Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6886 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 6886 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
R.G.N. 30928/2020
U.P. 28/11/2024
Sanzioni amministrative per violazioni TUB
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30928/2020) proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta su foglio separato allegato materialmente al ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Roma, INDIRIZZO
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ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso gli stessi, in Roma, INDIRIZZO
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avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 1843/2020, pubblicata il 25 marzo 2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
udito il P.G., in persona del Sost. Proc. gen. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi gli avv.ti NOME COGNOME per il ricorrente, e NOME COGNOME per la controricorrente.
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Il Direttorio della Banca d’Italia, con delibera n. 688/2017 (conseguente ad accertamenti ispettivi di vigilanza condotti dal 18 luglio 2016 al 16 settembre 2016), irrogò a COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di ex Direttore Generale di RAGIONE_SOCIALE consortile di RAGIONE_SOCIALE (da ora solo RAGIONE_SOCIALE, la sanzione pecuniaria di euro 24.000,00, contestandogli irregolarità consistenti in carenze nell’organizzazione e nei controlli interni di detto istituto di credito, in violazione dell’art. 107, comma 2, d. lgs. n. 385/1993, nel testo applicabile ai sensi dell’art. 10 del d. lgs. n. 141/2010, come modificato dall’art. 7 dello stesso d. lgs. n. 210/2010 e dall’art. 5 del d. lgs. n. 169/2012, parte prima, Cap. VI Istr. di Vigilanza Intermediari Elenco Speciale (Circ. n. 216/1996).
L’opposizione ex art. 145 d. lgs. n. 385/1993 proposta dal COGNOME fu – con sentenza n. 1843/2020 – respinta dalla Corte d’appello di Roma con riferimento a tutte le formulate censure afferenti:
-la supposta violazione dei principi e delle norme sul contraddittorio e sulla piena conoscenza degli atti istruttori;
-l’asserita inadeguatezza della contestazione mossa a suo carico, in ordine alla quale il COGNOME aveva sostenuto che non erano emerse prove certe di un suo coinvolgimento diretto, quale Direttore Generale, a proposito dei fatti addebitatigli e che lo stesso non aveva mai posto in essere atti di indirizzo della società senza l’ausilio e la verifica della praticabilità dell’iniziativa da parte delle funzioni di controllo;
-l’assunta erroneità dell’applicazione di una sanzione pecuniaria prossima al massimo, non essendo state considerate tutte le circostanze previste dall’art. 11 della legge n. 689/1981.
Il COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte di appello di Roma, affidato a sette motivi.
La Banca d’Italia ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità del procedimento e della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 145 TUB e degli artt. 112 e 115 c.p.c. e anche per motivazione apparente nella parte in cui la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato – con la sentenza impugnata
-inammissibile la ‘produzione documentale’ dallo stesso effettuata con le note conclusive depositate in data 19 dicembre 2019, consistente in una perizia di parte con i
relativi allegati, esplicitamente ammettendo di non voler esaminare entrambe le note conclusive di entrambe le parti, richiamando nel corpo della sentenza la nota conclusiva di Banca d’Italia, che era stata, quindi, esaminata.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata ex art. 360, comma 1, n. 4), per motivazione apparente, sostenendo che la Corte di appello non ha motivato sulla discrasia tra quanto attestato dal servizio CRE nella proposta di irrogazione della sanzione (circa l’esistenza di ulteriore documentazione aziendale acquisita dagli ispettori nel fascicolo istruttorio) e quanto solo riferito e non provato da esso ricorrente nel giudizio di opposizione (che ha negato l’esistenza di tale documentazione), nonché per omessa pronuncia sulle contestazioni formulate nel ricorso introduttivo e nelle note conclusive di esso ricorrente depositate in data 19 dicembre
2019 sulla violazione del giusto procedimento amministrativo. 3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., criticando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha confermato il primo Rilievo del Provvedimento, senza pronunciarsi sulle deduzioni formulate nelle sue note conclusive depositate in data 19 dicembre 2019 e nella perizia di parte allegata, in replica alla memoria di costituzione di Banca d’Italia.
