Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9529 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 9529 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso 29446-2020 proposto da:
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avv.
COGNOME
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall NOME COGNOME
‘avv.
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 320/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata in data 11/02/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME
uditi l’ avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto ricorso
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 2.4.2010 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Molfetta, invocando, nell’ordine:
l’accertamento del grave inadempimento della convenuta al contratto preliminare di compravendita del 14.5.2007, con il quale la stessa si era impegnata a vendere ad Azzolini Corrado, per sé o persona da nominare, un immobile in Molfetta e della validità della nomina della COGNOME quale persona alla quale intestare il cespite compromesso in vendita;
l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. in favore della COGNOME, o in subordine di COGNOME Corrado, con impegno di questi ultimi al saldo del corrispettivo pattuito per la compravendita non conclusa;
la condanna della convenuta al pagamento della penale prevista nel preliminare, quantificata in € 80.000 ovvero nella diversa somma di spettanza;
la condanna della convenuta a redigere regolamento condominiale e tabelle millesimali, in esecuzione dell’obbligazione prevista dal contratto preliminare.
Gli attori sostenevano che la promittente venditrice, dopo aver ricevuto la somma pattuita come acconto, aveva rinviato la stipula del definitivo, dapprima non predisponendo la documentazione occorrente per lo stesso, e poi dichiarando di non avere intenzione di cedere il bene alla RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva in giudizio la convenuta, resistendo alla domanda e chiedendo a sua volta la condanna degli attori al pagamento della penale convenzionalmente pattuita nel contratto preliminare di cui è causa.
Nel termine di cui all’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., gli attori davano atto che nelle more era stato concluso il definitivo e rinunciavano dunque alla domanda ex art. 2932 c.c. Spiegavano tuttavia ulteriore domanda di condanna della convenuta al pagamento delle spese corrisposte al notaio per detta stipula, ai sensi di quanto previsto dall’art. 8 del contratto preliminare di compravendita oggetto di causa, nonché al risarcimento del danno derivante dall’eventuale aumento del tasso di interesse e dello spread richiesto dall’istituto di credito per l’erogazione di un mutuo a distanza di tempo dalla data prevista originariamente per la stipula del rogito.
Con sentenza del 22.9.2016 il Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda di accertamento della validità della nomina della COGNOME; dichiarava non luogo a provvedere sulla domanda ex art. 2932 c.c., su quella di condanna della venditrice alla redazione del regolamento condominiale e delle tabelle millesimali; dichiarava inammissibili le domande nuove proposte dagli attori con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c.; dichiarava
inammissibile la domanda di condanna della venditrice al pagamento della penale convenzionalmente pattuita, per divieto di cumulo ex art. 1383 c.c.; rigettava la domanda riconvenzionale della convenuta; compensava le spese del grado.
Con la sentenza impugnata, n. 320/2020, la Corte di Appello di Bari rigettava il gravame interposto dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di prime cure, condannandoli alle spese del secondo grado del giudizio di merito.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME Corrado e COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOMECOGNOME
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per il rigetto del ricorso ed ambo le parti costituite hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, l’avv. NOME COGNOME per la parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento, e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, il quale ha insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare il grave inadempimento della promittente venditrice alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare del 14.5.2007, posto che in esso era prevista la stipula del definitivo entro la fine di maggio 2009, mentre il rogito era stato concluso soltanto il 12.7.2010. La Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato il consenso delle parti allo
spostamento della data prevista per il rogito, mentre in atti non vi era alcuna evidenza della sua prestazione da parte degli odierni ricorrenti.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha innanzitutto escluso che il termine per la stipula del definitivo previsto dal contratto preliminare del 14.5.2007 avesse natura essenziale, ritenendo insufficiente a tal fine il solo fatto che in esso fosse stata indicata la fine di maggio 2009. Ha poi evidenziato ‘… che gli stessi promissari acquirenti avevano consentito alla proroga, peraltro giustificata dalla necessità di acquisire i mutuo bancario; inoltre, non è neppure emerso che il ritardo rispetto al termine fissato nel preliminare fosse addebitabile all’appellata che, al contrario, si è resa disponibile a procedere alla stipula’ (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). La Corte ha quindi escluso la configurabilità dell’inadempimento della promittente venditrice, ritenendo che essa non fosse venuta meno agli accordi assunti con il contratto preliminare oggetto di causa; la COGNOME, infatti, aveva partecipato a tutti gli incontri con il notaio, aveva inviato agli odierni ricorrenti un atto stragiudiziale in data 28.6.2010 per invitarli alla stipula del definitivo (cfr. ancora pag. 6 della sentenza), e gli incontri previsti per la stipula, del 15.1.2010 e del 19.3.2010 erano stati rinviati, il primo per assenza della documentazione catastale, ed il secondo per la presenza di alcuni errori nella bozza che la promittente venditrice aveva ricevuto soltanto il giorno precedente.
