Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21532 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21532 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. R.G. 11517/2024, proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO ;
RICORRENTE
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME E NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 379/2017, pubblicata in data 6.3.2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 3.4.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha citato in giudizio NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Catania per ottenere il pagamento del saldo del corrispettivo, pari ad €. 14.614,71, derivante dall’esecuzione di
Oggetto: appalto
lavori edili, sostenendo che, a fronte di un debito di €. 29.514,71, il convenuto aveva versato acconti per €. 15.000,00.
NOME ha contestato la domanda, affermando di aver versato il maggior importo di €. 26.350,00 e che i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte, occorrendo €. 16.800 per l’eliminazione dei vizi, somma di cui ha chiesto il pagamento in via riconvenzionale.
In corso di causa è deceduto NOME e il processo è proseguito nei confronti degli eredi.
All’esito, con sentenza n. 2065/2012 il Tribunale ha rigettato la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, ha condannato l’attore al pagamento di €. 1.008,25 oltre accessori, regolando le spese.
La sentenza è stata impugnata da entrambe le parti.
La Corte d’appello di Catania ha respinto l’impugnazione principale del COGNOME e ha accolto quella incidentale degli eredi NOME, disponendo la condanna dell’attore al pagamento di €. 16.417,25 a titolo di risarcimento del danno.
Il Giudice distrettuale ha ritenuto inammissibile l’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi delle opere per tardività della denuncia, sostenendo che, trattandosi di eccezione in senso stretto, doveva essere proposta nel rispetto delle preclusioni; nel merito ha ritenuto l’appaltatore responsabile esclusivo dei danni, evidenziando che questi avrebbe dovuto segnalare al committente la non regolare omogeneità della muratura e le conseguenze del perdurare delle infiltrazioni nelle strutture in cemento armato, oltre a denunciare gli errori di progetto di cui si sia avveduto. Ha respinto la pretesa dell’appaltatore di calcolare anche l’iva sui lavori eseguiti, poiché il ricorrente non aveva mai emesso fattura.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a due motivi. NOME, NOME, NOME hanno resistito con controricorso ed hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2226, 2697 c.c. 183, ultimo comma, c.p.c., per avere la Corte d’appello dichiarato immotivatamente la tardività dell’eccezione di decadenza dalla denuncia dei vizi, non avvedendosi che compete al committente dar prova del tempestivo invio della denuncia quale condizione della domanda di risarcimento del danno per vizi delle opere.
Il motivo è infondato.
L’eccezione di tardività della denuncia dei vizi, proposta nella memoria di cui all’art. 183, ultimo comma c.p.c., nel testo anteriore alla riforma del dl. 35/2005, era tardiva, dovendo esser proposta alla prima udienza di trattazione (art. 183, comma quarto c.p.c.) ove l’attore poteva sollevare tutte le eccezioni scaturite dalla domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per vizi della opere, non essendo la tardività rilevabile d’ufficio.
A tale principio, già affermato in tema di appalto e di vendita, deve darsi continuità anche per il contratto d’opera benché la denuncia costituisca una condizione dell’azione di responsabilità del prestatore d’opera .
Va evidenziato che, secondo quanto dispone l’art. 2226, comma secondo, c.c., la mancanza o tardività della denuncia costituisce una causa di decadenza dalla garanzia e, pertanto, la norma va coordinata con il disposto dell’art. 2969 c.c. secondo cui la decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, salvo che,
trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità dell’azione.
Occorre quindi distinguere due specie di decadenza: l’una a tutela di un interesse superiore, in materia indisponibile, per la quale non è ammessa rinunzia ed è possibile il rilievo d’ufficio; l’altra, quale quella di cui si discute, posta a tutela di interessi individuali, essendone consentita la rinuncia e necessitando di apposita eccezione, da proporsi ritualmente, affinché il giudice possa pronunciare in merito.
A tale secondo tipologia di decadenza appartiene quella, di cui al primo comma dell’art. 2226 cod. civ., collocandosi la materia nell’ambito dei diritti disponibili dalle parti (cfr., per tali principi, Cass. 18078/2012; Cass. 8187/2000).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 6 e 21 del DPR 633/1973, 1241, 1253 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la decisione per non aver riconosciuto l’importo dell’iva sui lavori eseguiti, non considerando che in materia d’imposta sul valore aggiunto le prestazioni si considerano effettuate al momento del pagamento del corrispettivo e che solo in tale momento deve essere emessa anche la fattura, per cui, nel regolare i rapporti di dare avere tra le parti, le somme dovute al ricorrente dovevano essere maggiorate con l’imposta a titolo di rivalsa, dovendo emettersi la fattura solo in seguito all’operata compensazione tra il corrispettivo ancora dovuto e il risarcimento riconosciuto in sentenza.
Il motivo è infondato.
Il DPR. 633 del 1972 prescrive che per ciascuna delle operazioni imponibili, tra le quali l’esecuzione di lavori, deve essere emessa dal prestatore una fattura per l’ammontare del corrispettivo, che costituisce la base imponibile dell’imposta dovuta.
L’art. 18, comma 1, prevede, inoltre, l’obbligo, per il soggetto che ha effettuato la prestazione di servizi, di addebitare l’imposta, a titolo di rivalsa, al committente, tenuto al pagamento del corrispettivo.
In particolare, “l’operazione si considera effettuata”, ai sensi dell’art. 6, del citato decreto “all’atto del pagamento del corrispettivo”, salvo che sia stata emessa anteriormente fattura o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, poiché in tal caso, l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento. La fatturazione all’atto della ricezione del pagamento o al momento della prestazione del servizio stesso costituisce una facoltà concessa ai prestatori di servizi , ma rappresenta, dal punto di vista civilistico, l’evento generatore anche del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, pur se ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso (Cass. 20537/2020; Cass. 22276/2016; Cass. 17876/2013; Cass. 8222/2011, Cass. 15690/2008).
Resta escluso però che il prestatore di servizi possa rivalersi dell’imposta nei confronti del committente senza aver emesso la fattura (Cass. 20117/2013; Cass. 12167/2007).
Di conseguenza, non avendo il ricorrente mai fatturato il corrispettivo dei lavori eseguiti, nulla poteva pretendere dal committente a titolo di rivalsa Iva ai fini della regolazione delle reciproche ragioni di credito.
Il ricorso è respinto, con aggravio delle spese processuali. Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda