Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25441 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25441 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2832/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME RAGIONE_SOCIALE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 78/2018 depositata il 06/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso la delibera numero 19.935 del 30 marzo 2017 con cui la RAGIONE_SOCIALE ha irrogato, con contestuale ingiunzione di pagamento, sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di una pluralità di esponenti aziendali o dipendenti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Popolare di RAGIONE_SOCIALE.
Con particolare riferimento ai fatti che hanno dato luogo al procedimento che si è concluso con la detta delibera n. 19933, oggetto RAGIONE_SOCIALE sentenza gravata, si rappresenta sinteticamente quanto segue. Nel corso del 2014 e 2015, la RAGIONE_SOCIALE Popolare di RAGIONE_SOCIALE ha sottoposto all’approvazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e poi pubblicato i seguenti Documenti di Registrazione:
Documento di Registrazione pubblicato il 9 maggio 2014;
-Documento di Registrazione pubblicato l’8 maggio 2015.
I due documenti di registrazione sono ambedue confluiti nell’offerta pubblicata l’8 maggio 2015.
Nei confronti di NOME COGNOME, quale membro del collegio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE banca, è stata applicata, ex art. 191 del TUF, una sanzione complessiva di € 15.000,00 per la violazione dell’art. 94, comma 2, TUF incorsa nella pubblicazione di due prospetti informativi di base relativamente ad emissione obbligazionarie, rispettivamente pubblicati il 7 febbraio 2014 ed il 5 febbraio 2015 (sanzione così determinata in applicazione del cumulo giuridico ex art. 8, comma 1, RAGIONE_SOCIALE legge n. 689 del 1981, ritenuta la violazione più grave quella pubblicata l’8 maggio 2015.
Dallo svolgimento delle verifiche ispettive condotte dalla RAGIONE_SOCIALE presso RAGIONE_SOCIALE Popolare di RAGIONE_SOCIALE nel periodo 22 aprile 2015 – 24 febbraio 2016 è emerso che la banca ha posto in essere decisioni e iniziative di varia natura, rivolte in gran parte a favorire il sostegno
alla domanda del proprio titolo azionario anche in vista dell’indagine effettuata nel corso del 2014 dalla Bce sui bilanci delle principali 128 banche europee in vista dell’inizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE unica, fissato per il 4 novembre, la quale, essendo diretta a valutare la quantità e la qualità del patrimonio di vigilanza, ha condotto la banca medesima a ricercare forme di rafforzamento dei requisiti patrimoniali e a creare l’apparenza di una maggiore solidità patrimoniale. Tali obiettivi sono stati tuttavia perseguiti attuando condotte illecite frutto anche di scelte aziendali riconducibili, secondo i rispettivi ruoli e responsabilità, ai principali livelli decisionali RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (anche quelle deputate al contatto con la clientela al dettaglio) senza che tali criticità siamo stati efficacemente contrastata dagli organi di vertice e dalle funzioni di controllo. Nel contesto in esame hanno assunto una rilevanza centrale sia le operazioni straordinarie sul mercato primario RAGIONE_SOCIALE banca (aumento di capitale e mini-aumento di capitale del 2013 e 2014, emissioni obbligazionarie) sia l’operazione di vendita di azioni proprie realizzate sul mercato secondario mediante operazioni in contropartita diretta tramite il RAGIONE_SOCIALE. Particolare rilevanza anche per dimensioni e diffusività, ha assunto in tale ambito il fenomeno dei cosiddetti finanziamenti correlati, ossia dei finanziamenti concessi alla clientela per l’acquisto di azioni banca popolare di RAGIONE_SOCIALE. I suddetti finanziamenti hanno consentito per lungo tempo ingenti acquisti azionari mediante i quali sarebbe stata creata l’apparenza di una maggiore solidità patrimoniale RAGIONE_SOCIALE banca anche in violazione dei presidi posti a tutela degli investitori.
In relazione ai fatti sopra è stato avviato dalla RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE con lettera del 4 aprile
2016 procedimento sanzionatorio per la violazione del predetto articolo 94, comma 2, del TUF, per la mancata rappresentazione, nella relativa documentazione di offerta delle obbligazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, di informazioni concernenti la sussistenza, l’entità e gli effetti del ‘Capitale finanziato’, inteso come fattispecie in relazione alla quale i clienti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE hanno impiegato -per la sottoscrizione degli aumenti di capitale nonché per l’acquisto di azioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nel periodo 1° gennaio 2012 -28 febbraio 2015 -somme rivenienti da finanziamenti erogati da quest’ultima correlati alla sottoscrizione o all’acquisto delle relative azioni. La contestazione è stata notificata a tutti i membri del Consiglio di amministrazione e del collegio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, oltre che al Direttore Generale, al Vicedirettore Generale e alla stessa RAGIONE_SOCIALE, in qualità di responsabile in solido con gli autori RAGIONE_SOCIALE violazione.
La Commissione, sulla base delle risultanze istruttorie e valutate le deduzioni presentate, ha ritenuto accertata la violazione contestata e sopra descritta, adottando la menzionata delibera n. 19933 del 30 marzo 2017 con la quale ha applicato alla dott.ssa COGNOME -in qualità di membro del collegio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dal 14 maggio 2005 la sanzione pecuniaria di € 15.000.
Avverso la detta delibera la dottNOME COGNOME ha proposto opposizione alla Corte d’Appello di Venezia con atto notificato alla RAGIONE_SOCIALE il 26 maggio 2017; all’esito RAGIONE_SOCIALE discussione orale, la Corte di merito, definitivamente pronunciando, ha respinto l’opposizione, con la sentenza n. 78 del 6 giugno 2018.
In data 9 gennaio 2019, la dott.NOME COGNOME ha notificato alla RAGIONE_SOCIALE un ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, chiedendone l’annullamento sulla base di tredici motivi.
La RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denunzia difetto di giurisdizione dell’A.G.O., per incongrua lettura del dato normativo attributivo RAGIONE_SOCIALE potestas iudicandi , e comunque in subordine incostituzionalità dell’art. 195, commi 48, del TUF, nella parte in cui attribuisce all’A.G.O. la giurisdizione sulle opposizioni alle sanzioni amministrative con violazione del principio del giusto processo di cui all’art. 111 e 113 Cost., nonché dell’art. 47, par. 1, RAGIONE_SOCIALE Carta europea dei diritti fondamentali ed altresì dell’art. 6 CEDU.
Il procedimento previsto dall’art. 195 del TUF, limitato a un unico grado e strutturato solo sulla possibilità di annullamento del provvedimento sanzionatorio, non consente una piena tutela dell’interessato, non consentendogli di proporre domande volte a neutralizzare le conseguenze dannose dell’eventuale annullamento. Ciò è in contrasto con l’art. 113 Cost., nella parte in cui riconosce la piena tutela giurisdizionale contro gli atti RAGIONE_SOCIALE pubblica amministrazione. Inoltre, si crea una disparità di trattamento rispetto ad altre categorie di soggetti incisi da provvedimenti sanzionatori emessi da altre autorità amministrative indipendenti. Le controversie relative a tali provvedimenti, infatti, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La corretta ricostruzione del sistema normativo impone identica devoluzione per le sanzioni irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE, senza che a tale conclusione sia d’ostacolo la sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte cost. n. 162 del 2012. Questa ha dichiarato l’incostituzionalità RAGIONE_SOCIALE norma che aveva abrogato i commi da 4 a 8 dell’art. 195 del d. lgs. n. 58 del 1998, tuttavia, al di là di quanto affermato in tale pronunzia, gli effetti RAGIONE_SOCIALE eliminazione RAGIONE_SOCIALE norma abrogativa debbono essere considerati in
una prospettiva di sistema, tesa a concentrare la tutela, contro i provvedimenti sanzionatori assunti dalle autorità amministrative indipendenti, dinanzi al giudice amministrativo. Tale prospettiva non è stata travolta dalla pronunzia del giudice delle leggi, tenuto conto anche del successivo intervento del legislatore, il quale ha soppresso la norma dichiarata incostituzionale, senza intaccare la disposizione generale sulla giurisdizione, nella quale non è stata introdotta alcuna espressa rispetto al riconoscimento, da considerarsi come principio di fondo del sistema, RAGIONE_SOCIALE giurisdizione amministrativa rispetto alle sanzioni RAGIONE_SOCIALE.
In subordine si denunzia il vizio di illegittimità costituzione delle disposizioni dell’art. 195 del Tuf, nella parte in cui devolvono al giudice ordinario la cognizione delle opposizioni alle sanzioni RAGIONE_SOCIALE, in violazione degli artt. 11 e 113 Cost.; inoltre dell’art. 147, par. 1 Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dell’art. 6 RAGIONE_SOCIALE CEDU.
a)1 . ─ Il motivo è infondato. Come già rilevato da Cass. 13346 del 2022, intervenuta in relazione a una violazione che si inseriva nella medesima vicenda, «[…] non può ritenersi sussistente alcun vulnus al diritto di azione e di difesa in dipendenza dell’impossibilità di proporre nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa domande diverse ed ulteriori rispetto a quella volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento sanzionatorio. L’opposizione all’ordinanza-ingiunzione proposta dinanzi alla Corte d’appello non configura un’impugnazione dell’atto ma introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento RAGIONE_SOCIALE pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice la piena cognizione sulla legittimità e fondatezza RAGIONE_SOCIALE misura adottata (Cass. n. 13150/2020). Poste le descritte connotazioni e l’ampiezza
RAGIONE_SOCIALE cognizione del giudice, l’impossibilità di cumulare domande di contenuto diverso dalla richiesta di annullamento RAGIONE_SOCIALE sanzione (affermata costantemente dalla giurisprudenza di questa Corte: Cass. n. 16714/2003; Cass. n. 12190/1999) non comporta una compressione delle opportunità difensive dell’incolpato, essendo solo precluso il simultaneus processus secondo un’opzione normativa che, da un lato, non osta alla proposizione in un autonomo giudizio delle pretese che la parte ritenga di poter vantare verso l’amministrazione procedente e – per altro verso appare il frutto in sé non irragionevole RAGIONE_SOCIALE discrezionalità legislativa nella conformazione delle regole processuali. Si è da tempo evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale che l’impossibilità di celebrare un unico giudizio per più pretese scaturenti dalla medesima vicenda sostanziale è mera tecnica processuale che non limita -in realtà – il diritto di azione, né quello di difesa, una volta che la pretesa possa essere comunque fatta valere nella competente, pur se distinta, sede giudiziaria, con pienezza di contraddittorio e di difesa, non configurandosi neppure una lesione del principio di ragionevole durata del processo (Corte cost. n. 251/2003; Cass. n. 124/2005). Il divieto di cumulo appare poi -nello specifico -coerente con le caratteristiche di semplificazione del rito ex art. 195 t.u.f. – che si svolge, inoltre, in un unico grado, con successive ricorribilità in cassazione dalla pronuncia -avendo anche il vantaggio di impedire che, per eventuali domande cumulate, non sia assicurata la garanzia del doppio grado di giudizio […]. Come di recente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, le controversie relative all’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi del D.lgs. n. 58 del 1998, per le violazioni commesse in
materia finanziaria, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, la cui cognizione si estende agli atti amministrativi e ai regolamentari presupposti, incidendo su posizioni di diritto soggettivo (Cass., S.U., n. 25476/2021). Analoga soluzione era stata già accolta con riferimento all’impugnazione dei provvedimenti sanzionatori emessi dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE (Cass. , S.U., n. 24609/2019; Cass., S.U., n. 4362/2021). Inizialmente le già menzionate controversie erano devolute alla Corte d’appello, titolare di una competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 187 -septies D.lgs. n. 58/1998. Con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo approvato con D.lgs. n. 104/2010, l’art. 133, primo comma, lett. I), aveva introdotto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privato, adottati dalla predetta Commissione, stabilendo, con il successivo art. 135, comma primo, lett. c), l’attribuzione alla competenza inderogabile del TAR del Lazio, sede di Roma, delle controversie per le quali il precedente art. 134, comma 1, lett. c), aveva affidato al giudice amministrativo la «cognizione estesa al merito» nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie. Infine, l’art. 4, numero 19, dell’allegato numero 34, D.lgs. n. 104/2010 aveva abrogato l’art. 187-septies, comma 4, del t.u.f., ove attribuiva alla Corte d’appello la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla RAGIONE_SOCIALE. Con pronuncia n. 162/2012, la Corte costituzionale ha -com’è noto – dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 133, comma primo, 1 lett. l), 135, comma primo, lett. c) e 134, comma primo, lett. c) del codice del processo amministrativo, nonché dell’art. 4, comma primo, n.
19 dell’allegato 4 del D.lgs. n. 104/2010, per eccesso di delega. L’effetto che ne è scaturito è esplicitamente enunciato nella sentenza, ove si legge che le norme abrogate -attributive RAGIONE_SOCIALE giurisdizione al g.o. -sono tornate ad avere applicazione (cfr. Corte cost. n. 162/2012, par.5 e dispositivo). Non incide su tale assetto il disposto dell’art. 3 D.lgs. n. 162/2012, che nel prevedere che l’articolo 4, comma 1, delle norme di coordinamento e abrogazioni, di cui all’allegato 4 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il numero 19) è soppresso, lungi dall’aver ripristinato la giurisdizione esclusiva, ha operato un mero coordinamento testuale e di armonizzazione del testo normativo, destinato ad operare solo per il futuro.
Con pronuncia n. 94/2014, resa con riferimento all’art. 145 D.lgs. n. 385/1992, la Corte costituzionale è difatti nuovamente intervenuta sulla disposizione, disponendo l’illegittimità del citato art. 4, nella parte in cui aveva abrogato l’art. 145, commi da 4 a 8, D.lgs. n. 385/1993, ritenendo che l’incostituzionalità RAGIONE_SOCIALE disposizione fosse direttamente conseguente a quelle delle norme dichiarate illegittime per eccesso di delega, che affidavano le stesse controversie al Tar Lazio, sede di Roma, in sede di giurisdizione esclusiva estesa al merito. La pronuncia ha comportato -anche sotto tale profilo -l’integrale reintroduzione delle disposizioni illegittimamente abrogate. Più in particolare, il giudice delle leggi, dato atto che l’art. 4 citato era stata dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 162 del 2012, nella parte in cui si riferiva alle sanzioni RAGIONE_SOCIALE, ed era stata poi integralmente soppresso con il decreto legislativo “correttivo” n. 160/2012 con effetti però solo pro-futuro, ha ritenuto necessario rimuovere il vizio di illegittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE disposizione per il suo
restante periodo di vigenza. Appaiono in altri termini confermate -anche sotto tale profilo l’ininfluenza RAGIONE_SOCIALE disposizione sulle regole di giurisdizione e la devoluzione delle opposizioni alle sanzioni RAGIONE_SOCIALE al giudice ordinario […]. Le precedenti considerazioni, che hanno già trovato il conforto del giudice delle leggi, rendono altresì conto RAGIONE_SOCIALE manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in ricorso. Come si è detto, la giurisdizione sul potere sanzionatorio RAGIONE_SOCIALE pubblica amministrazione appartiene di regola alla cognizione del giudice ordinario, dato che il giudizio incide su posizioni di diritto soggettivo perfetto (Cass., S.U., n. 2205/2005). D’altra parte, è questa la ragione per la quale, da sempre, si è affermato che l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione non configura un’impugnazione dell’atto ma introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento RAGIONE_SOCIALE pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza del provvedimento sanzionatorio (Cass. n. 13150/2020). Ne consegue che la materia sanzionatoria può essere sottoposta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, come eccezione alla regola generale, solo in presenza di un’apposita disposizione di legge, costituendo i provvedimenti sanzionatori la reazione a comportamenti del privato assunti come illegittimi, in relazione ai quali non si pone la difficoltà – alla base RAGIONE_SOCIALE previsione RAGIONE_SOCIALE giurisdizione esclusiva – di distinguere gli aspetti concernenti diritti soggettivi da quelli riguardanti interessi legittimi, poiché, come si è detto, la situazione giuridica di chi deduce di essere stato sottoposto a sanzione in casi e modi non stabiliti dalla legge, ha consistenza di diritto soggettivo perfetto (Cass., S.U., n. 18040/2008). Una questione di costituzionalità sotto questo profilo, pertanto, può porsi al più in senso inverso,
sulla legittimità di un’eventuale attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle suddette controversie. Ha chiarito la Corte costituzionale che l’art. 103 Cost., nel prevedere la giurisdizione esclusiva “in particolari materie indicate dalla legge”, legittima tale giurisdizione solo in riferimento esclusivo alle materie prescelte dal legislatore e all’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, di un potere pubblico (sentenze n. 191/2006 e n. 204/2004). Da ciò discende la necessità, ai fini RAGIONE_SOCIALE compatibilità costituzionale delle norme di legge devolutive di controversie alla predetta detta giurisdizione, che vi siano coinvolte situazioni giuridiche di diritto soggettivo e di interesse legittimo strettamente connesse; che il legislatore assegni al giudice amministrativo la cognizione non di “blocchi di materie”, ma di materie determinate; che l’amministrazione agisca, in tali ambiti predefiniti, come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi, che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi, sia mediante moduli consensuali, sia mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio (sentenza n. 35 del 2010). La Corte costituzionale, in applicazione di tali principi, ha ritenuto inammissibile in più occasioni una pronuncia additiva, come quella invocata nel caso in esame. Si è detto infatti, che l’introduzione di un nuovo caso di giurisdizione esclusiva può essere effettuata solo da una legge – come prescrive l’art. 103, primo comma, Cost. – e nel rispetto dei principi e dei limiti fissati dalla sentenza n. 204 del 2004. Non è in alcun modo consentito sollevare un dubbio di costituzionalità che richieda, in caso di ritenuta fondatezza, una sentenza additiva e l’introduzione di un nuovo caso di giurisdizione
esclusiva, la quale può derivare solo da una scelta legislativa, peraltro non costituzionalmente obbligata (sentenza n. 259 del 2009). La censura formulata in ricorso non tiene conto RAGIONE_SOCIALE previsione di cui all’art. 103 Cost., laddove stabilisce che sia la legge ad indicare le “particolari materie” nelle quali è attribuita agli organi di giustizia amministrativa la giurisdizione per la tutela, nei confronti RAGIONE_SOCIALE pubblica amministrazione, degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi. In altri termini, la riserva legislativa in ordine alla delimitazione RAGIONE_SOCIALE giurisdizione esclusiva determina l’inammissibilità di una sentenza di tipo additivo, essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore l’estensione RAGIONE_SOCIALE giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nell’ambito di un ventaglio di possibili soluzioni, nessuna delle quali costituzionalmente imposta […]».
