Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3613 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3613 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27125/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elett.te domiciliato in INDIRIZZO, presso la sede RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dalla quale e per essa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE è rappresentato e difeso per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
ORDINE DEI RAGIONE_SOCIALE CHIRURGHI ED ODONTOIATRI RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende ex lege, -controricorrente-
nonché contro
COMMISSIONE CENTRALE PER GLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE, PROCURA RAGIONE_SOCIALE REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE DI RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE CHIRURGHI E ODONTOIATRI,
-intimati- avverso la DECISIONE RAGIONE_SOCIALE COMMISSIONE CENTRALE PER GLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE n. 96/2019 depositata il 15.7.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 3.11.2005 la Guardia RAGIONE_SOCIALE Putignano effettuava una ispezione igienico -sanitaria presso lo studio RAGIONE_SOCIALE di COGNOME (BA), INDIRIZZO, di proprietà di COGNOME NOME, studente in odontoiatria, nel quale COGNOME NOME, medico chirurgo specializzato in odontoiatria, iscritto sia all’RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che a quello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva aperto nel 1998 uno studio RAGIONE_SOCIALE. In sede di verifica la Guardia di
RAGIONE_SOCIALE rinveniva nello studio RAGIONE_SOCIALE, ancora intestato a COGNOME NOME, recante all’esterno la targhetta col nome di lui e con la specifica RAGIONE_SOCIALE professione di medico chirurgo odontoiatra, COGNOME NOME, intento a curare in maniera chiara ed inequivocabile le affezioni dentarie di un cliente, sdraiato sulla struttura denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, coadiuvato dalla moglie con camice verde e mascherina. Ivi era rinvenuto, altresì, il dott. NOME COGNOME, che dichiarava di lavorare presso quello studio.
A seguito RAGIONE_SOCIALE conseguenti segnalazioni, l’RAGIONE_SOCIALE procedeva all’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti di COGNOME NOME, che veniva sospeso per la pendenza a suo carico d’un processo penale, per avere agevolato l’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra da parte di COGNOME NOME.
La sentenza n. 76/2012 dell’11.4.2012 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, sezione distaccata di Rutigliano, condannava COGNOME NOME, per il reato sopra indicato, alla pena di sei mesi di reclusione, col beneficio RAGIONE_SOCIALE sospensione condizionale. A seguito di appello del COGNOME, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, ritenuto che non sussistessero le condizioni previste dall’art. 129 c.p.p. per addivenire ad un’assoluzione nel merito, con la sentenza n. 139 del 17.1.2014, passata in giudicato il 26.6.2014, dichiarava non doversi procedere nei confronti del COGNOME per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Il 23.2.2016 il COGNOME veniva convocato dalla RAGIONE_SOCIALE in audizione disciplinare ed il 12.10.2016 veniva dato avvio al procedimento disciplinare, nel quale il COGNOME dichiarava di non essere a conoscenza dell’attività esercitata da COGNOME NOME, perché svolgeva ormai la propria attività in un altro studio, sito in Adelfia INDIRIZZO, sottolineando che non era presente al momento RAGIONE_SOCIALE verifica RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE.
Con la decisione del 9.11/29.12.2016 prot. 9542 la CAO ravvisava la sussistenza dell’illecito disciplinare dell’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L. n.175/1992 per avere il COGNOME intenzionalmente agevolato l’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra a suo nome da parte di COGNOME NOME, infliggendogli la sanzione dell’interdizione dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra per un anno.
Impugnato il provvedimento disciplinare dal COGNOME davanti alla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) per la ritenuta insussistenza del dolo specifico necessario a configurare il suddetto illecito disciplinare, perché avendo asseritamente ceduto lo studio RAGIONE_SOCIALE al dott. NOME COGNOME prima RAGIONE_SOCIALE visita ispettiva compiuta dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE presso lo studio di COGNOME non sarebbe stato a conoscenza dell’attività di odontoiatra abusivamente svolta da NOME NOME, che non avrebbe agevolato in quanto lo studio era di proprietà di quest’ultimo, nella successiva memoria autorizzata il COGNOME rilevava l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare in base al disposto dell’art. 51 del D.P.R. 5.4.1950 n. 51.