Il giudice di seconde cure ha ritenuto che la mancanza dei documenti catastali in occasione del primo incontro fissato per la stipula non costituisse grave inadempimento della promittente venditrice, in quanto i promissari acquirenti erano consapevoli di acquistare un immobile in corso di costruzione, per il quale dunque, al momento del compromesso, non esistevano i dati catastali, posto che
l’accatastamento sarebbe avvenuto alla fine del termine fissato per l’edificazione. Ha inoltre ravvisato l’intenzione dei promissari acquirenti ‘… di non ritenere perduta l’utilità economica del contratto, con l’inutile decorso del termine …’ considerato che il differimento del rogito, da maggio 2009 a luglio 2010, era stato causato, da un lato, dai tempi medi degli uffici per procedere all’accatastamento del cespite; dall’altro, dal fatto che gli stessi odierni ricorrenti avevano ottenuto la delibera di mutuo a gennaio 2010; ed infine, valorizzando la mancata contestazione specifica dei promissari acquirenti, posto che comunque il rogito era stato concluso (cfr. pag. 7 della sentenza).
Quanto al secondo incontro, invece, il giudice di merito ha ritenuto che la mancata stipula in quella sede fosse stata causata dagli errori previsti nella bozza predisposta dal notaio, e che dunque non sussistesse responsabilità della Carabellese.
La Corte di Appello, inoltre, ha rilevato che, in mancanza di un termine essenziale nel contratto preliminare, le parti sono libere di differire la data prevista per la stipula del rogito definitivo, ed ha escluso l’inadempimento della promittente venditrice, anche sulla base della scadenza temporale degli eventi, posto che la COGNOME aveva ricevuto la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio ad aprile 2010, aveva inviato un atto di invito alla stipula del rogito a giugno 2010 ed aveva poi effettivamente stipulato il definitivo a luglio 2010 e valorizzando il fatto che gli odierni ricorrenti non si erano opposti ai rinvii per la stipula (cfr. pag. 8 della sentenza). Infine, la Corte distrettuale ha escluso financo la possibilità di configurare un adempimento tardivo, posto che gli odierni ricorrenti avevano consentito ai vari rinvii, peraltro anche nel loro stesso interesse, posto che essi avevano avuto la disponibilità delle somme occorrenti per l’acquisto solo a gennaio 2010, e dunque in ogni caso dopo la scadenza
di fine maggio 2009, prevista dal contratto preliminare oggetto di causa.
La statuizione della Corte di Appello è coerente con l’insegnamento di questa Corte, sia quanto alla natura del termine previsto dal contratto preliminare, sia quanto alla valutazione della condotta complessiva delle parti ai fini della pronuncia sull’inadempimento. Sotto il primo profilo, infatti, va ribadito che ‘Il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre” quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5797 del 17/03/2005, Rv. 580854; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3645 del 16/02/2007, Rv. 595378; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21587 del 15/10/2007, Rv. 600059). Poiché nella specie le parti avevano comunque concluso il contratto definitivo, la Corte territoriale ha escluso, in modo del tutto condivisibile, la sussistenza di un inadempimento della promittente venditrice, posto che la condotta dei promissari acquirenti evidenziava comunque che essi non avevano considerato perduta l’utilità economica derivante dal contratto preliminare oggetto di causa.
Quanto al secondo profilo, concernente la valutazione delle condotte ai fini del giudizio sull’inadempimento, va invece data
continuità al principio secondo cui ‘Ai fini della pronuncia di risoluzione, il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti per stabilire se costituiscano motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma deve, invece, procedere alla valutazione sinergica del comportamento di questi ultimi, attraverso un’indagine globale ed unitaria dell’intero loro agire, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perché l’unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuno non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta di ciascun contraente ma esige un apprezzamento complessivo’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7649 del 16/03/2023, Rv. 667271; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 336 del 09/01/2013, Rv. 625330; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2799 del 28/03/1997, Rv. 503388). Non è dunque possibile ancorare il giudizio di inadempimento ad una singola condotta, apparentemente violativa del sinallagma contrattuale, occorrendo invece compiere un accertamento complessivo del comportamento delle parti.
La parte ricorrente attinge la valutazione condotta dal giudice di secondo grado, come già detto in coerenza con i principi affermati da questa Corte, come sopra richiamati, proponendo una lettura alternativa del fatto e delle prove, senza considerare che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il
giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione dell’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto nuova la domanda di condanna della promittente venditrice alla restituzione delle spese notarili sostenute per la stipula del rogito di compravendita. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, poiché nel preliminare era previsto espressamente l’obbligo della parte inadempiente di farsi carico di dette spese, la domanda non poteva non essere ritenuta compresa nell’ambito dell’oggetto del contendere, rappresentato, per l’appunto, dall’inadempimento della predetta COGNOME alle obbligazioni previste dal contratto preliminare del 14.5.2007. Stesso dicasi per l’ulteriore domanda di condanna della medesima al risarcimento del danno derivante dall’eventuale aumento
del tasso di interesse o dello spread previsto per il mutuo che i promittenti venditori avevano assunto in un momento successivo rispetto a quello originariamente previsto per la stipula del rogito.