Il secondo motivo, preceduto da una premessa volta ad illustrare il carattere sostanzialmente penale delle sanzioni applicate al ricorrente sulla base dei principi espressi dalla Corte EDU, denunzia violazione dell’art. 5 d.lgs. 12.5.2015, n. 72, come interpretato alla luce dell’art. 7 CEDU dell’art. 49, par. 1, e art. 52, par. 5, RAGIONE_SOCIALE Carta dei diritti fondamentali UE, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto non fondata la già prospettata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 6 d.lgs. n. 72/2015 e dell’ivi contenuta previsione che esclude la retroattività RAGIONE_SOCIALE disciplina più favorevole a (presunti) illeciti compiuti anteriormente alla sua entrata in vigore.
I principi di derivazione comunitaria imponevano l’applicazione retroattiva delle modifiche del TUF apportate dall’art. 5 del lgs. n. 58 del 1998: in particolare la nuova disciplina avrebbe stabilito che
la sanzione amministrativa per le violazioni previste dall’art. 191 del tuf, qualora il soggetto tenuto all’osservanza RAGIONE_SOCIALE relativa disposizione fosse una società, si applicasse nei confronti di questa. Sulla base RAGIONE_SOCIALE nuova disciplina, la possibilità di sanzionare le persone fisiche sussisteva solo in determinate ipotesi, previste dall’art. 190 -bis, richiamato dall’art. 191, comma2 -bis, di nuova introduzione. Si sostiene nel motivo che tali ipotesi, ‘nel caso specifico non trovano certamente applicazione’. Sulla base di tale ricostruzione, e in considerazione RAGIONE_SOCIALE natura sostanzialmente penale delle sanzioni applicate nel caso specifico, la Corte d’appello avrebbe dovuto dare seguito alla questione di costituzionalità dell’art. 6 del d. lgs n. 72 del 2015, nella parte in cui escludeva l’immediata e incondizionata applicabilità RAGIONE_SOCIALE nuova disciplina, ritenuta più favorevole RAGIONE_SOCIALE precedente, anche alle violazioni commesso sotto l’impero RAGIONE_SOCIALE disciplina previgente. La diversa scelta del legislatore italiano costituiva violazione dell’art. 6 RAGIONE_SOCIALE CEDU e dell’art. 49 RAGIONE_SOCIALE Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
b)1. ─ Il motivo è infondato, esattamente per le ragioni già indicate da Cass. n. 13346 del 2022, che di seguito si trascrivono: «[…] Anche dopo l’intervento RAGIONE_SOCIALE CEDU, le misure adottate non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, alle sanzioni irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE per manipolazione del mercato ai sensi dell’art. 187 ter t.u.f. (sulle quali si è pronunciata la richiamata sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), dovendo escludersi che abbiano natura sostanzialmente penale, non configurandosi, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (Cass. n. 8855/2017; Cass. n. 1621/2018; Cass. n. 4/2019; Cass. n.
5/2019; Cass. n. 31632/2019; Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 4114/2016; Cass. n. 3656/2016, tutte in rapporto a Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, RAGIONE_SOCIALE e altri c. RAGIONE_SOCIALE). Secondo la giurisprudenza comunitaria – per stabilire la sussistenza di un’accusa di natura penale, occorre impiegare tre criteri: la qualificazione giuridica RAGIONE_SOCIALE misura secondo il diritto nazionale, la natura nonché il grado di severità RAGIONE_SOCIALE “sanzione”. Sebbene i suddetti criteri (cd. Engel) siano alternativi e non cumulativi e per quanto debba aversi riguardo alla misura RAGIONE_SOCIALE sanzione edittale e non alla gravità RAGIONE_SOCIALE sanzione alla fine inflitta va tuttavia considerato che la valutazione sull’afflittività economica di una sanzione non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione punitiva si inserisce. Nel caso in esame, il diritto nazionale attribuisce chiaramente natura amministrativa alla misura adottata e la medesima qualificazione pare confermata dalle specifiche connotazioni RAGIONE_SOCIALE sanzione, apparendo indirizzata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle banche), a conferma del fatto che la disposizione non contempla un divieto di generale applicabilità. La natura penale va poi esclusa anche alla luce del grado di afflittività RAGIONE_SOCIALE misura. Da tale prospettiva, specie sul terreno delle violazioni consumate nell’ambito del settore bancario e finanziario (che contempla sanzioni penali finanche detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di euro: cfr. 187 bis t.u.f. oggetto anche RAGIONE_SOCIALE sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte costituzionale 63/2019, richiamata in memoria) una sanzione pecuniaria compresa tra il minimo edittale di € 2.500 ed il
massimo edittale di € 250.000, non corredata da sanzioni accessorie né da confisca, non può ritenersi connotata da una grado di afflittività tale da trascendere dall’ambito amministrativo a quello penale. Nella sentenza 14.3.2014 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE c. RAGIONE_SOCIALE, la stessa Corte Edu ha ritenuto, in tema di market abuse, che la conformità con l’art. 6 CEDU non viene meno nel caso in cui una sanzione di natura penale sia inflitta da un’autorità amministrativa, la cui decisione non soddisfi le condizioni di cui al paragrafo 1 RAGIONE_SOCIALE norma, laddove sul provvedimento adottato sia previsto un controllo a posteriori da parte di un organo indipendente e imparziale avente giurisdizione piena. Sul punto questa Corte ha perciò ribadito che “in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 Cedu, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni RAGIONE_SOCIALE convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria RAGIONE_SOCIALE fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (fattispecie in tema di sanzioni applicate dalla RAGIONE_SOCIALE all’esito del procedimento amministrativo previsto dall’art. 187 septies D.lgs. n. 58 del 1998: Cass. n. 770/2017). È escluso che i principi convenzionali possano indurre a ritenere che una
sanzione qualificata come amministrativa dal diritto interno abbia sempre e a tutti – gli effetti natura sostanzialmente penale (Cass. n. 1621/2018; Cass. n. 8855/2017; Cass. n. 770/2017; Cass. n. 13433/2016).
Il regime transitorio delle novità normative apportate alla disciplina del t.u.f. è previsto dall’art. 6, comma secondo, D.lgs. n. 72/2015, per il quale le modifiche alla parte V, D.lgs. 58/1998, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, secondo le rispettive competenze ai sensi dell’art. 196-bis, D.lgs. n. 58/1998. Analoga previsione è stata introdotta con riferimento alla disciplina contenuta nel capo VIII, D.lgs. n. 385/1993, introdotte dal D.lgs. n. 72/2015: il comma terzo, dell’art. 2 ne esclude l’applicabilità alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’articolo 145-quater, D.LGS. n. 385/1993 (Cass. n. 23814/2019). Alla luce del tenore testuale delle norme transitorie, non è consentito distinguere tra disposizioni sostanziali immediatamente applicabili e norme procedurali ad entrata in vigore differita, essendo chiaro l’intento del legislatore di far decorrere l’efficacia delle nuove disposizioni dal momento del completamento, in sede attuativa, del nuovo quadro normativo, fermo peraltro che l’art. 3 delle legge delega non imponeva affatto la generalizzata applicazione del principio del favor rei, rimettendo al legislatore delegato la facoltà di estenderne l’ambito applicativo anche per il periodo anteriore. Si è già detto che le sanzioni irrogate non hanno carattere penale, essendo sottratte al principio del favor rei. Deve quindi tenersi fermo il principio generale dell’irretroattività RAGIONE_SOCIALE legge più favorevole che vige in materia di sanzioni amministrative, non senza osservare
che nessun argomento è esposto in ricorso riguardo alla concreta possibilità RAGIONE_SOCIALE ricorrente di beneficiare di circostanze idonee a contenere la sanzione al di sotto dell’importo irrogato (Cass. n. 4114/2016; Cass. n. 20689/2017; Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 4114/2016). Quanto affermato è coerente con le indicazioni RAGIONE_SOCIALE Corte costituzionale, secondo cui la giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di retroattività RAGIONE_SOCIALE legge penale più favorevole ha riguardato non l’intero sistema sanzionatorio unitariamente considerato, ma le singole e specifiche discipline sanzionatorie (Corte cost. n. 193/2016; Corte Cost. n. 43/2017). I principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 L. n. 689/1981, in tema di sanzioni amministrative, comportano infatti l’assoggettamento RAGIONE_SOCIALE condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali “ab origine”, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, commi 2 e 3, c.p.., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività RAGIONE_SOCIALE legge, possono, al di fuori RAGIONE_SOCIALE materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore (Cass. n. 29411/2011). Tale interpretazione non viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (RAGIONE_SOCIALE ed altri c/o RAGIONE_SOCIALE): tali principi non possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale, con conseguente irrilevanza di
un’eventuale questione di costituzionalità, anche ai sensi dell’art. 117 Cost. (Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 26131/2015). Nel quadro delle garanzie apprestate dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non si rinviene -dunque – l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività RAGIONE_SOCIALE legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. Né sussiste neppure un analogo vincolo interno di matrice costituzionale: rientra nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite RAGIONE_SOCIALE ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni in materia secondo criteri di maggiore o minore rigore. Il differente e più favorevole trattamento riservato ad alcune sanzioni trova -difatti fondamento nelle peculiarità che le caratterizzano e non è automaticamente estensibile ad ipotesi diverse (cfr. Cass. n. 23814/2019, in tema di intermediazione finanziaria; Cass. n. 20689/2018). Non è dato trarre indicazioni difformi dall’intervento RAGIONE_SOCIALE Corte Costituzionale (sentenza n. 63/2019), che, pur ritenendo costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72/2015, in relazione agli artt. 3 e 117, comma primo, RAGIONE_SOCIALE Costituzione (quest’ultimo per rinvio all’art. 7 RAGIONE_SOCIALE CEDU), nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche favorevoli apportate dal terzo comma dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’art. 187-bis t.u.f., ha però precisato che la regola di derivazione penale deve ritenersi applicabile agli illeciti amministrativi aventi natura e funzione punitiva, salvo che vi sia la necessità di tutelare interessi di rango costituzionale prevalenti, tali da resistere al « vaglio
positivo di ragionevolezza », al cui metro debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius […]».
c) Il terzo motivo denunzia falsa applicazione dell’art. 8, co. 1, l. 689/1981, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha negato l’applicabilità del principio di specialità in considerazione RAGIONE_SOCIALE moltiplicazione delle sanzioni amministrative irrogate da RAGIONE_SOCIALE per gli stessi fatti; nullità RAGIONE_SOCIALE sentenza per carenza assoluta di motivazione ex art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’appello circoscritto la propria statuizione ad un enunciato meramente apodittico sulla diversità di condotte, corroborato da un’analisi delle fattispecie che conferma, anziché smentire, l’unicità degli addebiti che pur comportano la violazione di una pluralità di norme .
Secondo la ricorrente, nella specie, il provvedimento impugnato costituiva seguiva altri provvedimenti sanzionatori che trovavano la loro origine pur sempre nel medesimo fatto generatore di responsabilità, consistente nel non avere apprezzato supposti elementi d’allarme. La corte d’appello, nel disattendere la censura, ha ritenuto che i provvedimenti precedenti, analiticamente indicati, si riferissero a vicende diverse, non avvedendosi RAGIONE_SOCIALE evidente unicità dell’addebito, reso palese da alcune riflessioni proposte dalla stessa sentenza. In questo senso, secondo la ricorrente, «l’enunciato di ‘eterogeneità manifesta’ delle condotte sanzionate con i diversi provvedimento, costituirebbe un’affermazione apodittica e sostanzialmente non sorretta da alcuna motivazione.
c)1. ─ Il motivo è in parte inammissibile e, per altri aspetti, infondato. Sotto il primo profilo, la censura non dà minimamente conto delle ragioni per le quali fosse nella specie invocabile il principio di specialità, limitandosi ad invocare il connotato unitario
RAGIONE_SOCIALE condotta, mentre il principio è invece pertinente al rapporto tra più fattispecie astratte, contemplate da norme potenzialmente concorrenti. Ove -come si ipotizza in ricorso -la condotta sia unica resta applicabile l’art. 8, comma primo, secondo cui, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con un’azione od omissione viola diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più violazioni RAGIONE_SOCIALE stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo.
La sentenza -con motivazione del tutto esente da vizi logici e giuridici – ha precisato che: a) la delibera 19332 riguardava omissioni informative relative ai prospetti pubblicati in occasione dei due aumenti di capitale realizzati nel corso del 2014; b) la delibera 19933 concerneva omissioni informative nei confronti del pubblico (in merito alla sussistenza, all’entità e agli effetti del capitale finanziato) in relazione ai prospetti pubblicati in occasione delle emissioni obbligazionarie realizzate tra il 2014 e il 2015; c) con la delibera 19935 erano state contestate plurime violazioni delle norme che prescrivono obblighi procedurali e di comportamento in capo agli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento nei confronti dei clienti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE individualmente considerati. Con la delibera impugnata infine, sono state contestate omissioni informative nei confronti del pubblico che hanno integrato la violazione dell’art. 94, comma 2, TUF, in relazione ai prospetti pubblicati in occasione delle emissioni obbligazionarie realizzate fra il 2014 e il 2015.
Così identificate le ragioni del decidere, la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto la manifesta eterogeneità delle condotte, è immune da censure. Né la logicità RAGIONE_SOCIALE motivazione è
minimamente incrinata dalla considerazione, oggetto di particolare censura da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, che già nel caso RAGIONE_SOCIALE delibera n.19935 era venuta in rilievo l’attività RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nell’ambito RAGIONE_SOCIALE relazione individuale con la clientela. Invero, il fatto che gli illeciti si inserissero nel medesimo ambito di attività RAGIONE_SOCIALE banca, non porta con sé né l’unicità RAGIONE_SOCIALE condotta, né tanto meno l’unicità RAGIONE_SOCIALE violazione, attesa la oggettiva diversità delle disposizioni violate.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 47 Carta dei diritti fondamentali UE, dell’art. 15 l. n. 689/1981, dell’art. 195, co. 7, Tuf, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. per avere la Corte negato la pur patente violazione del contraddittorio insita nelle limitazioni imposte all’accesso agli atti da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente.
La ricorrente sostiene che i principi del giusto processo imporrebbero che siano messi a disposizione dell’incolpato la totalità dei documenti acquisiti dalla pubblica amministrazione, senza che abbia alcuna rilevanza la distinzione fra quelli in concreto utilizzati e quella ritenuti irrilevanti. Si imporrebbe, in altre parole, la esibizione integrale del complesso dei documenti acquisiti, la quale avrebbe consentito il reperimento di fattore ostativi rispetto all’affermazione di responsabilità. La Corte d’appello ha ingiustamente disatteso tale ragione di censura in base alla distinzione, di per sé contraria ai principi sopra richiamati, fondata sulla distinzione fra documenti posti o non a fondamento dell’addebito. In quanto all’ulteriore rilievo proposto al riguardo dalla Corte d’appello, secondo il quale la ricorrente, seppure edotta dell’oggetto specifico di ciascuno dei 2801 documenti acquisiti, non ha formulato alcuna richiesta di acquisizione alla banca, che aveva continuato a detenerli, si sostiene, con il motivo ora in esame, che
la possibilità di acquisizione diretta non varrebbe ad eludere l’obbligo di correttezza imposto all’amministrazione procedente, tenuto che i terzi «potrebbero detenere quei medesimi documenti in forma diversa, atteso che era facoltà RAGIONE_SOCIALE pRAGIONE_SOCIALE. procedere ad acquisizioni selettive o parziali del materiale conservato presso la banca».
Occorreva inoltre considerare, in considerazione RAGIONE_SOCIALE assimilabilità del procedimento amministrativo al procedimento giudiziario, l’insopprimibile esigenza che la prova si formi nel contraddittorio fra le parti, discendendone una ulteriore lesione del diritto di difesa, già compromesso dalla brevità del termine di difesa accordato all’interessato per replicare alle altre 96 pagine RAGIONE_SOCIALE relazione U.S.A.
In relazione a tale specifica deduzione sulla esiguità del termine, la Corte d’appello avrebbe preso una posizione contraria ai principi di derivazione comunitaria, in quanto ha posto l’accento sulla necessità RAGIONE_SOCIALE prova di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa, mentre quei principi impongono incondizionatamente il riconoscimento del diritto di disporre di un termine adeguato all’esercizio delle facoltà difensive.
d)1. ─ Il motivo è infondato. Anche in questo caso si richiamano le considerazioni di Cass. n. 13346 del 2022: «[…] Il motivo si palesa anzitutto inammissibile, denunciando in modo totalmente assertivo una lesione del principio del contraddittorio, senza specificarne le concrete ricadute pregiudizievoli nell’esercizio delle facoltà difensive nel successivo giudizio di opposizione (Cass., S.U., n. 20935/2009). Per altro verso, le garanzie del contraddittorio previste per il procedimento sanzionatorio davanti alla RAGIONE_SOCIALE prima delle modifiche introdotte dalla delibera n. 29158 del 29
maggio 2015 sono da ricondurre al livello proprio del contraddittorio procedimentale, di solito di tipo verticale, svolgendosi tra l’amministrazione e l’interessato su un piano non di eguaglianza, ma in funzione collaborativa, partecipativa e non difensiva, non già di quello di matrice processuale, di tipo orizzontale, che riguarda due parti in posizione paritaria rispetto ad un organo decidente terzo e imparziale (Cass. n. 8046/2016 che, dissentendo dall’interpretazione offerta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1596 del 2015, ha ritenuto che le suddette garanzie fossero soddisfatte dalla previa contestazione dell’addebito e dalla valutazione, prima dell’adozione RAGIONE_SOCIALE sanzione, delle eventuali controdeduzioni dell’interessato, non essendo necessarie né la trasmissione a quest’ultimo delle conclusioni dell’RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, né la sua personale audizione; cfr. anche Cass. n. 20689/2018). Si è già rilevato che il procedimento sanzionatorio delineato dalle norme interne non viola l’art. 6, par. 1, RAGIONE_SOCIALE Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché questo esige solo che, ove detto procedimento non offra garanzie equiparabili a quelle del processo giurisdizionale, l’incolpato possa sottoporre la questione RAGIONE_SOCIALE fondatezza dell'”accusa penale” a un organo indipendente e imparziale, dotato di piena giurisdizione, come la disciplina nazionale gli consente di fare tramite l’opposizione alla Corte d’appello (Cass. n. 25141/2015, che richiama anche Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 marzo 2014, COGNOME e altri c. RAGIONE_SOCIALE; Cass. n. 9371/2020; Cass. n. 16517/2020, per la quale è esclusa la diretta applicabilità, in tale ambito, dei precetti costituzionali degli artt. 24 e 111 Cost., invocabili solo con riferimento al processo che si svolge davanti al giudice, innanzi al quale l’incolpato può impugnare il
provvedimento sanzionatorio con piena garanzia del diritto di difesa e del contraddittorio). Deve inoltre considerarsi come la Corte d’Appello – nel rigettare la richiesta di accesso – abbia in realtà evidenziato come fosse pacifico che i documenti di cui, in maniera generica e indistinta, il ricorrente aveva denunciato la mancata ostensione, non erano stati utilizzati a corredo delle prove costituite poste a fondamento degli addebiti e che -quindi – neppure astrattamente la loro messa a disposizione appariva funzionale a garantire all’opponente l’esercizio del diritto di difesa. L’incolpazione si fondava difatti – su profili giuridico fattuali portati a conoscenza dell’interessato, sicché la richiesta di esaminare l’ulteriore documentazione -oltre ad apparire puramente esplorativa- è stata giudicata irrilevante. In modo pertinente la pronuncia ha richiamato i principi espressi dalla Corte costituzionale (sentenza n. 460/2000), evidenziando la necessaria sussistenza -a tal fine – di un criterio di “rilevanza” legalmente tipizzato, laddove, nell’escludere l’incondizionata valenza del segreto d’ufficio nei confronti dell’interessato destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il giudice delle leggi ha posto in rilievo che la sfera di applicazione dell’art. 4, comma 10, t.u.f., quale che ne sia l’effettiva estensione, certamente non comprende gli atti, le notizie e i dati in possesso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE “posti a fondamento di un procedimento disciplinare, sicché questi, nei confronti dell’interessato, non sono affatto segreti e sono invece pienamente accessibili: non soltanto nel giudizio di opposizione alla sanzione disciplinare, ma anche nello speciale procedimento di accesso regolato dall’art. 25 L. n. 241/1990 (nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), strumento esperibile anche
dall’incolpato nei procedimenti disciplinari, per orientare preventivamente l’azione amministrativa onde impedirne eventuali deviazioni” (Corte cost. n. 460/2000, in motivazione). In via di fatto poi, i documenti di cui trattasi erano stati acquisiti in date diverse (come era emerso dai verbali allegati alla relazione ispettiva, nei quali è indicato l’oggetto specifico di ciascuno dei 2.801 documenti acquisiti dalla RAGIONE_SOCIALE) e riguardo ad essi non risultava introdotta alcuna domanda di accesso, limitata -invece agli ulteriori atti utilizzati ai fini RAGIONE_SOCIALE contestazione. Quanto poi alla richiesta di esibizione in giudizio di tutti gli atti del procedimento, va anzitutto posto in rilievo che, già per previsione generale dell’art. 23 L. n. 689/1981, ora trasfuso nell’art. 6 D.lgs. n. 150/2011, l’amministrazione è tenuta a depositare esclusivamente copia del rapporto, con gli atti relativi all’accertamento e alla contestazione o notificazione RAGIONE_SOCIALE violazione. L’ordine di esibizione delle ulteriori acquisizioni effettuate in sede ispettiva è condizionato ad un giudizio di rilevanza dei documenti che il giudice di merito, con apprezzamento insindacabile, ha ritenuto insussistente. In effetti, in tema di garanzia del giusto processo, non può predicarsi, tanto alla stregua delle norme di rango costituzionale, quanto ai sensi dell’art. 6 CEDU, un obbligo incondizionato del giudice di dar corso all’assunzione di qualsivoglia mezzo istruttorio articolato dalla parte, a prescindere da una valutazione di rilevanza dei fatti da provare, atteso che, da un lato, l’art. 6 cit., pur garantendo il diritto ad un processo equo, non contiene alcuna disposizione riguardante il regime di ammissibilità delle prove o sul modo in cui esse dovrebbero essere valutate, trattandosi di questioni rimesse alla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE legislazione nazionale, dall’altro, la necessità, da parte del giudice, di scrutinare la rilevanza ed
ammissibilità dei singoli mezzi proposti dalla parte si coniuga ed è coerente con i principi RAGIONE_SOCIALE ragionevole durata del processo, con cui collide l’espletamento di attività processuali non necessarie o superflue ai fini RAGIONE_SOCIALE pronuncia (Cass. n. 16517/2020, dettata proprio in tema di procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative; cfr. Corte Edu, sentenza del 30/6/2011 C. 25041/07, richiamata dalla difesa del ricorrente, che ha escluso la violazione delle norme RAGIONE_SOCIALE Convenzione, ove il richiedente non aveva indicato quali elementi non fossero stati versati nel fascicolo e che avrebbero potuto contribuire alla sua difesa, il che escludeva che fosse stata validamente allegata l’offesa al contradditorio ed alla giustizia RAGIONE_SOCIALE procedura). Risulta poi del tutto inconferente il richiamo all’art. 15 RAGIONE_SOCIALE legge n. 689/1981, discutendosi, nello specifico, di mancata esibizione di prove documentali, per le quali non è dato invocare la diversa previsione dettata in materia di accertamenti su campioni […]».
Il quinto motivo denunzia violazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 47 Carta dei diritti fondamentali UE, dell’art. 13 l. 689/198, dell’art. 3, co. 3, l. 241/1990, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per aver la Corte negato la pur patente nullità del provvedimento irrogativo RAGIONE_SOCIALE sanzione insita nell’essersi la Commissione adagiata sulla tecnica RAGIONE_SOCIALE motivazione tramite integrale rinvio ad altro atto.
La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui ha riconosciuto la legittimità del provvedimento sanzionatorio, benché il medesimo fosse privo di motivazione autonoma. La tecnica usata dalla RAGIONE_SOCIALE, tramite il rinvio integrale al c.d. atto di accertamento, rendeva palese la mancata distinzione, rispetto all’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzione, fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. Si richiamano, a sostegno RAGIONE_SOCIALE censura, l’art.3 RAGIONE_SOCIALE l. n. 689 del 1981, nel quale
la ricorrente ravvisa l’affermazione del principio di autosufficienza dell’atto punitivo, che non ammetterebbe, diversamente da quanto ritenuto dal giudice veneziano, integrazione motivazionali esterne. Si sottolinea inoltre che la possibilità RAGIONE_SOCIALE motivazione per relationem dell’atto amministrativo, riconosciuta dall’art. 3, comma 3, RAGIONE_SOCIALE l. n. 241 del 1990, non troverebbe applicazione nell’ambito dei procedimenti sanzionatori retti dalla legge n. 689 del 1981.
e)1. ─ Il motivo è palesemente infondato. Come chiarito da Cass. n. 13346 del 2022 «[…] L’oggetto del giudizio di opposizione è il rapporto sanzionatorio e non l’atto: il sindacato del giudice è esteso alla validità sostanziale del provvedimento impugnato attraverso l’esame autonomo RAGIONE_SOCIALE ricorrenza dei presupposti fattuali e giuridici RAGIONE_SOCIALE violazione. Corollario di tale principio è che l’atto in questione non soggiace alle regole motivazionali, né al rigore del rispetto assoluto dell’iter procedimentale che valgono per gli atti amministrativi discrezionali e, comunque, di natura provvedimentale (Cass., S.U., n. 1786/2010; Cass. n. 17994/2014; Cass. n. 12503/2018). Si è evidenziato che il contenuto dell’obbligo imposto dall’art. 18, comma secondo, L. n. 689/1981 di motivare l’atto applicativo RAGIONE_SOCIALE sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo RAGIONE_SOCIALE motivazione stessa, che è quello di consentire all’ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione. Tale dovere di motivazione deve considerarsi soddisfatto quando dal provvedimento risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è ammissibile la motivazione per relationem mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in
virtù RAGIONE_SOCIALE obbligatoria preventiva contestazione (Cass. n. 16316/2020; Cass. n. 8649/2006) […]».
f) Il sesto motivo denunzia falsa applicazione dell’art. 195, comma 1, TUF, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha operato una valutazione RAGIONE_SOCIALE complessità dell’accertamento avulsa dal caso concreto, contrariamente alle indicazioni RAGIONE_SOCIALE giurisprudenza di legittimità; omesso esame di fatto decisivo, in ogni caso, nella parte in cui la Corte d’Appello ha giustificato la protrazione dei tempi dell’accertamento senza considerare che il documento dalla stessa ritenuto decisivo (il verbale del CdA del 28.4.2015) era stato acquisito già in data 30.6.2015, ed altresì omettendo di verificare in concreto la sussistenza RAGIONE_SOCIALE presunta complessità dello stesso.