Con la decisione n. 96/2019 del 27.11.2019/15.7.2020 la RAGIONE_SOCIALE, rilevata la sua legittima composizione nel rispetto RAGIONE_SOCIALE sentenza n. 216/2015 RAGIONE_SOCIALE Corte Costituzionale per l’assenza di componenti di nomina ministeriale, confermava a carico del COGNOME la sanzione disciplinare inflittagli, desumendo dal verbale RAGIONE_SOCIALE verifica ispettiva RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE del 3.11.2005, che al momento RAGIONE_SOCIALE stessa COGNOME NOME, che non ne aveva titolo, stava svolgendo l’attività di cura odontoiatrica su un paziente sdraiato sul cosiddetto ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, coadiuvato anche dalla moglie con camice verde e mascherina, all’interno dello studio RAGIONE_SOCIALE del COGNOME, operando con piena libertà e senza alcun condizionamento in tale struttura da parte del titolare dello studio, COGNOME NOME, come confermato anche dagli accertamenti compiuti in sede penale, dato che quest’ultimo era stato
condannato in primo grado per concorso nel reato di esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di NOME NOME, beneficiando poi in secondo grado RAGIONE_SOCIALE prescrizione, senza che la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE ravvisasse le condizioni per un’assoluzione nel merito ex art. 129 c.p.p. La RAGIONE_SOCIALE riteneva dimostrato da tali elementi il dolo specifico richiesto dall’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L. n. 175/1992 (intenzione di agevolare l’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra) per avere il COGNOME consentito all’esercente abusivo il libero accesso allo studio dentistico del quale aveva la responsabilità, e riteneva non provato che al momento RAGIONE_SOCIALE verifica ispettiva RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE il COGNOME non avesse più la disponibilità dello studio dentistico di COGNOME, in quanto la sua comunicazione di cessazione dello studio dentistico all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Entrate del 15.10.2005, come già accertato in sede penale, poteva essere seguita dall’effettiva cessazione entro il termine di trenta giorni, che quindi non era ancora scaduto alla data (3.11.2005) dell’accesso RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE, e non era stato provato dal COGNOME che a quella data egli avesse già perso la disponibilità RAGIONE_SOCIALE struttura odontoiatrica.
Avverso tale decisione, notificata il 23.7.2020, ha proposto ricorso ex art. 111 RAGIONE_SOCIALE Costituzione ed ex artt. 362 c.p.c. e 68 del Regolamento del 5.4.1950 n.221, COGNOME NOME, notificato il 22/26.10.2019 all’RAGIONE_SOCIALE, alla Procura RAGIONE_SOCIALE Repubblica presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, al RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE, e per conoscenza il 22/27.10.2019 alla RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi, ed hanno resistito con controricorso notificato il 30.11.2020 l’RAGIONE_SOCIALE e con controricorso notificato il 4.12.2020 il RAGIONE_SOCIALE, mentre sono rimasti intimati gli altri destinatari RAGIONE_SOCIALE notifica del ricorso.
Il ricorrente e l’RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c. La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 30.1.2024.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Col primo motivo il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L. n. 175/1992, per avere la RAGIONE_SOCIALE erroneamente ritenuto esistente il dolo specifico necessario per applicargli la sanzione dell’interdizione dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra per un anno, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE motivazione sul punto.
Lamenta il ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE abbia ritenuto evidente l’assenso del COGNOME all’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra nel suo studio di COGNOME da parte di NOME NOME (studente in odontoiatria) in piena libertà e senza alcun condizionamento, sulla base dell’unico elemento obiettivo rappresentato dal verbale del 3.11.2005 RAGIONE_SOCIALE visita RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE, non considerando una serie di elementi: 1) COGNOME NOME era proprietario dell’immobile in cui si trovava lo studio dentistico, per cui ne aveva il possesso e le chiavi; 2) COGNOME NOME non era presente alla verifica ispettiva RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE nello studio dentistico; 3) l’unico indizio a carico del ricorrente era costituito dalla targhetta affissa all’esterno dello studio dentistico al momento RAGIONE_SOCIALE verifica ispettiva, che riportava il nominativo NOME COGNOME e la sua qualifica di medico chirurgo odontoiatra; 4) nello studio al momento RAGIONE_SOCIALE verifica ispettiva era presente il titolare dott. NOME COGNOME, al quale egli aveva ceduto lo studio a far tempo dal 16.10.2005. Sostiene poi il ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe effettuato una valutazione autonoma RAGIONE_SOCIALE
condotta del COGNOME sotto il profilo disciplinare rispetto al giudizio penale, e che non essendo state applicate in sede penale le pene accessorie RAGIONE_SOCIALE articoli 30 e 31 cod. pen., la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto escludere la prova dell’elemento soggettivo del dolo specifico.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto l’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. consente di censurare in sede di legittimità la violazione di legge, che si ha quando la decisione impugnata abbia dato di una norma di diritto, o di un contratto, o accordo collettivo di lavoro, un’interpretazione diversa dal suo contenuto incorrendo in un error in iudicando, o la falsa applicazione di legge, che si ha quando la decisione impugnata abbia compiuto un errore di sussunzione, ossia abbia ricondotto la fattispecie concreta ricostruita ad una norma non pertinente, mentre nel caso di specie le argomentazioni del ricorrente non sono riconducibili ad alcuna di dette ipotesi, puntando piuttosto ad una ricostruzione alternativa RAGIONE_SOCIALE fattispecie concreta rispetto a quella motivatamente compiuta dalla RAGIONE_SOCIALE, per addivenire attraverso una diversa valutazione del materiale probatorio, alla negazione dell’elemento soggettivo del dolo specifico dell’illecito disciplinare sanzionato dall’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L.n.175/1992, non consentita alla Suprema Corte, che non è giudice del merito, ma di legittimità.