Il Giotti prospetta, altresì, l’omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. dei dati dei bilanci d’esercizio del 2013 e del 2014 di Eurofidi, dei dati relativi al monitoraggio interno ed esterno delle controgaranzie rilasciate dal FCG, dei verbali del CDA di Eurofidi da gennaio 2014 a settembre 2014, del bilancio del 2015 di Eurofidi, della Relazione Deloitte del 2016.
Con il quarto motivo il ricorrente allega la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. laddove la Corte di appello ha confermato il secondo Rilievo del Provvedimento, per omessa pronuncia sulle deduzioni formulate nelle sue note conclusive depositate in data 19 dicembre 2019 e nella perizia di parte allegata, in replica alla memoria di costituzione di Banca d’Italia e, comunque per motivazione apparente nonché per omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. delle policy di monitoraggio interno delle controgaranzie, dei dati relativi al monitoraggio interno ed esterno delle controgaranzie dichiarate inefficaci, dei dati del bilancio della Società del 2015 e del giudizio reso dalla società di revisione, del Report di follow -up del 22 settembre 2014.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. – degli artt. 2423-bis e ss. c.c. e dell’art. 2 del d.lgs. 38/2005, nonché omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. – dei dati dei bilanci 2013 e 2013, della Relazione di Deloitte 2016 e del giudizio con rilievi sul bilancio 2015 formulato dalla società di revisione laddove la Corte ha confermato il terzo Rilievo del Provvedimento.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce l’omesso esame -ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. -degli asseriti fatti decisivi relativi alle policy aziendali per il monitoraggio delle controgaranzie e per la gestione del rischio residuale, al verbale del CDA del 22 maggio 2014, al report di follow -up del 22 settembre 2014, alla Relazione di RAGIONE_SOCIALE 2016 e al giudizio con rilievi sul bilancio 2015 formulato dalla società di revisione, laddove la Corte di merito ha confermato il terzo Rilievo del Provvedimento.
Con il settimo ed ultimo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame -ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. -dei supposti fatti decisivi riguardanti la quantificazione della sanzione, avuto riguardo alla gravità solo apparente delle presunte violazioni, al ravvedimento operoso e alla non imputabilità della condotta in capo allo stesso.
Premessa l’infondatezza delle pregiudiziali eccezioni di inammissibilità del ricorso per come proposte dalla controricorrente, rileva il collegio che il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
E’ chiaramente insussistente l’assunto vizio di motivazione meramente apparente della sentenza, avendo la Corte di appello motivato sufficientemente sulla ragione dell’inammissibilità della produzione documentale (così garantendo il soddisfacimento del c.d. ‘minimo costituzionale’: cfr., per tutte, Cass. SU n. 8053/2014), avvenuta ad opera del ricorrente – senza essere autorizzato -con memoria in data 19.12.2019, la quale era anche comprensiva della consulenza tecnica di parte con i relativi allegati, che era stata versata agli atti del giudizio contestualmente alle note conclusive depositate dal COGNOME nella citata data. Analogamente la Corte laziale ha legittimamente ritenuto inammissibile la produzione dei documenti nn. 16 e 17 depositati quali allegati delle note del 13.01.2020 (dei quali il COGNOME non è riuscito, peraltro, a dimostrare una potenziale decisività ai fini di un diverso esito del giudizio), trattandosi di produzione anch’essa non autorizzata, poiché la stessa Corte aveva esplicitamente autorizzato -con apposita ordinanza del 6.05.2018 – la produzione di documenti indicati (con i nn. 11,12,13 e 13) in precedente memoria alla quale non erano stati allegati.
La procedura disciplinata dall’art. 145 TUB rimette alla competente Corte di appello la facoltà discrezionale di fissare appositi termini per il deposito di memorie e documenti e, sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, su istanza di una o entrambe le parti, se lo ritiene, concedere ulteriore termine in proposito a titolo integrativo, come avvenuto nel caso di specie con la citata ordinanza del 6 maggio 2018, donde la tardività della produzione intervenuta successivamente alla scadenza dei termini prefissati.
Non si è venuta, perciò, a configurare una violazione processuale comportante la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.
Dall’inammissibilità della produzione documentale nella suddetta data del 19.12.2019 consegue l’inammissibilità delle deduzioni difensive articolate dall’odierno ricorrente con la correlata memoria e con la relativa perizia. Del resto, la Corte di appello ha del pari dichiarato inammissibili i documenti depositati dalla Banca d’Italia allegati alle note di replica del 13.01.2020.
Anche il secondo motivo è privo di fondamento e va rigettato.
La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha specificamente appurato che, nel corso del procedimento di accertamento, era stata concessa all’incolpato la possibilità di prendere conoscenza degli atti istruttori inerenti detto procedimento, di presentare scritti difensivi e documenti, oltre ad essere ascoltato personalmente, con conseguente trasmissione al Direttorio dei relativi atti.
Inoltre, la Corte territoriale ha evidenziato che il ricorrente non ha indicato quali difese -aggiuntive rispetto a quelle già avanzate con le controdeduzioni procedimentali – avrebbe potuto far valere con riferimento alle contestazioni mosse nei
suoi confronti, in modo da prospettare, quantomeno, la possibilità che, in difetto dell’asserita irregolarità, l’esito del procedimento sarebbe stato diverso.
Al riguardo, la sentenza impugnata ha inequivocamente affermato che ‘Rispetto tali documenti COGNOME non ha chiarito la natura delle difese che avrebbe svolto se li avesse conosciuti prima di presentare le proprie controdeduzioni in data 13/4/2017 (vedi doc. 5 della Banca)’ (cfr. pag. 10 del provvedimento).
Inoltre, la Corte di appello ha puntualmente riferito che il COGNOME non era stato in grado di riscontrare l’assunto in base al quale nel fascicolo istruttorio era stata allegata altra documentazione di cui egli non aveva potuto prendere cognizione allo scopo di esercitare pienamente il suo diritto di difesa. A tal proposito, peraltro, la stessa Corte di merito ha dato conto -senza che fossero emerse risultanze contrarie -del fatto che nel fascicolo istruttorio era stata allegata soltanto la relazione sull’inefficacia delle controgaranzie del Fondo Centrale di Garanzia, notificata ritualmente al Giotti il 16.02.2017, quale documento accluso alla lettera di contestazione.
10. Pure il terzo motivo è infondato.
Oltre a ribadire la legittimità -per quanto rimarcato in sede di esame del primo motivo – della mancata valutazione dei documenti allegati alla memoria del 19.12.2019, siccome inammissibilmente prodotti, va chiarito, con riguardo al primo rilievo del provvedimento sanzionatorio, che la Corte di appello ha certamente adottato una motivazione adeguata, avendo rilevato che i precedenti accertamenti ispettivi effettuati dal 21/5/2012 al 22/8/2012 -allorquando il COGNOME era ancora in carica -si erano conclusi con risultanze parzialmente sfavorevoli riconducibili alla ridotta funzionalità
del processo di gestione del rischio creditizio, corroborata dal progressivo incremento delle garanzie deteriorate e delle richieste di escussioni.
La Corte d’Appello ha avuto modo di precisare che, all’esito degli accertamenti del 2012, era emerso che ‘la politica di sostenuto sviluppo operativo perseguita negli ultimi anni non era stata accompagnata dal necessario rafforzamento dei presidi organizzativi a supporto del processo del credito; che l’assetto dei controlli interni necessitava di ulteriore rafforzamento, specie sotto i profili di indipendenza delle funzioni e qualità delle verifiche; che occorreva dedicare maggior attenzione al contenimento dei rischi operativi connessi con i processi segnaletici e contabili; che la gestione del rischio del credito risentiva di una regolamentazione ancora incompleta con carenze nelle prassi operative relative alle principali fasi del processo creditizio ed in particolare che, ai fini dell’istruttoria, l’ispezionata non si era adoperata per acquisire in modo sistematico informazioni qualitative sui soggetti da garantire né sul sistema di rating in uso’.
La Corte di Appello ha posto, poi, in risalto che la procedura sanzionatoria, malgrado i rilievi ispettivi eseguiti, non era stata avviata a suo tempo sul presupposto che gli esponenti aziendali si erano impegnati a realizzare gli interventi necessari, ma che, tuttavia, gli organi aziendali non avevano posto rimedio a tale situazione, che, di contro, si era andata ulteriormente deteriorando, configurandosi in proposito la diretta responsabilità del Direttore Generale (cui è demandata l’alta direzione, come si evince dalla circolare n° 216 del 5 agosto 1996 Sezione VI Capitolo VI Sezione II art. 1, espressamente citata nel capo di incolpazione: v. pag. 13 della sentenza qui impugnata), attese le specificità che ne caratterizzano l’attività e i sottostanti interessi (anche di
natura pubblicistica), nonché l’esigenza di assicurare efficaci presidi alla stabilità della banca in relazione ai peculiari rischi dell’attività riservata.
La Corte d’Appello ha accertato nel merito l’infondatezza del motivo di opposizione e sufficientemente argomentato in ordine alla reiezione delle contestazioni frapposte dal COGNOME con riferimento al prospettato assolvimento delle sue funzioni e sulla situazione generale venutasi a creare a causa del perdurare della crisi economica.
In proposito, la citata Corte ha puntualmente attestato che ‘ l’esistenza della crisi economica avrebbe imposto l’adozione di condotte improntate a maggiore prudenza, laddove è risultato dalla Relazione della Direzione Generale Fidi sopra menzionata, che RAGIONE_SOCIALE emetteva garanzie prive della delibera del Fondo di Garanzia, avvalendosi del fatto che la stessa società fosse soggetto abilitato a certificare il merito creditizio delle piccole e medie imprese al posto del Fondo stesso e ciò fino alla data dell’8 marzo 2014 di entrata in vigore del cd Decreto del fare, che aveva vincolato l’emissione della garanzia alla previa delibera da parte del Fondo’ (pag. 15 della sentenza).
Nella decisione qui impugnata, la Corte di merito non ha nemmeno mancato di spiegare congruamente il suo convincimento anche in relazione alla ‘tempistica’ sull’inefficacia delle controgaranzie che sarebbe stata rilevata dalle funzioni di controllo interno solo dopo le dimissioni del ricorrente. Sul punto, detta Corte ha -sulla scorta dei riscontri documentalmente accertati -rilevato che ‘il fenomeno aveva radici sicuramente collocabili nel lungo periodo di tempo in cui lo stesso aveva ricoperto la carica di Direttore Generale di Eurofidi dal 23/2/1995 al 26/11/2014 (circostanza specificata dalla Banca nella memoria del
20/9/2018 pag. 32 e non contestata) e pertanto l’accertamento delle sue reali dimensioni e delle sue gravi conseguenze, avvenuta in epoca successiva alle dimissioni, non vale certo ad esonerarlo dalla relativa responsabilità’ (pag. 16 della sentenza), così giustificando il coinvolgimento diretto del COGNOME e la legittimità degli addebiti a lui ascritti.
A fronte di una tale adeguata motivazione, il motivo in questione viene a sostanziarsi, in effetti, in una -inammissibile – sollecitazione a procedere, nella presente sede di legittimità, ad una rivalutazione delle risultanze fattuali con riferimento alla situazione aziendale di RAGIONE_SOCIALE, con l’intento di rimettere integralmente in discussione le valutazioni di merito congruamente compiute dalla Corte di appello -con specifico riferimento anche al ruolo omissivo e, comunque, scarsamente diligente del COGNOME in rapporto alla sua funzione apicale – sulla scorta di un esauriente esame delle complessive emergenze istruttorie.
