del n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., rileva la Corte che il giudice di merito, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, ha ritenuto congrua l’entità della sanzione alla luce dei criteri di legge , con specifico riferimento alla gravità delle violazioni, alla durata degli illeciti, al grado di responsabilità dei trasgressori e (per quanto qui interessa) alla loro ‘capacità finanziaria’.
Né si può trascurare che, per la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di adeguatezza e proporzionalità della sanzione amministrativa è rimesso dalla legge alla discrezionalità del giudice di merito, che ha il potere di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti dalla disposizione applicata, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, con conseguente insindacabilità della relativa valutazione in sede di legittimità (Cass. n. 19856/2024 che, in motivazione, richiama Cass. n. 4844/2021; Cass. nn. 5526/2020, 9126/2017; in termini, Cass. nn. 11481/2020, 10277/2024; 32010/2024; 9018/2025).
In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
16 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 8.500, a titolo di compenso, più euro 200, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 22 maggio 2025.
Il Consigliere est.
La Presidente NOME COGNOME
NOME Guida