La censura è inammissibile, in conseguenza del rigetto della prima doglianza.
Una volta esclusa, infatti, la possibilità di configurare un inadempimento della COGNOME, a fronte della ravvisata volontà delle parti di non perdere l’utilità economica derivante dal preliminare del 14.5.2007, rinvenuta dal giudice di merito nel fatto che era stato comunque stipulato il rogito definitivo, ancorché in un momento successivo a quello originariamente previsto dal predetto preliminare, è evidente che non vi è spazio alcuno per la condanna della promittente venditrice al danno ipoteticamente dipendente dal predetto inadempimento. La clausola del preliminare invocata dagli odierni ricorrenti, riprodotta nel ricorso alla seconda pagina dedicata allo svolgimento del motivo in esame, non prevede infatti l’obbligo della promittente venditrice di farsi carico delle spese del definitivo in ogni caso, ma piuttosto sancisce che dette spese saranno a carico della parte inadempiente. Essendo stato escluso l’inadempimento, la Corte distrettuale ha, in modo del tutto condivisibile, ritenuto che la previsione contrattuale in esame non potesse essere utilmente invocata dagli odierni ricorrenti.
Identico ragionamento deve farsi, a fortiori , per la domanda di risarcimento del danno relativo alla differenza tra tasso di interesse e spread del mutuo, poiché anche in tal caso si tratterebbe di una pretesa derivante dall’inadempimento.
Da quanto precede deriva che gli odierni ricorrenti non hanno alcun interesse concreto alla coltivazione della doglianza in esame, poiché in ogni caso, anche ove fossero state ammissibili, le pretese risarcitorie
avanzate dai promissari acquirenti con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., non avrebbero potuto essere accolte per difetto del loro presupposto logico-giuridico, rappresentato, come detto, dall’inadempimento della promittente venditrice.
Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono infine della violazione o falsa applicazione dell’art. 1383 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso anche la penale convenzionalmente prevista dal contratto preliminare oggetto di causa, applicando il criterio del cd. ‘divieto di cumulo’. Ad avviso dei ricorrenti, poiché il definitivo era stato concluso dopo la scadenza del termine previsto dal preliminare, la penale sarebbe stata dovuta, a fronte del ritardato adempimento imputabile alla promittente venditrice.
La censura è infondata.
Come già evidenziato in occasione dello scrutinio del primo motivo, la Corte di Appello, dopo aver escluso, in ragione di una valutazione complessiva della condotta delle parti, la configurabilità di un inadempimento grave della COGNOME, ha del pari escluso la sussistenza di un ritardo nell’adempimento ad essa imputabile. In assenza del suo presupposto logico-giuridico, rappresentato per l’appunto da un ritardo colpevole nell’adempimento, è evidente che la penale convenzionalmente prevista nel preliminare non può essere applicata.
Peraltro, la Corte di Appello ha anche evidenziato che la formulazione letterale della clausola convenzionale di cui all’art. 7 del preliminare oggetto di causa prevedeva l’applicabilità, a carico della parte inadempiente, della penale di cui si discute, convenzionalmente pattuita in € 80.000, per il solo caso di inadempimento del contratto, e non anche per quello di ritardato adempimento, e la ha quindi ritenuta
inapplicabile a tale seconda, e diversa, ipotesi (cfr. pag. 11 della sentenza). Anche tale statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato anche in sentenza, secondo cui ‘La penale stabilita per l’inadempimento è ontologicamente diversa da quella pattuita per il semplice ritardo, posto che quest’ultima, per espressa previsione di legge, concorre con l’adempimento dell’obbligazione -cui è collegata- in quanto avvenuto, benché in ritardo. Di conseguenza è necessaria un’apposita pattuizione per ciascuno dei due tipi di penale, posto che la funzione della stessa risulta essere la preventiva forfetizzazione del ristoro del danno in relazione alla puntuale ipotesi prevista dalle parti e, cioè, o per il ritardo o per l’inadempimento’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22050 del 03/09/2019, Rv. 655213). Ne deriva che non è possibile, in assenza di esplicita volontà delle parti, che deve risultare chiaramente ed in modo inequivoco dal testo della clausola contrattuale, applicare la penale prevista per l’inadempimento alla diversa ipotesi dell’adempimento tardivo imputabile ad una delle parti. Pertanto, ove la predetta esplicita pattuizione manchi, la penale riferita all’inadempimento non può essere pretesa insieme alla prestazione oggetto del contratto, attesa la funzione di forfetizzazione del risarcimento del danno assolta dall’istituto della penale (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27994 del 31/10/2018, Rv. 651038; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8813 del 30/05/2003, Rv. 563826).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a
titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda