Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12958 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 34640 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto
da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentate e difese, la prima, giusta procure speciali rispettivamente in calce al ricorso e in allegato alla memoria, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, coi quali si domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, la seconda, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, col quale elettivamente si domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
-ricorrenti- contro RAGIONE_SOCIALE riconosciuta ‘RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura
Oggetto: Liquidazione di entiRivendica di beni mobiliProva.
speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, c ol quale elettivamente si domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
-controricorrente-
per la cassazione del decreto del Tribunale di Rimini depositato in data 8 ottobre 2019;
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale del 26 marzo 2024 dalla presidente NOME COGNOME.
Rilevato che:
emerge dal decreto impugnato che NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità indicata in epigrafe, proposero, senza successo, domanda di rivendicazione del bene immobile di proprietà di NOME COGNOME, che costituiva la sede dell’RAGIONE_SOCIALE riconosciuta ‘RAGIONE_SOCIALE, loro pervenuto in via ereditaria, nonché dei beni mobili (libri e opere d’arte) che ivi si trovavano, in quanto beni personali del de cuius ;
il tribunale ha accolto parzialmente la successiva opposizione allo stato passivo (formato in applicazione degli artt. 30 c.c., 16-20 disp. att. c.c., 209 l.fall., relativi alla formazione del passivo nel procedimento di liquidazione generale del patrimonio delle associazioni riconosciute come persone giuridiche) limitatamente alla domanda di restituzione dell’immobile, in quanto oggetto di un contratto di comodato; la disdetta del contratto è stata ancorata, in mancanza di prova di disdette precedenti, alla notificazione del ricorso in opposizione e del decreto di fissazione di udienza, di modo che il momento di cessazione degli effetti del contratto è stato collocato alla data del 31 dicembre 2019;
il tribunale ha, invece, rigettato la domanda di rivendica dei beni mobili perché priva di adeguato supporto probatorio, posto che, ha argomentato, le ricorrenti non avevano dedotto in modo specifico capitoli di prova da sottoporre ai testi, limitandosi ad affermare che la presenza dei beni all’interno dell’immobile ancor prima della
costituzione dell’ente di per sé avrebbe provato che proprietario ne era NOME COGNOME, e non già l’aRAGIONE_SOCIALE ;
le ricorrenti propongono ricorso contro questo decreto per ottenerne la cassazione, che affidano a tre motivi, cui la procedura di liquidazione dell’aRAGIONE_SOCIALE risponde con controricorso;
NOME COGNOME deposita memoria corredata di procura speciale rilasciata a due nuovi difensori;
in considerazione della tardività delle comunicazioni di fissazione dell’adunanza del 10 ottobre 2023 , per l’inosservanza del termine di sessanta giorni prima di questa, posto dall’art. 377, comma 2, c.p.c. nel testo novellato dal d.lgs. n. 149/22 applicabile in giudizio, sanata soltanto in relazione a NOME COGNOME, che ha depositato memoria, ma non in relazione a NOME COGNOME, che non vi ha provveduto, il giudizio è stato rinviato a nuovo ruolo;
-ne è seguita la fissazione dell’odierna adunanza .
Considerato che:
1.- col primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., perché il tribunale non avrebbe valutato i fatti decisivi ricavabili dalla documentazione prodotta in sede di opposizione, relativi alla domanda di rivendica dei beni mobili;
il motivo è inammissibile, anche di là dalla sua formulazione, con la quale si deduce violazione o falsa applicazione di legge, ma si lamenta l’omesso esame di fatti decisivi;
in realtà, nessun fatto in senso storico-naturalistico è indicato, posto che la censura è nella sostanza calibrata su alcune dichiarazioni contenute nella relazione del liquidatore sullo stato della procedura di liquidazione del 2016, non menzionata nel decreto impugnato e che non risulta se e quando sia stata prodotta, secondo le quali non sarebbe esistita traccia delle opere d’arte nei documenti dell’aRAGIONE_SOCIALE ;
queste dichiarazioni sono comunque prive del carattere della decisività, a fronte del costante orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di rivendicazione di beni mobili, incombe sul ricorrente ex art. 103 l. fall., richiamato dall’art. 209 l.fall ., cui a propria volta fa richiamo l’art. 16 disp.att. c.c., l’onere di dimostrare il proprio diritto sui medesimi beni (tra varie, Cass. n. 13884/15; n. 20191/17) : la mancanza di traccia nei documenti dell’aRAGIONE_SOCIALE non implica certo la dimostrazione del diritto del terzo sui beni;
e irrilevante a tale fine è, di per sé, il « fax inviato nel luglio del 2000 da una famosissima casa d’aste all’indirizzo dell’aRAGIONE_SOCIALE, ma riservato personale al signor COGNOME, attestante il pagamento della vendita di un’opera direttamente a quest’ultimo e non dell’aRAGIONE_SOCIALE » (così a pag. 5 del ricorso), del quale, peraltro, non si trascrive il contenuto, né si allega il momento di produzione in giudizio; del pari irrilevante è il riferimento, generico e assertivo, alla « documentazione prodotta », del la quale non v’è specificazione, che secondo le ricorrenti dimostrerebbe che i beni dei quali si discute sarebbero stati regali personali degli artisti a NOME COGNOME;
col secondo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la violazione, falsa o omessa applicazione dell’art. 99, comma 2, n. 4, l.fall., là dove il tribunale ha ritenuto inammissibile la prova per testi, in quanto genericamente articolata;
il motivo è infondato;
-il peculiare regime dettato dall’art. 621 c.p.c. richiamato dall’art. 103 l.fall. contempla una presunzione legale relativa di appartenenza al debitore dei beni mobili pignorati, rinvenuti nell ‘abitazione o nell’azienda a lui riferibili , che opera sul presupposto di una relazione di fatto tra il debitore e questi particolari spazi di vita professionale o familiare, perché chi ne gode, anche sulla base di un contratto di comodato, può liberamente introdurvi e solitamente vi introduce cose che gli appartengono (Cass. n.