La decorrenza del termine di 180 giorni per avviare il procedimento, diversamente da quanto riconosciuto dalla Corte d’appello, non decorreva dal 20 ottobre 2015, ma dal 17 settembre 2015, risultando intempestiva la contestazione effettuata il 4 aprile del 2016, decorsi 198. In verità, continua la ricorrente, la Corte di merito ha ritenuto tempestiva la contestazione in termini assoluti, anche nel caso in cui si volesse assumere come termine iniziale il 17 settembre 2015, avuto riguardo al tempo occorrente all’amministrazione per il compiuto accertamento dei fatti. Secondo la stessa ricorrente, l’una e l’altra affermazioni sarebbero censurabili, in quanto operate in assenza di una adeguata verifica in fatto RAGIONE_SOCIALE reale essenzialità dell’acquisizione operata il 20 ottobre 2015, essendoci inoltre una pluralità di elementi che imponevano di fissare la decorrenza del termine in data ancora anteriore rispetto al 17 settembre 2015, già a partire dal mese di maggio 2015.
f)1. ─ Il motivo è infondato. La decisione impugnata ha anzitutto rilevato che alle acquisizioni documentali effettuate dagli ispettori nelle date del 30.4.2015, 8.5.2015, 30.6.2015, 24.7.2015 e 17.9.2015 (allegati B, C, D, E, F alla relazione ispettiva) avevano fatto seguito le ulteriori acquisizioni del 20.10.2015 (all. G), del 20.1.2016 (all. H), e del 24.2.2016 (all. I), relative ai documenti dal 1501 al n. 2801. Secondo l’incensurabile accertamento del giudice di merito, l’attività ispettiva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non poteva considerarsi tuttavia conclusa il 17.9.2015: il materiale probatorio raccolto dall’autorità di vigilanza sino a tale data non era sufficiente a fornire esaustiva evidenza RAGIONE_SOCIALE violazione, occorrendo acquisire gli ulteriori dati di cui gli ispettori RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono venuti solo successivamente in possesso e ciò anche ai fini RAGIONE_SOCIALE connessione di tale accertamento con le altre violazioni accertate all’esito dell’indagine ispettiva conclusasi con il deposito RAGIONE_SOCIALE relazione ispettiva, avvenuta solo il 25.2.2016, per cui la contestazione contenuta nell’atto notificato al ricorrente in data 4.4.2016 risultava tempestiva. La pronuncia è -in sostanza – del tutto conforme al costante insegnamento di legittimità secondo cui, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che RAGIONE_SOCIALE complessità RAGIONE_SOCIALE materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Cass. n. 21171/2019), competendo al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale
attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (Cass. n. 27405/2019). A tal fine occorre stabilire se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia dell’amministrazione procedente durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenendo altresì conto RAGIONE_SOCIALE sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, dovendo inoltre valutarsi l’utilità degli atti di indagine con giudizio ex ante . In rapporto a tali principi, si capisce che la censura, pur a fronte RAGIONE_SOCIALE formale deduzione di una violazione di legge, attinge direttamente la valutazione riservata al giudice di merito. Inoltre la censura appare ancorata ad un giudizio di superfluità delle ulteriori acquisizioni documentali secondo una valutazione ex post , non legittimamente praticabile al fine di scrutinare la necessità o meno di ulteriori attività istruttorie nella fase procedimentale (Cass. n. 21171/2019; nello stesso senso, Cass. n. 4523/2021 in motivazione, nonché Cass. n. 9254/2018). Inammissibilmente il ricorso invoca -infine -la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5 c.p.c. Nella specie, la ricorrente lamenta l’omessa considerazione dell’insussistenza di una connessione interna tra i vari illeciti contestati, individuando erroneamente come fatto decisivo, ai sensi RAGIONE_SOCIALE citata disposizione, non un dato accadimento oggettivo ma il risultato di un giudizio (ossia, appunto, la suddetta connessione), che è però sottratto all’ambito applicativo dell’art. 360, n. 5 c.p.c.. La norma, riformulata dall’art. 54 D.L. n. 83/2012, conv. con legge n. 134/2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo RAGIONE_SOCIALE sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso RAGIONE_SOCIALE controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio denunciato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., S.U., n. 8053/2014). Costituisce, inoltre, un ‘fatto’, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘accadimento’, in senso storico e normativo, una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 7983/2014; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 29883/2017; Cass. n. 21152/2014; Cass., S.U., n. 5745/2015; Cass. n. 5133/2014). Neppure costituiscono fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. n. 14802/2017; Cass. n. 21152/2014); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il’ vario insieme dei materiali di causa’ (Cass. n. 21439/2015); le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali rappresentano, piuttosto, i fatti costitutivi RAGIONE_SOCIALE ‘domanda’ in sede di gravame, e la cui mancata considerazione, perciò, integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 1539/2018; Cass. n. 21257/2014; Cass. n. 22799/2017; Cass. n. 6835/2017).
Il settimo motivo denunzia violazione dell’art. 191, comma 2, TUF, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha confermato la sanzione applicata alla ricorrente a titolo
di colpa, là dove la fattispecie prevede la sanzionabilità solo a titolo di dolo. Si sostiene da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente che la pronunzia RAGIONE_SOCIALE Corte d’appello non considera che la norma pone un obbligo di completezza (e non di omissione di informazioni rilevanti) esclusivamente in capo a chi è incaricato RAGIONE_SOCIALE redazione del prospetto. Prevedendo la disposizione un illecito a connotazione chiaramente dolosa, nulla potrebbe essere imputato alla ricorrente, che non prese parte ad alcuno dei processi che sfociarono infine nella redazione materiali dei prospetti e quindi «non omise informazioni a lei note quali quelle relative ai finanziamenti correlati di cui la RAGIONE_SOCIALE contesta la mancanza».
g).1 ─ Il motivo è infondato. Per l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzione è sufficiente, anche ai fini dell’addebito di cui si discute, solo la colpa del trasgressore, la cui dimostrazione, ai sensi dell’art. 3 L. n. 689/1981, consegue all’accertamento RAGIONE_SOCIALE condotta (anche omissiva) attuata in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, gravando sull’incolpato la prova dell’inesigibilità del comportamento volto ad impedire la violazione (Cass., S.U, n. 20930/2009). Infatti, le violazioni ascritte alla ricorrente contemplano -difatti -illeciti cd. “di mera trasgressione”, nel senso che l’azione, esaurendosi nella oggettiva difformità rispetto alla fattispecie astratta, si identifica con la condotta inosservante (cd. suitas ), che è neutra sotto l’ulteriore profilo del dolo o RAGIONE_SOCIALE colpa del responsabile (Cass. n. 9546/2018). Sia pure con riferimento a sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, si è precisato che il legislatore ha individuato una serie di fattispecie destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a
parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito. Una volta provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore l’onere di dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass. n. 24081/2019; Cass. n. 11777/2020; Cass. n. 1921/2019). In definitiva, la RAGIONE_SOCIALE era tenuta unicamente a dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme di cui la sentenza da compiutamente conto – che avrebbero dovuto indurre i titolari degli organi di gestione e di controllo, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spettava a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva idonea a scongiurare la commissioni di irregolarità (Cass. n. 22848/2015).