11. Anche la quarta censura è destituita di fondamento.
Va, ancora una volta, confermato che, pure con riferimento al secondo rilievo del provvedimento sanzionatorio, relativo a presunte carenze organizzative del processo di controgaranzia, non si è venuto a configurare alcun vizio di omessa pronuncia sulle deduzioni formulate nelle note conclusive del ricorrente e nell’elaborato peritale di parte, siccome, per l’appunto, fatte valere mediante la produzione di documenti qualificati inammissibili.
Non si sono venuti a concretizzare nemmeno i vizi di assunta motivazione apparente o di omesso esame ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. perché -al di là di una chiara sussistenza di una motivazione adeguata -la censura si risolve in una richiesta di rilettura, sul piano della valutazione di merito (e, quindi, inammissibilmente nella presente sede di
legittimità), del quadro probatorio complessivo riguardante le policy di monitoraggio interno delle controgaranzie, dei dati relativi al monitoraggio interno ed esterno delle controgaranzie dichiarate inefficaci, dei dati del bilancio della Società del 2015 e del giudizio reso dalla società di revisione, del Report di follow -up del 22 settembre 2014.
Al riguardo la Corte d’Appello ha, nel richiamare gli esiti degli accertamenti ispettivi, replicato alle prospettazioni dell’odierno ricorrente, rilevando come proprio sulla scorta degli esiti dei controlli effettuati – il COGNOME non avesse approntato una condotta adeguata del sistema dei controlli interni, non svolgendo, in particolare, in modo consapevole ed informato, il suo compito di Direttore Generale, quale incaricato dell’Alta Direzione, così conseguendone anche una carenza nelle informazioni necessarie a garantire al C.d.A. piena conoscenza dei fatti aziendali, il tutto in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2381 c.c. (v., in particolare, pagg. 18-19 della sentenza impugnata).
Anche il quinto motivo non coglie nel segno e va respinto.
Con esso si censura la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui ha confermato la fondatezza del terzo rilievo di cui al provvedimento sanzionatorio impugnato, relativo alla dedotta inadeguatezza degli accantonamenti apposti in bilancio per il rischio residuale ossia di inefficacia delle controgaranzie rilasciate dal FCG.
Pure questa doglianza si risolve, in effetti, in una inammissibile sollecitazione a rivisitare le risultanze di merito conseguenti all’accertamento in fatto compiuto dalla Corte di Appello in merito al terzo rilievo, mediante il quale è stato verificato che dalla documentazione prodotta e ritenuta ammissibile, non erano risultati idonei riscontri documentali
atti ‘…a dimostrare lo svolgimento, nel periodo del suo mandato, di un’attività concretamente tesa a verificare e presidiare il rischio di inefficacia delle controgaranzie e di promuovere presso il CDA l’adozione dei relativi provvedimenti, come sottolineato dalla Banca d’Italia a pag. 30 della memoria in data 20 settembre 2018’ (pagg. 19-20 della Sentenza).
Anche con riferimento all’asserito sovrastimato rischio di inefficacia delle controgaranzie nei dati contabili da parte del nuovo Consiglio di Amministrazione, la Corte d’Appello ha evidenziato come il ricorrente non abbia spiegato come era stato possibile che, nel decennio in cui era rimasto in carica, non avesse mai proceduto ad una reale ricognizione dello stato di inefficacia delle controgaranzie e non si fosse attivato nel dare dato disposizioni per provvedere agli accantonamenti indispensabili, non risultanti dai bilanci precedenti (cfr. pag. 20 della sentenza).
Alla stregua di tali elementi, la Corte di merito -con motivazione comunque sufficiente (come tale non censurabile) -è pervenuta alla conclusione che la complessiva condotta omissiva nel COGNOME aveva determinato, in concreto, una violazione degli obblighi di garanzia per un’efficace gestione dei rischi ai quali il soggetto intermediario si espone, mancando di definire procedure di controllo adeguate e di individuare e valutare gli obiettivi fattori di rischio, espressamente previsti dalle specifiche Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia.