2909/07, secondo cui è azienda del debitore anche quella ubicata in un immobile preso in locazione);
ne deriva una innegabile limitazione probatoria per il terzo, il quale, per dimostrare il proprio contrapposto diritto, non può avvalersi, di norma, né (espressamente) della prova testimoniale, né (per consolidata giurisprudenza) di quella presuntiva (ex multis , Cass. n. 23215/12; n. 20191/17, cit.);
al riguardo questa Corte richiede che il terzo che rivendichi la proprietà o altro diritto reale su beni compresi nell’attivo fallimentare (e, quindi, della liquidazione dell’ente, in base alla combinazione degli artt. 16 disp.att. c.c. e 209 l.fall.) fornisca la cd. ‘doppia prova’, dimostrando cioè, con atto scritto avente data certa anteriore al fallimento (così come alla liquidazione), sia il proprio diritto reale, sia il titolo dell’affidamento del bene al debitore esecutato ( ex plurimis, Cass. n. 7078/1997; n. 12684/2004; n. 27092/2011; n. 13884/2015, cit.; n. 28105/2020);
t ale rigorosa regola subisce un’eccezione espressa solo qualora « l’esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore » (così lo stesso art. 621 c.p.c.): in tal caso, infatti, il terzo può dimostrare il proprio diritto con testimoni (espressamente) o anche a mezzo presunzioni (da ultimo, Cass. n. 34451/23);
nel caso in esame, la formulazione del capitolo riportato nell’esplicazione del motivo (che peraltro, si assume in controricorso, « altro non era se non una parte della narrativa dell’atto introduttivo »: pag. 11) è già di per sé priva di decisività;
si legge in ricorso che « nell’atto di opposizione vengono indicati i testi su circostanze specifiche, chiarendo che ‘costoro potranno confermare che le opere d’arte presenti sul viale d’accesso all’immobile, così come quelle collocate all’interno degli uffici del RAGIONE_SOCIALE, erano già presenti prima del 1969, anno di costituzione dell’aRAGIONE_SOCIALE, e che, in ogni caso, i beni mobili di
natura artistica inventariati non sono altro che omaggi indirizzati personalmente al Prof. COGNOME »: il capitolo pecca di specificità, e quindi, appunto, è carente di decisività, in relazione alla correlazione tra beni, omaggi e autori di questi, anche perché non si indica a qual titolo i soggetti chiamati a rispondere, non menzionati, potessero essere a conoscenza delle circostanze in questione (Cass. n. 5479/06; n. 17915/10; n. 19985/17);
e comunque il capitolo riportato non fa cenno alcuno alle caratteristiche della professione esercitata dal de cuius ;
la censura è respinta;
-col terzo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano, in relazione all’epoca della disdetta del contratto di comodato concernente l’immobile, la violazione, falsa o omessa applicazione dell’art. 99, comma 2, n. 4, l.fall., e degli artt. 112 e 115 c.p.c., là dove il tribunale non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni contenute nel verbale d’inventario e delle ammissioni contenute nella relazione del liquidatore;
il motivo è inammissibile per carenza di specificità e di decisività;
anzitutto, le dichiarazioni contenute nel verbale d’inventario sono riferite ai difensori delle ricorrenti e sono per conseguenza prive di qualsivoglia rilevanza probatoria;
inoltre, si ribadisce, non si specifica in ricorso, col quale pure si sostiene che nel giudizio di opposizione allo stato passivo si debba tener conto della documentazione già presente nel fascicolo, se e quando la relazione del liquidatore fosse stata prodotta (circostanza, questa della produzione, che la controricorrente recisamente esclude), né, per il rispetto della norma dell’art. 99, comma 2, n. 4 l.fall., che essa sia stata oggetto di « specifica indicazione » in sede di ricorso per opposizione (vedi Cass. n. 14916/19; n. 25663/20), sia pure con espressioni di tenore complessivo e riassuntivo (Cass. n. 29197/23);
inoltre, la parte non si può dolere, per mezzo della deduzione della violazione dell’art. 115 c.p.c., del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali del compendio probatorio acquisito al giudizio, occorrendo, invece, che il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali o fatti erroneamente qualificati come notori (Cass., sez. un., n. 20867/20; n. 12971/22; n. 37382/22; n. 13165/23).
-il ricorso va quindi respinto e le spese seguono la soccombenza.
Per questi motivi
la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti a pagare le spese, che liquida in euro 6000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2024.