Va aggiunto che secondo il costante orientamento di questa Corte, nel ricorso per cassazione il vizio RAGIONE_SOCIALE violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, secondo il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dev’essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione RAGIONE_SOCIALE affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici RAGIONE_SOCIALE fattispecie o con l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di
adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento RAGIONE_SOCIALE denunziata violazione (Cass. 5.7.2013 n. 16862; Cass. n.3010/2012; Cass. n. 14752/2007; Cass. n. 21245/2006; Cass. n.20100/2006; Cass. n. 10043/2006; Cass. n. 1108/2006; Cass. n.26048/2005; Cass. n. 20145/2005; Cass. n. 16132/2005). Nel caso in esame la decisione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si è conformata all’orientamento consolidato RAGIONE_SOCIALE stessa RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE n. 10 e 15 del 23.3.2015), avallato dalla Suprema Corte (Cass. n. 834/2007), che considera sufficiente ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE sussistenza del dolo specifico dell’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L. n. 175/1992, che l’odontoiatra abbia consentito all’esercente abusivo il libero accesso allo studio dentistico di cui aveva la responsabilità, così agevolandone l’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione senza titolo, ed il ricorrente non ha indicato le affermazioni in diritto RAGIONE_SOCIALE decisione impugnata che si assumono in contrasto con tale interpretazione di quella disposizione.
Non è vero poi che la decisione impugnata non abbia effettuato un’autonoma valutazione sotto il profilo disciplinare RAGIONE_SOCIALE condotta del COGNOME rispetto al giudizio penale, essendosi basata sul verbale RAGIONE_SOCIALE verifica ispettiva RAGIONE_SOCIALE Guardia di RAGIONE_SOCIALE del 3.11.2005 e sull’accertamento già compiuto anche in sede penale che la comunicazione di cessazione dello studio di COGNOME fatta dal COGNOME all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Entrate datata 15.10.2005 non era sufficiente, a dimostrare una cessazione RAGIONE_SOCIALE titolarità dello studio da parte del COGNOME anteriore alla verifica del 3.11.2005, RAGIONE_SOCIALE quale non era stata fornita prova, posto che la cessazione doveva avvenire entro trenta giorni dalla suddetta comunicazione.
Del resto, solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima), ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o
amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente; ne consegue, altresì, che, nel caso da ultimo indicato, il giudice civile, pur tenendo conto RAGIONE_SOCIALE elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione (in senso conforme si veda ex multis Cass. n.21299/2014, la quale specifica che, poiché non sempre la prescrizione importa l’accertamento RAGIONE_SOCIALE sussistenza del fatto materiale costituente reato, in tale ipotesi, il giudice civile deve procedere autonomamente all’accertamento ed alla valutazione dei fatti; Cass. n. 9358/2017; Cass. n.14570/2017).
Può quindi ribadirsi che (vedi in tal senso Cass. n. 22200/2010) il giudice civile, come avvenuto nella specie, può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale, già definito, ancorché con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, ponendo a base RAGIONE_SOCIALE proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile, ma a tal fine non è tenuto a disporre la previa acquisizione RAGIONE_SOCIALE atti del procedimento penale e ad esaminarne il contenuto, qualora, per la formazione di un razionale convincimento, ritenga sufficiente le risultanze RAGIONE_SOCIALE sola sentenza.
Nessun rilievo, poi, ha la mancata applicazione RAGIONE_SOCIALE pene accessorie previste dagli artt. 30 e 31 c.p., per la semplice ragione che queste conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa (art. 20 c.p.), di talché non sono applicabili de iure in caso sentenza di proscioglimento pronunciata – come nella specie – a
seguito di estinzione del reato per prescrizione (cfr. Cass. pen. n. 38345/16).