h) L’ottavo motivo denunzia violazione del principio di immutabilità RAGIONE_SOCIALE sanzione in sede di suo controllo giurisdizionale, dell’art. 195, comma 7 bis , nonché dell’art. 6, comma 12, D. Lgs. n. 150/2011 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha confermato la sanzione irrogata ai sensi dell’art. 94, comma 2, TUF per avere la ricorrente violato la disposizione dell’art. 94, comma 7, TUF; omesso esame di fatto decisivo in relazione alla violazione pretesamente accertata. Si sostiene che la Corte d’appello, in violazione del principio di immutabilità RAGIONE_SOCIALE contestazione, ha confermato la sanzione riscontrando la supposta violazione di una norma diversa. Si afferma nella sentenza impugnata che COGNOME NOME, una volta avuto conoscenza del fenomeno dei finanziamenti correlati, in concomitanza con le sedute dal CDA del 28 aprile 2015 e del 18 maggio 2015 tenutesi con la presenza del collegio RAGIONE_SOCIALE, non si sarebbe attivata al fine di far pubblicare un supplemento, che
indicasse la presenza di capitale finanziato, come imposto dall’art. 94, comma 7 TUF. Tale condotta, appunto, allude a un fatto diverso da quello oggetto di contestazione. Nello stesso tempo la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di omesso esame di fatto decisivo, consistente in ciò: se a far tempo da quelle date le informazioni acquisite avrebbero consentito di essere inseriti in un prospetto, ciò voleva dire che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto esercitare il proprio potere di sospensione dei prospetti ai sensi dell’art. 99, comma 1, TUF, il che non era invece avvenuto. Ciò confermava che nessuna inerzia colposa poteva essere imputata all’attuale ricorrente a titolo di colpa, tenuto conto delle iniziative assunte dal RAGIONE_SOCIALE per accertare l’accaduto e definire i rimedi opportuni.
h)1 . ─ Il motivo è infondato. Si legge testualmente nella sentenza impugnata «[…] nel corso dell’assemblea RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE tenutasi in data 26.4.2014, alla quale parteciparono i componenti del collegio RAGIONE_SOCIALE, il socio NOME COGNOME, al termine del proprio intervento, chiese al collegio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALEdi verificare se nel recente passato la Popolare RAGIONE_SOCIALE ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette od indirette a Soci o non Soci RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni od obbligazioni convertibili RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Popolare di RAGIONE_SOCIALE‘. Tale istanza, riportata nel verbale RAGIONE_SOCIALE ridetta assemblea, è stata reiterata al Presidente del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, COGNOME, nel corso di un incontro informale con il COGNOME tenutosi il 25 novembre 2014, nonché con raccomandata A.R. del 12 dicembre 2014, alla quale COGNOME, con nota del 15 dicembre 2014, rispose che ‘le verifiche da lei richieste rientrano tra le attività che le funzioni aziendali di controllo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE continuativamente pongono in essere secondo
le rispettive competenze (…) al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non sono state segnalate situazioni afferenti alle fattispecie descritte nel suo intervento’. A tale carteggio fece seguito la nota del 21 gennaio 2015, con la quale il socio COGNOME, non soddisfatto RAGIONE_SOCIALE risposta del Presidente del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, portò all’attenzione di quest’ultimo la vicenda dei finanziamenti correlati (pag. 282 atto accertamento). Non risulta in alcun modo che, a fronte di tali plurime segnalazioni, il RAGIONE_SOCIALE abbia preso una qualche iniziativa per verificare, in via autonoma, la fondatezza di quanto denunciato da quel socio. D’altro canto, non valgono a deprivare di rilevanza l’intervento del socio COGNOME le osservazioni svolte sul punto dalla ricorrente. […] Ancora, poi, la circostanza che ‘la corrispondenza tra il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (e in particolare il dott. COGNOME) e il socio COGNOME‘ sia successiva alla pubblicazione dei prospetti non è significativa ai fini RAGIONE_SOCIALE violazione contestata, atteso che la stessa va configurata come illecito permanente, e l’opponente, comunque, non si è attivata per pubblicare un supplemento che indicasse la presenza di capitale finanziato, come previsto dall’art. 94, comma 7 del TUF.’ (pag. 52 RAGIONE_SOCIALE pronuncia)».
Risulta con chiarezza da queste considerazioni, che i giudici veneziani si sono limitati a sottolineare che -stante il segnale d’allarme costituito dal menzionato intervento del socio in assemblea sulla necessità di indagare sul fenomeno del capitale finanziato, fenomeno non menzionato nella documentazione di offerta delle obbligazioni RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE – al fine di rispettare il dettato dell’art. 94, comma 2, del TUF, sorgeva l’obbligo in capo ai sindaci di attivarsi al fine RAGIONE_SOCIALE pubblicazione di un supplemento al prospetto. Ma è chiaro che tale considerazione, tenuto conto RAGIONE_SOCIALE
natura permanente dell’illecito, non vuol dire minimamente che la Corte di merito abbia ritenuto ‘concretato un illecito pacificamente ed indiscutibilmente diverso’ da quello accertato dalla RAGIONE_SOCIALE. L’omissione sanzionata è rimasta pur sempre quella iniziale.
Il nono motivo denunzia violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha fondato l’accertamento RAGIONE_SOCIALE negligenza RAGIONE_SOCIALE ricorrente su una pretesa esistenza di indici sintomatici del fenomeno dei finanziamenti correlati, pur taciuto al RAGIONE_SOCIALE; dedotto esame di fatto decisivo, idoneo a demolire la coerenza logica dell’argomentazione fatta propria dalla Corte d’Appello, nella parte in cui sono stati valorizzati i già menzionati indici sintomatici.
La sentenza è censurata perché la corte d’appello avrebbe riconosciuto la negligenza RAGIONE_SOCIALE ricorrente in base all’esame di singole posizioni, che di per sé non consentivano di ricavare elementi presuntivo idonei a fondare un giudizio di colpa riferito alla non conoscenza del fenomeno dei finanziamenti correlati e dell’entità del medesimo, di cui i sindaci non avevano avuto conoscenza, dovendosi allo stesso tempo escludere anche la semplice conoscibilità del fenomeno stesso.
Il decimo motivo denunzia violazione dell’art. 3 l. n. 689/1981, come interpretato alla luce dell’art. 6 CEDU, nonché dell’art. 7, co. 10, d.lgs. n. 150/2011, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per essere stato disatteso il principio di presunzione di innocenza.
Il ragionamento proposto dalla Corte d’appello, secondo cui, una volta provata la fattispecie tipica dell’illecito, grava sull’interessato l’onere di provare l’assenza di colpevolezza, è frutto di un travisamento del dato normativo. La regola generale in materia è
nel senso RAGIONE_SOCIALE presunzione di non colpevolezza. A sua volta l’art. 11, comma 6, del d. lgs. n. 150 del 2011, impone l’accoglimento dell’opposizione quanto non sono raccolte prove sufficienti RAGIONE_SOCIALE responsabilità dell’opponente.
m) L’undicesimo motivo denunzia violazione di legge, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello giudicato sulla base RAGIONE_SOCIALE cd. presunzione di colpevolezza ritraibile dall’art. 3 l. n. 689/1981, omettendo di valorizzare il limite all’operare RAGIONE_SOCIALE stessa, quale individuato nella giurisprudenza di codesta Suprema Corte; omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., in merito alla circostanza -pacifica nella presente vicenda -dell’occultamento RAGIONE_SOCIALE propria condotta illecita da parte di un gruppo di dirigenti al livello di Direzione generale: e ciò pur in presenza di fatti accertati ed incontroversi in tal senso risultanti dallo stesso atto di accertamento.
Nel caso in esame la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che la presunzione di colpevolezza, ammessa non concessa la sua sussistenza, non poteva operare, in quanto l’intero fenomeno era riconducibile alla sola dirigenza RAGIONE_SOCIALE banca, che aveva mantenuto segreta l’iniziativa volta ad accordare sostegno finanziario per l’acquisto delle proprie azioni. Il ragionamento del giudice di merito, da un lato, ha comportato violazione di legge, non considerando che la supposta presunzione di colpa consente la prova liberatoria, dall’altro è incorso nel vizio di omesso esame di fatti decisivi, perché non ha tenuto conto di una serie di elementi da cui risultava che, in epoca precedente l’informativa sui primi esiti delle indagini, la ricorrente non aveva la possibilità di avere conoscenza del fenomeno dei finanziamenti correlati.
n) Il dodicesimo motivo denunzia omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto comunque irrilevanti, ai fini di escludere la colpa in capo alla ricorrente, sia l’attività dolosa dell’alta dirigenza RAGIONE_SOCIALE banca, sia l’effettivo funzionamento dei controlli interni,
La sentenza ha trascurato il fatto, oggettivamente decisivo che «prima dell’avvio delle attività di indagine delle autorità di vigilanza» le strutture di controllo non avevano mai evidenziato dubbi sulla correttezza RAGIONE_SOCIALE condotta del personale o del rischio di violazioni dei divieti contenuti nel manuale soci e nella c.d. policy sulle azioni proprie». In particolare, la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto che «il sistema dei controlli RAGIONE_SOCIALE banca aveva funzionato e solo l’accidia del funzionario di vertice di quel sistema […] ha fatto sì che le trame dell’alta dirigenza, rigorosamente tenute occulta al RAGIONE_SOCIALE, non siano arrivate all’attenzione degli organi di controllo».
i-l-m-n)1. ─ I quattro motivi vanno valutati congiuntamente ed appaiono infondati. Questa Corte ha reiteratamente ribadito che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni previste dal t.u.f., sussiste la responsabilità dei sindaci che omettano o esplichino in modo inadeguato il controllo su tutta l’attività sociale, poiché il dovere di vigilanza sancito dall’art. 2403 c.c. non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma attiene al regolare svolgimento dell’intera gestione dell’ente ed è posto a tutela, oltre che dei soci, anche dei creditori sociali, in modo ancora più stringente nelle società quotate, considerata l’esigenza di garantire l’equilibrio del mercato (Cass. n. 1601/2021). È stato precisato che «In tema di sanzioni amministrative per violazione
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione RAGIONE_SOCIALE struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio RAGIONE_SOCIALE, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo “quoad functione”, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto RAGIONE_SOCIALE salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche RAGIONE_SOCIALE verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno RAGIONE_SOCIALE società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare RAGIONE_SOCIALE, a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE» (Cass. n. 6037/2016). È stato anche chiarito che la responsabilità dei sindaci sussiste, dunque, indipendentemente dall’esito delle singole operazioni ed anche a fronte di insufficienti informazioni da parte degli amministratori, potendo gli stessi avvalersi RAGIONE_SOCIALE vasta gamma di strumenti informativi ed istruttori, prevista dall’art. 149 del d. lgs. n. 58 del 1998 (Cass. n. 5357/2018).
