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Sanzioni Banca d’Italia: Cassazione su golden parachute

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità delle sanzioni Banca d’Italia inflitte a un ex consigliere di amministrazione di un istituto di credito. Il caso riguardava l’approvazione di una ricca buonuscita (‘golden parachute’) per il Direttore Generale, ritenuta non conforme alle disposizioni sulla remunerazione bancaria. La Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, chiarendo la natura non penale di tali sanzioni, i limiti del diritto alla prova nel processo di opposizione e la piena applicabilità delle normative di vigilanza che legano i compensi alla performance e ai rischi.

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Sanzioni Banca d’Italia: la Cassazione si pronuncia sui Golden Parachute

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla legittimità delle Sanzioni Banca d’Italia in materia di politiche di remunerazione, con un focus particolare sui cosiddetti “golden parachute”. La decisione conferma la linea rigorosa dell’autorità di vigilanza e offre importanti chiarimenti sui doveri e le responsabilità dei consiglieri di amministrazione degli istituti di credito. Analizziamo insieme i punti salienti di questa pronuncia.

Il Caso: una Buonuscita milionaria sotto la lente del Regolatore

La vicenda trae origine da una sanzione pecuniaria di 90.000 euro inflitta dal Regolatore a un membro del Consiglio di Amministrazione di un importante istituto bancario. L’addebito riguardava l’approvazione di una delibera che autorizzava la risoluzione del rapporto di lavoro del Direttore Generale, riconoscendogli un incentivo di 4 milioni di euro, oltre a tutte le altre spettanze.

Secondo il Regolatore, tale accordo violava palesemente le “Disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione” emanate nel 2011. In particolare, la buonuscita non teneva conto dei risultati negativi della gestione, non era collegata alla performance e ai rischi assunti, ed era stata erogata in un’unica soluzione. Inoltre, l’accordo prevedeva una clausola che manlevava il Direttore uscente da eventuali azioni di responsabilità, un elemento in netto contrasto con i principi di sana e prudente gestione, specialmente per una banca che aveva dovuto ricorrere ad aiuti di Stato.

I Motivi del Ricorso: una Difesa a tutto campo

L’amministratore sanzionato ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando dieci distinti motivi di ricorso. Tra le principali censure vi erano:

1. La violazione del diritto alla prova e al giusto processo, per la mancata ammissione di testimonianze e documenti richiesti in appello.
2. La natura sostanzialmente “penale” della sanzione, che avrebbe dovuto comportare l’applicazione di garanzie più stringenti, come il principio del favor rei (applicazione della legge successiva più favorevole).
3. L’errata applicazione delle norme procedurali transitorie.
4. La mancata corrispondenza tra l’addebito inizialmente contestato e quello posto a fondamento della sanzione finale.
5. L’errata interpretazione delle disposizioni del Regolatore in materia di remunerazione.

La Decisione della Cassazione sulle Sanzioni Banca d’Italia

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la piena legittimità dell’operato del Regolatore e della sentenza d’appello. Vediamo le argomentazioni principali.

Diritto alla prova e giusto processo

La Corte ha stabilito che l’omessa pronuncia su specifiche istanze istruttorie non costituisce una violazione del diritto di difesa quando la decisione del giudice è sorretta da una motivazione complessiva che implicitamente ne afferma l’irrilevanza. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva ritenuto illegittimo l’accordo con il DG sulla base di elementi documentali chiari, rendendo superflue ulteriori prove. Il ricorrente, inoltre, non aveva dimostrato il carattere “decisivo” delle prove non ammesse.

Natura della sanzione: perché non si applica il ‘favor rei’

Uno dei punti centrali della decisione riguarda la natura delle sanzioni Banca d’Italia. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui le sanzioni pecuniarie irrogate ai sensi del Testo Unico Bancario, pur avendo carattere afflittivo, non sono equiparabili a sanzioni penali. Esse hanno natura amministrativa e, pertanto, non sono soggette ai principi tipici del diritto penale, come il favor rei. La legge da applicare è quella in vigore al momento della commissione dell’illecito (tempus regit actum).

Rispetto delle Regole sulle Remunerazioni

La Corte ha confermato che l’interpretazione data dalla Corte d’Appello alle disposizioni del 2011 era corretta. Tali regole esigono che i compensi pattuiti in caso di conclusione anticipata del rapporto di lavoro (i cosiddetti golden parachutes) siano strettamente collegati alla performance realizzata e ai rischi assunti. Inoltre, impongono che una quota significativa di tali compensi sia soggetta a meccanismi di pagamento differito e a clausole di correzione ex post (malus o claw back), per allineare gli interessi dei manager a quelli della banca nel lungo periodo.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una netta distinzione tra il giudizio di legittimità e quello di merito. Molti dei motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili perché miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito precluso alla Cassazione. La Corte ha riaffermato che il suo ruolo è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non di riesaminare le prove. La decisione impugnata è stata ritenuta logica e coerente, avendo correttamente individuato la violazione delle disposizioni di vigilanza sulla base della stessa delibera del CdA. La Corte ha inoltre rafforzato il principio secondo cui la responsabilità degli amministratori bancari si fonda su un elevato standard di diligenza, che impone la conoscenza e il rispetto delle normative di settore.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida principi fondamentali in materia di vigilanza bancaria e responsabilità degli esponenti aziendali. In primo luogo, ribadisce la severità delle normative sulle remunerazioni, pensate per disincentivare l’assunzione di rischi eccessivi a breve termine. In secondo luogo, chiarisce che le sanzioni Banca d’Italia sono uno strumento amministrativo efficace e non soggetto alle garanzie del processo penale, rafforzando il potere deterrente dell’autorità di vigilanza. Infine, invia un messaggio chiaro ai consiglieri di amministrazione: la diligenza richiesta dal loro ruolo include una conoscenza approfondita e un’applicazione rigorosa delle complesse normative che regolano il settore creditizio, con la consapevolezza che una violazione può comportare una diretta responsabilità personale.

Una sanzione amministrativa irrogata dalla Banca d’Italia ha natura penale?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che queste sanzioni, pur afflittive, non hanno natura sostanzialmente penale. Di conseguenza, non si applicano i principi tipici del diritto penale, come quello della retroattività della legge più favorevole (favor rei).

Il giudice può rifiutarsi di ammettere le prove richieste dalla parte sanzionata?
Sì, il giudice può implicitamente rigettare le istanze istruttorie se la sua motivazione complessiva è logica, coerente e sufficiente a decidere la causa, rendendo di fatto irrilevanti le prove richieste. La parte deve dimostrare il carattere “decisivo” della prova non ammessa per poter lamentare una violazione del diritto di difesa.

Quali sono i requisiti per un “golden parachute” legittimo secondo le disposizioni della Banca d’Italia?
Secondo la decisione, i compensi per la conclusione anticipata del rapporto di lavoro devono essere collegati alla performance realizzata e ai rischi assunti. Inoltre, una quota deve essere soggetta a sistemi di pagamento differito e a meccanismi di correzione ex post (clausole di claw back). Un pagamento in unica soluzione non collegato ai risultati è considerato illegittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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