13. Il sesto motivo è, pur esso, privo di fondamento.
In effetti, con lo stesso il ricorrente reitera le contestazioni già prospettate in sede di opposizione avanti alla Corte di merito in relazione al quarto rilievo della delibera
sanzionatoria riguardante le carenze di controllo sulle controgaranzie inefficaci.
Senonché, anche a tal proposito, la Corte di appello ha rilevato come, tra le attribuzioni conferite al Direttore Generale dalle Istruzioni di Vigilanza, rientravano pienamente gli aspetti oggetto del rilievo.
Nello specifico, con la sentenza impugnata è rimasto accertato che pur essendo le contestate criticità emerse dopo le dimissioni del COGNOME, nondimeno le stesse erano da ritenersi riconducibili proprio alla sua condotta improntata all’inadempimento degli obblighi connessi a tali attribuzioni nel lungo periodo in cui aveva ricoperto la carica apicale.
In particolare, la Corte di appello -ancora una volta con l’esplicazione di una motivazione sufficiente (che sfugge al controllo in sede di legittimità) – ha posto in evidenza che, pur a seguito dell’esame dei verbali del C.d.A. del 13 marzo, 22 maggio e 4 settembre 2014 indicati dallo stesso ricorrente allo scopo di riscontrare l’adozione di misure correttive, esse concernevano, in effetti, soltanto il processo di sostituzione del sistema informativo ed il rafforzamento dell’ufficio contenzioso.
Alla stregua di una squisita valutazione di merito, la Corte di appello ha univocamente ravvisato l’inadeguatezza e l’assoluta insufficienza di tali interventi al fine di porre rimedio alle molteplici e gravi disfunzioni elencate in modo specifico nel rilievo (peraltro ancora persistenti all’epoca dell’ispezione).
Anche il settimo ed ultimo motivo (formulato in via subordinata) è infondato.
In effetti, sotto l’apparente deduzione di un vizio ricondotto al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., il ricorrente sollecita una rivalutazione delle condizioni già oggetto di più che sufficiente
ponderazione ad opera della Corte di appello circa la congruità della sanzione irrogatagli.
Nella vicenda in questione, la Corte d’Appello ha, infatti, adeguatamente motivato in ordine alla commisurazione della sanzione, facendo esplicito riferimento alle dimensioni della società, alla portata delle irregolarità rilevate, nonché agli effetti che esse hanno determinato sulla situazione aziendale, conducendo all’inevitabile cessazione dell’attività, essendo rimaste incontestate le circostanze sull’avviamento del procedimento di liquidazione volontaria e che RAGIONE_SOCIALE avesse ritirato la domanda di iscrizione all’albo unico delle società finanziarie di cui all’art. 106 TUB.
Inoltre, la Corte di merito ha specificamente rimarcato -al fine della rilevata adeguatezza proporzionale della sanzione applicata -l’incidenza della posizione apicale rivestita dal COGNOME in un intervallo temporale di durata particolarmente apprezzabile, che aveva anche conosciuto gli esiti sfavorevoli di una precedente ispezione e l’assenza di un’efficace e tempestiva attività volta a rimediare alle criticità segnalate dalla Vigilanza.
Nella sua essenzialità, quindi, la Corte di appello ha motivatamente ritenuto -in base ad un idoneo apprezzamento di merito (cfr. Cass. n. 6417/2007 e Cass. n. 21952/2014) – del tutto congrua e proporzionata la sanzione (peraltro di molto inferiore al massimo edittale) inflitta al COGNOME in relazione alle sue specifiche responsabilità connesse alla carica rivestita quale Direttore generale, nonché alla gravità delle violazioni inerenti gli obblighi informativi e alle ricadute di tali condotte sulle scelte gestionali.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese di questo giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II