Col secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., l’omessa pronuncia da parte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sull’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare ex art. 51 del D.P.R. 5.4.1950 n. 221, perché non conclusa entro cinque anni dal passaggio in giudicato RAGIONE_SOCIALE sentenza del giudice penale (26.6.2014), ossia entro il 26.6.2019, a nulla rilevando la data in cui l’RAGIONE_SOCIALE territorialmente competente ne aveva avuta contezza (in tal senso si è richiamata Cass. 2.3.2006 n.4658), con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.
Pur non potendosi ritenere inammissibile per tardività l’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare ex art. 51 del D.P.R. 5.4.1950 n. 221, in quanto in materia di procedimento disciplinare, dominato da un impulso pubblicistico per la tutela di interessi professionali di rilievo pubblico, la prescrizione non può ritenersi oggetto di un’eccezione in senso stretto, come invece nelle cause civili ordinarie, e può essere rilevata anche d’ufficio in sede di legittimità (vedi in tal senso Cass. sez. un. 2.6.1997 n. 4902; Cass. 11.10.2006 n. 21734), nella specie il termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal passaggio in giudicato RAGIONE_SOCIALE sentenza penale RAGIONE_SOCIALE Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE del 26.6.2014, è stato utilmente interrotto dalla raccomandata a.r. del 12.10.2016 con la quale la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ha comunicato l’avvio del procedimento disciplinare, per cui la decisione conclusiva di tale procedimento del 27.11.2019/15.7.2020 è intervenuta ben prima che la prescrizione maturasse.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione dell’art. 649 c.p.p. e del principio del ne bis in idem, nonché la violazione dei principi di buon andamento, buona amministrazione e proporzionalità RAGIONE_SOCIALE pena.
Deduce il ricorrente che il 12.7.2016 l’RAGIONE_SOCIALE ha aperto a suo carico un altro procedimento disciplinare per ‘ aver favorito l’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra da parte dell’odontotecnico sig. NOME COGNOME, privo di valido titolo all’esercizio legittimo, come accertato in sede penale con sentenza definitiva ‘, ossia per lo stesso fatto oggetto RAGIONE_SOCIALE sanzione disciplinare impugnata in questa sede, inflittagli dalla RAGIONE_SOCIALE in qualità di odontoiatra iscritto all’RAGIONE_SOCIALE relativo con la decisione del 9.11/29.12.2016 prot. 9542, confermata dalla RAGIONE_SOCIALE con la decisione n. 96/2019. Tale altro procedimento disciplinare, come riferito dal ricorrente, è culminato nella decisione del 22.12.2016 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di applicazione nei suoi confronti RAGIONE_SOCIALE sanzione disciplinare dell’interdizione per un anno dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione di medico, da lui impugnata davanti alla RAGIONE_SOCIALE (ricorso n. 11/2017/15) e confermata con la decisione n. 109/2019, che a sua volta a seguito di impugnazione del COGNOME è oggetto di separata decisione di questa Corte in data odierna. Sostiene il ricorrente, invocando l’applicazione analogica all’illecito disciplinare dell’art. 649 c.p.p., dettato per l’illecito penale, che non poteva essere sottoposto ad una doppia sanzione disciplinare per lo stesso fatto, essendovi un unico RAGIONE_SOCIALE, e che comunque le due decisioni in sede disciplinare dovevano ritenersi nulle perché non avevano valutato la sua condotta sotto i distinti profili rivenienti dall’attività di odontoiatra e di medico. In via del tutto subordinata il ricorrente chiede che, data la mancanza del dolo specifico, e l’intervenuta prescrizione del reato di concorso nell’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione, l’applicazione RAGIONE_SOCIALE più lieve sanzione dell’avvertimento, o RAGIONE_SOCIALE censura, anziché RAGIONE_SOCIALE disposta misura dell’interdizione per un anno dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra.
Il terzo motivo è infondato, anzitutto perché l’art. 649 c.p.p. è dettato per l’illecito penale e non per l’illecito amministrativo, al quale neppure risulta applicabile analogicamente per la profonda differenza ravvisabile tra i due tipi di illecito. Secondo la giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Suprema Corte (vedi ex multis Cass. sez. un. 29.12.2023 n. 36356) la sanzione disciplinare e quella penale hanno finalità, intensità ed ambiti di applicazione diversi, sicché non è coerente con il sistema pervenire ad una loro identificazione, e del resto mentre le norme incriminatrici sono rivolte a tutti i consociati, quelle che sanzionano gli illeciti amministrativi sono indirizzate a particolari e limitate categorie di soggetti, e mentre per i reati vale il principio RAGIONE_SOCIALE retroattività RAGIONE_SOCIALE legge più favorevole, lo stesso non si applica agli illeciti amministrativi. La diversità di natura RAGIONE_SOCIALE sanzioni è confermata anche dalla circostanza che la pena accessoria può (come le altre sanzioni penali) estinguersi nel corso del tempo per amnistia (art. 151 cod. pen. comma 1°) o per effetto RAGIONE_SOCIALE riabilitazione (art. 178 cod. pen.), laddove la permanenza RAGIONE_SOCIALE effetti RAGIONE_SOCIALE sanzione disciplinare ne evidenzia la specifica afflittività, per cui non risulta applicabile per analogia l’art. 649 c.p.p. agli illeciti amministrativi. Esclusa l’applicabilità del giudicato esterno in quanto per nessuna RAGIONE_SOCIALE sanzioni disciplinari inflitte è già intervenuta una decisione definitiva, va detto che comunque pur essendo la stessa la condotta materiale contestata al COGNOME, quella di avere agevolato l’esercizio abusivo RAGIONE_SOCIALE professione di odontoiatra da parte di COGNOME COGNOME nello studio di COGNOME del quale il ricorrente, medico chirurgo odontoiatra, era titolare, non è ravvisabile un concorso apparente di norme, ma un concorso reale tra le norme sanzionatorie, per la diversità RAGIONE_SOCIALE interessi tutelati, da individuare in un caso nella tutela RAGIONE_SOCIALE dignità e del prestigio RAGIONE_SOCIALE iscritti all’RAGIONE_SOCIALE odontoiatri, e nell’altro caso nella tutela RAGIONE_SOCIALE dignità e del prestigio RAGIONE_SOCIALE iscritti al distinto RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE dei medici chirurghi (vedi sulla necessità di valutare se vi sia concorso apparente di norme o concorso reale di norme per gli illeciti disciplinari sulla base dei diversi interessi di categoria protetti Cass. 29.12.2023 n. 36443), dovendosi ritenere necessaria la duplice sanzione, malgrado l’unicità dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per l’esistenza di due distinti albi professionali per gli odontoiatri e per i medici chirurghi e per la plurioffensività RAGIONE_SOCIALE condotta contestata, che non può tradursi solo nell’interdizione dell’esercizio di una RAGIONE_SOCIALE due professioni e non dell’altra; e si deve notare, infine, che le sanzioni sono state applicate per periodi quasi pienamente coincidenti.
La richiesta subordinata del ricorrente di applicazione RAGIONE_SOCIALE minore sanzione dell’avvertimento, o RAGIONE_SOCIALE censura, è manifestamente infondata, in quanto l’art. 8 RAGIONE_SOCIALE L. n. 175/1992 prevede come misura minima la sanzione dell’interdizione per un anno dall’esercizio RAGIONE_SOCIALE professione, che é appunto la sanzione applicata al COGNOME con la decisione RAGIONE_SOCIALE COA del 9.11/29.12.2016 prot. 9542, confermata dalla RAGIONE_SOCIALE con la decisione n. 96/2019 impugnata in questa sede.
Col quarto motivo il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE norme del regolamento del D.P.R. 5.4.1950 n. 221, nella parte in cui consentono l’effettuazione di due distinti procedimenti disciplinari per il medesimo fatto nei confronti di un solo medico, che sia contemporaneamente iscritto all’RAGIONE_SOCIALE odontoiatri e dei medici chirurghi, in violazione RAGIONE_SOCIALE articoli 24, 27, 35, 97 e 98 RAGIONE_SOCIALE Costituzione relativi agli illeciti penali.
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto non sono individuate le norme del D.P.R. 5.4.1950 n. 221 che sarebbero viziate da illegittimità costituzionale, e per di più vengono richiamate come violate norme RAGIONE_SOCIALE Costituzione che si riferiscono agli illeciti penali ed alla relativa responsabilità, e non agli illeciti amministrativi.
Alla reiezione del ricorso segue, in base alla soccombenza, la condanna di COGNOME NOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo in favore dell’RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile, respinge il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida per il primo in €200,00 per spese ed € 4.500,00 per compensi, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali del 15% e per il secondo in € 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate e prenotande a debito.
Visto l’art. 13 comma 1 -quater D.P.R. n. 115/2002 dà atto che sussistono i presupposti processuali per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 30.1.2024