Richiamati tali principi, occorre rimarcare che, nella specie, la sentenza impugnata ha specificamente esaminato l’assunto dell’opponente circa la non conoscibilità delle sistematiche operazioni di finanziamento alla clientela a causa delle manovre di occultamento realizzate dalle funzioni aziendali di vertice. La sentenza minuziosamente passato in rassegna gli elementi istruttori, per infine concludere «sulla scorta di tali preganti
evidenze probatorie, deve ritenersi che l’opponente fu certamente edotto dal 28.4.2015 del fenomeno del capitale finanziato, e che in epoca antecedente a tale data fosse nella condizione di acquisirne piena consapevolezza.
A fronte di tali elementi, giudicati dalla Corte veneta direttamente dimostrativi dell’elemento soggettivo dell’illecito, le deduzioni di parte ricorrente non eccedono la soglia delle controdeduzioni di puro merito, pretendendo di riproporre in sede di legittimità il giudizio sul fatto.
Il tredicesimo motivo denunzia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., nella parte in cui la Corte d’appello ha disposto la condanna alle spese RAGIONE_SOCIALE ricorrente a vantaggio di RAGIONE_SOCIALE, nonostante quest’ultima si sia difesa con funzionari interni e non con avvocati del libero foro, senza pertanto incorrere in alcuna spesa (al di là dello stipendio già garantito ai medesimi funzionari) per la difesa in giudizio.
o)1. ─ Il motivo è evidentemente destituito di fondamento. Il principio richiamato in motivo si attaglia alla ipotesi in cui il funzionario intervenuto in giudizio non rivesta la qualità di avvocato, in quanto non iscritto, come invece i difensori di parte controricorrente, all’elenco speciale in passato disciplinato dall’art. 3 co. 4 lett. B del RD n. 1578/1933, ed oggi dall’art. 15 lett. C) RAGIONE_SOCIALE legge n. 247/2012. Pur dovendosi ribadire le peculiarità RAGIONE_SOCIALE disciplina approntata per tale categoria di professionisti (Cass., S.U., n. 19547/2010, secondo cui l’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE speciale degli avvocati e procuratori legali dipendenti da enti pubblici richiede, quale presupposto imprescindibile, la ‘esclusività’ dell’espletamento, da parte degli stessi, dell’attività di assistenza, rappresentanza e difesa dell’ente pubblico, presso il quale prestano
la propria opera, nelle cause e negli affari dell’ente stesso, essendo l’esclusività negata qualora accanto a compiti riconducibili alla attività di assistenza e rappresentanza e difesa dell’ente svolgano mansioni amministrative o, comunque di natura diversa; Cass., S. U., n. 3733/2002), risulta tuttavia evidente, in ragione dell’iscrizione all’RAGIONE_SOCIALE circondariale, sebbene in un elenco speciale, che si tratta di soggetti legittimamente esercenti la professione forense. La liquidazione delle spese processuali in favore dell’amministrazione patrocinata deve quindi avvenire in applicazione delle tabelle vigenti (Cass. n. 19274/2006; Cass. n. 4970/1990).
Nella memoria da ultimo depositata la ricorrente chiede che il RAGIONE_SOCIALE, con rinvio pregiudiziale, sottoponga alla Corte di giustizia UE alcuni quesiti al fine di verificare se le sanzioni per le violazioni in questione siano o meno compatibili con i principi e la normativa europea (Carta dei diritti fondamentali UE, artt. 6 e 7 CEDU): l’istanza, manifestamente infondata, va respinta.
Innanzitutto, è utile mettere in evidenza che l’oggetto RAGIONE_SOCIALE domanda di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte di giustizia deve riguardare l’interpretazione o la validità del diritto dell’Unione, e non (come nel caso di specie pare sostanzialmente intendere il ricorrente) l’interpretazione delle norme del diritto nazionale o questioni di fatto sollevate nel procedimento principale (così C. giust., Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale, 2018/C 257/01, in Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 20/07/2018).
Inoltre, per la giurisprudenza di questa Corte «non v’è diritto RAGIONE_SOCIALE parte all’automatico rinvio pregiudiziale ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cass., S.U.,
08/07/2016, n. 14043), bastando che le ragioni siano espresse (Corte EDU, in caso NOME COGNOME e Rezabek c. Belgio), ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, in caso RAGIONE_SOCIALE, par. 36), ovverosia quando l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE norma e del caso siano evidenti (Cass., S.U., 24/05/2007, n. 12067). Infatti, un organo giurisdizionale di ultima istanza non è tenuto a presentare alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale (art. 267 comma 3 TFUE), qualora esista già una giurisprudenza consolidata in materia o qualora la corretta interpretazione RAGIONE_SOCIALE norma di diritto di cui trattasi non lasci spazio a nessun ragionevole dubbio (Raccomandazioni 2016. C. – 439.01, par. 6)» (Cass., Sez. U., 19/06/2018, n. 16157, in motivazione, p. 5.5.; nello stesso senso, tra le tante, Cass. 07/06/2018, n. 14828; Cass. 16/06/2017, n. 15041, secondo cui il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché l’interpretazione sia auto-evidente oppure il senso RAGIONE_SOCIALE norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce RAGIONE_SOCIALE Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale). Ed anche la Corte costituzionale (sentenza n. 28 del 2010, in motivazione al p. 6) ha ritenuto che sia da escludere il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, non «necessario quando il significato RAGIONE_SOCIALE norma comunitaria sia evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza RAGIONE_SOCIALE Corte di giustizia».
Come ricorda da ultimo Cass. Sez. 1, Ord. interloc. 30/12/2024, n. 34898, la Corte di giustizia (C. giust., 06/10/2021, C-561/19), dopo aver rimarcato che il rinvio pregiudiziale costituisce la chiave
di volta del sistema giurisdizionale istituito dai trattati, ha ribadito e sviluppato i criteri (già espressi nella sentenza Cilfit) al ricorrere dei quali viene meno l’obbligo dei giudici di ultima istanza di rivolgersi alla Corte in presenza di questioni di interpretazione del diritto eurounitario. Si tratta, oltre ai casi di irrilevanza RAGIONE_SOCIALE questione, dell’ acte éclairé , ovverosia quando la questione sia materialmente identica ad altra già decisa o vi sia una giurisprudenza consolidata RAGIONE_SOCIALE Corte sul punto, e dell’ acte clair , quando l’interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con evidenza tale da non dare adito a ragionevoli dubbi. Per la Corte di giustizia l’iniziativa delle parti nel giudizio di ultima istanza non può privare il giudice RAGIONE_SOCIALE propria indipendenza nel vagliare se ricorra una delle ipotesi di cui alla sentenza Cilfit, obbligandolo così a presentare un rinvio pregiudiziale.
Tornando alla fattispecie concreta in esame, ritiene il RAGIONE_SOCIALE che non vi sia necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in quanto, per la consolidata giurisprudenza di legittimità (RAGIONE_SOCIALE quale si è dato conto nelle pagini precedenti), le sanzioni amministrative pecuniarie applicate dalla RAGIONE_SOCIALE per violazione in materia di offerta al pubblico di titoli ex art. 94 TUF, non sono sanzioni amministrative di carattere punitivo, non pongono un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (secondo l’interpretazione RAGIONE_SOCIALE sentenza RAGIONE_SOCIALE Corte EDU del 04/03/2014, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e altri c. RAGIONE_SOCIALE), nel senso che non sono equiparabili, per tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, alle sanzioni RAGIONE_SOCIALE relative all’abuso di informazioni privilegiate (Cass. nn. 12031/2022 e 4524/2021) e alla manipolazione del mercato (Cass. nn.
17209/2020 e 24850/2019), entrambe ritenute sostanzialmente penali;
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrente, liquidate in € 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Seconda Sezione civile RAGIONE_SOCIALE Corte suprema di cassazione il 13/02/2025.
Il Presidente NOME COGNOME