Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26571 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26571 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1176/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
BANCA D’ITALIA, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) dell’Avvocatura della stessa Banca ed elettivamente domiciliata presso i medesimi in INDIRIZZO, INDIRIZZO;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 169/2018, depositato il 25/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
Con delibera dell’8 aprile 2014 Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 195 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), ha irrogato a NOME COGNOME, sindaco della società RAGIONE_SOCIALE dal 29 marzo 2007 al 18 ottobre 2012, la sanzione pecuniaria di euro 58.000 per ‘carenze nei controlli da parte di componenti del disciolto collegio sindacale’ della RAGIONE_SOCIALE, posta in liquidazione coatta amministrativa nel maggio 2013 ‘per irregolarità nell’amministrazione e violazioni normative di eccezionale gravità’.
NOME COGNOME ha proposto opposizione al provvedimento sanzionatorio alla Corte d’appello di Genova. Con ordinanza n. 46/2015, la Corte ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 195, comma 7 TUF, nella parte in cui prevedeva che, sulle opposizioni alle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia, la Corte d’appello decidesse in camera di consiglio e non in pubblica udienza e, disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ha sospeso il processo. Con ordinanza n. 158/2017, il giudice delle leggi, in considerazione delle modifiche normative sopravvenute, con effetti anche sui giudizi pendenti, ha restituito gli atti alla Corte d’appello affinché valutasse le conseguenze di tali modifiche sui giudizi pendenti. Il processo veniva riassunto e la Corte d’appello, dopo avere preliminarmente osservato che ‘l’intervento legislativo, attraverso le disposizioni transitorie, ha posto rimedio ai rilevati problemi di compatibilità della procedura prevista dall’art. 195 del d.lgs. 58/1998 con i principi stabiliti dall’art. 6 della Convenzione per i
diritti dell’uomo’, ha respinto l’opposizione con decreto n. 169/2018.
Avverso il decreto NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso la Banca d’Italia.
L’intimata NOME non ha proposto difese.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo si ripropongono le eccezioni di incostituzionalità dell’art. 195 TUF ritenute manifestamente infondate dalla Corte d’appello di Genova, e in particolare la questione relativa alla attribuzione alla Corte d’appello della funzione di giudice dell’opposizione al provvedimento sanzionatorio, con irragionevole limitazione della tutela giurisdizionale a un solo grado di merito, trattandosi di sanzioni sostanzialmente penali, che vengono irrogate dallo stesso organo che ha posto le norme di procedura e ha effettuato l’istruttoria; la riduzione delle garanzie della difesa nel procedimento di opposizione alle sanzioni non sarebbe poi proporzionata rispetto ad altri fini costituzionalmente determinati, in quanto l’attività sanzionatoria viene spesso posta in essere a distanza di molto tempo rispetto alla violazione, così che non svolge la funzione di tutelare interessi immediati del mercato che una tutela giurisdizionale piena potrebbe rallentare o vanificare.
Il motivo è infondato. La denunciata illegittimità costituzionale della limitazione della tutela giurisdizionale a un grado di merito è motivata dalla natura penale della sanzione irrogata al ricorrente, natura penale che nella sua ricostruzione sarebbe stata riconosciuta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alla generalità delle ‘sanzioni applicate ai sensi dell’art. 195 TUF’ e al proposito menziona la sentenza 4 marzo 2014, COGNOME e altri c. Italia. Tale presupposto è erroneo: nella pronuncia COGNOME la Corte europea si è occupata delle sanzioni irrogate dalla CONSOB
per l’illecito di manipolazione del mercato e tali sanzioni, per la loro natura e per il loro livello di gravità, ha qualificato come sostanzialmente penali alla luce dei criteri fissati nella propria precedente pronuncia 8 giugno 1976, RAGIONE_SOCIALE e altri c. Paesi Bassi. Come ha affermato svariate volte questa Corte (si vedano per tutte Cass. n. 4/2019 e Cass. n. 19219/2016), le conclusioni cui è pervenuta la Corte europea dei diritti nella citata pronuncia NOME COGNOME non sono estensibili alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia, comprese quelle, quali quelle per cui è causa, irrogate ai sensi dell’art. 190 TUF per “carenze nei controlli da parte di componenti ed ex componenti il disciolto collegio sindacale”. D’altro conto il ricorrente nulla specificamente deduce in ordine alla natura e al livello di gravità della sanzione ad egli inflitta, limitandosi -come già si è detto -a parlare di natura penale per la generalità delle sanzioni amministrative inflitte ai sensi dell’art. 195 TUF.
2. Il secondo motivo lamenta, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la ‘Corte d’appello omesso l’esame delle conseguenze che derivavano sul processo a seguito dell’entrata in vigore della disposizione transitoria prevista dal d.lgs. 72/2015, come richiesto dalla Corte costituzionale, questione subordinata di costituzionalità’. La Corte d’appello non avrebbe colto la portata della riforma richiamata, in quanto debbono sussistere nell’ambito del procedimento in pubblica udienza le seguenti condizioni: deve essere soddisfatto il requisito della giurisdizione piena, ossia il giudice deve avere il potere di annullare la sanzione, e il procedimento deve assicurare alla parte la piena tutela del diritto al contraddittorio e alla prova. Nella sentenza COGNOME COGNOME la Corte europea ha espressamente affermato che il procedimento sanzionatorio di cui agli artt. 190 e 195 TUF non soddisfa le condizioni di cui all’art. 6 della convenzione ‘per una pluralità di
motivi concorrenti; sul punto valga un richiamo a quanto in essa stabilito; tali considerazioni mancano del tutto nel decreto impugnato e se l’interpretazione della novella conduce a tali limitati risultati essa stessa appare incostituzionale; ne deriva quindi che anche il sistema delineato dall’art. 195, comma 7 TUF, come modificato dal d.lgs. 72/2015, se così interpretato si pone in diretto conflitto con l’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo e in tal senso si solleva la relativa questione’.
Il motivo è inammissibile: anzitutto perché l’omesso esame di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è l’omesso esame di un fatto storico e non certo -se si interpreta in modo corretto la non chiara censura del ricorrente -l’erronea interpretazione della disposizione transitoria prevista dal d.lgs. 72/2015; inoltre, il motivo è del tutto generico, in quanto non chiarisce affatto perché il giudice non avrebbe avuto il potere di annullare il provvedimento sanzionatorio e perchè non sarebbe stato garantito il contraddittorio e il diritto alla prova.
3. Il terzo motivo contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 195 TUF e della legge 689/1981, per non avere ‘la Corte d’appello correttamente applicato la norma prevista nella fattispecie in esame e i principi generali in materia di sanzioni pecuniarie’: la Corte d’appello si sarebbe del tutto ‘disinteressata all’accertamento di singole condotte o precisi comportamenti ascrivibili a precisa responsabilità del ricorrente, costituenti il fondamento per l’irrogazione della sanzione pecuniaria, che possiede carattere penale, in tal modo ascrivendo in capo al ricorrente una responsabilità oggettiva senza alcuna valutazione dei comportamenti a lui ascrivibili’; il provvedimento di contestazione degli addebiti afferma poi la sistematica violazione degli obblighi imposti dall’art. 2391 c.c., disposizione che si applica agli amministratori e quindi non al collegio sindacale.
Il motivo è infondato. A prescindere dal riferimento al carattere penale della sanzione (su cui supra sub 1.), non è vero che la Corte d’appello si sia ‘disinteressata all’accertamento di singole condotte o precisi comportamenti ascrivibili a precisa responsabilità del ricorrente’. La Corte, piuttosto, ha richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui ‘la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2 c.c., non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza’ (Cass. n. 32397/2019) e quello per cui ‘in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa della banca non può comportare l’esclusione o anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la prestazione del servizio di negoziazione, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione ‘ (Cass., sez. un., n. 20934). La Corte d’appello, al contrario di quanto sostiene il ricorrente, ha esaminato le specifiche condotte contestate al ricorrente e i relativi elementi di prova (v. le pagg. 6, 7, 11, 12 della sentenza impugnata), così che non si può certo parlare di ‘responsabilità oggettiva’. Quanto all’estraneità dei sindaci rispetto alla disposizione di cui all’art. 2391 c.c., va precisato che la disposizione -della quale, come si legge nella sentenza impugnata (pag. 6), era stata segnalata nel rapporto ispettivo la sistematica violazione -contempla un preciso ruolo del collegio sindacale (v. i commi 1 e 3 dell’articolo).
4. Il quarto motivo fa valere violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge 689/1981: la Corte d’appello, pur avendo ritenuto che Banca d’Italia nella erogazione della sanzione non avesse tenuto conto dei parametri indicati dal richiamato art. 11 della legge 689, ha respinto il motivo di ricorso relativo alla evidente sproporzione della misura della sanzione applicata; l’art. 11 dispone che la sanzione pecuniaria sia irrogata dall’amministrazione procedente non in base a una valutazione discrezionale o completamente immotivata, come accaduto nel caso di specie, ma in forza di una valutazione che si fondi sui criteri dallo stesso articolo enunciati; l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio discende dalla mera constatazione che la Banca d’Italia non ha tenuto in nessun conto tali parametri, d’altronde il giudice dell’opposizione non può sostituirsi all’autorità procedente nella determinazione della sanzione, ma può solo stabilire se nella determinazione di questa siano stati considerati i parametri di cui al richiamato art. 11.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello, dopo avere osservato che nel provvedimento sanzionatorio si fa riferimento alla sola gravità della condotta, senza parlare di altri parametri, ha rilevato come il ricorrente nel censurare il mancato esame di tali altri parametri, abbia omesso di fornire alcun elemento utile a valutarne la possibile incidenza sulla misura della sanzione, nulla avendo allegato circa l’opera eventualmente svolta per attenuare le conseguenze della violazione ovvero circa la propria situazione economica o ancora circa circostanze idonee a consentire la valutazione della propria personalità, essendosi limitato a interloquire sulla gravità dei fatti a lui ascritti. La Corte d’appello ha poi considerato come la sanzione sia ‘adeguata alla gravità dei fatti accertati, che lungi dal non avere causato danni alla società, hanno condotto alla sua liquidazione coatta amministrativa’, precisando poi che l’adeguatezza della sanzione va valutata in relazione alla
sua collocazione tra il minimo e il massimo previsti dalla norma. La Corte d’appello non ha pertanto, come sostiene il ricorrente, ritenuto che Banca d’Italia non abbia tenuto conto dei parametri di cui all’articolo 11 della legge 689, ma ha confermato il giudizio di gravità della condotta posta in essere dal ricorrente e dei danni che la medesima ha causato alla società. In ogni caso va sottolineato come -a differenza di quanto sostiene il ricorrente -nel procedimento di opposizione avverso le sanzioni amministrative pecuniarie, il giudice, nel caso di contestazione della misura delle stesse, sia autonomamente chiamato a controllarne la rispondenza alle previsioni di legge e non a controllare la motivazione dell’ordinanzaingiunzione, dovendo ‘determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981’ (così Cass. n. 11481/2020).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 6.200,00, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione