Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20009 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20009 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 170/2023 R.G. proposto da:
FALLIMENTO DELLA RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore, NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5963/2022, depositata il 29/09/2022 e notificata il 18/10/2022 . Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE si aggiudicava la gara indetta da RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE relativa alla fornitura di 235.000 guarnizioni di attrito per freni, denominate TARGA_VEICOLO
In forza del contratto n. 1200001681 del 23.11.2009 successivamente stipulato, Trenitalia S.p.ARAGIONE_SOCIALE emetteva, in successione temporale, quattro specifiche di consegna; le prime tre venivano interamente adempiute per complessivi 181.000 pezzi; mentre della quarta, risalente al 13.10.2010, Trenitalia S.p.A. ritirava solo 64.000 guarnizioni e, dopo aver ricevuto, in data 07.12.2010, un sollecito da parte di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di euro 831.888,00 per fatture scadute, con nota n. 46553 del 20 dicembre 2010, si avvaleva della clausola risolutiva espressa, denunziando la difettosità delle guarnizioni, e risolveva il contratto di fornitura; successivamente, l’11.01.2011, recedeva dal nuovo ordine n. 1200002052 del 2.11.2010, ancora integralmente da evadere.
Ne era seguito un nutrito contenzioso, che, per quanto ancora di interesse in questa sede, ha riguardato: a) il ricorso per decreto n. 13735/2011, con cui era stato intimato a Trenitalia S.p.A. il pagamento di euro 381.612,00 per fatture emesse in relazione al contratto di fornitura n. 1200001681, concluso il 23.11.2009; Trenitalia S.p.A. aveva proposto opposizione e, in via riconvenzionale, chiesto la condanna di parte opposta a
corrispondere a euro 305.030,00, per il mancato pagamento dovuto dal terzo garante, ed euro 4.368.490,00, per il maggiore danno subìto; b) il giudizio ordinario volto all’accertamento dell’asserita illegittimità sia della risoluzione dal contratto di fornitura n. 1200001681 sia del recesso dal contratto n. 1200002052, con conseguente domanda di condanna di Trenitalia S.p.A. all’esecuzione di tali contratti e al risarcimento del danno quantificato in euro 5.408.800,00; Trenitalia S.p.A., oltre a chiedere il rigetto delle domanda attoree, aveva domandato, in via riconvenzionale, il risarcimento del danno; c) il ricorso per decreto n. 4775/2013 con cui era stato ingiunto a Trenitalia S.p.A. di pagare euro 718.140,00, per fatture emesse in relazione ai contratti di fornitura n. 1200001681 e n. 1200001724; Trenitalia S.p.A. aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo in rito, la continenza con le due cause sub a) e b), già pendenti, e nel merito, il grave inadempimento della ricorrente e, in subordine, aveva domandato la compensazione tra le rispettive pretese creditorie.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 21746/2017, disposta la riunione dei succitati giudizi ed espletata C.T.U.:
-riteneva, in forza dell’esito della prova 143 eseguita secondo la VII edizione della FICHE UIC 541 -3, che le guarnizioni contestate: i) non rispondessero ai criteri determinati nel contratto di fornitura, in quanto i valori del coefficiente d’attrito medio e dell’usura specifica non risultavano conformi a quelli riportati nell’attestazione di idoneità che RAGIONE_SOCIALE aveva presentato per partecipare alla gara; ii) non fossero conformi alla normativa di sicurezza vigente al momento del contratto e al momento della sua risoluzione, in quanto i valori del coefficiente di attrito medio a 120 e 140 km/h risultavano inferiori al limite minimo ammissibile, fissato dalla UIC nella FICHE 54 -3 in 0,310 e rimasto invariato dalla IV alla VII edizione; iii) non presentassero le stesse caratteristiche
prestazionali di quelle oggetto di omologa del 2000, vale a dire quella in forza della quale RAGIONE_SOCIALE aveva partecipato alla gara;
-in considerazione del fatto che la valutazione circa il ricalcolo dell’usura era riferita ai parametri fissati convenzionalmente per la determinazione della conformità delle prestazioni delle guarnizioni e che la committente, secondo quanto previsto, aveva facoltà di risolvere di diritto il contratto nell’eventualità che le guarnizioni consegnate fossero risultate non conformi alle specifiche contrattuali ovvero se se ne fosse riscontrata la difettosità in sede di collaudo, reputava legittima la risoluzione di diritto del contratto e parimenti legittimamente esercitato il recesso dal contratto di fornitura n. 1200002052 non ancora in esecuzione, avente ad oggetto le medesime guarnizioni di attrito oggetto della C.T.U. e del contratto n. NUMERO_DOCUMENTO;
-revocava, accogliendo l’opposizione di Trenitalia S.p.A., i decreti ingiuntivi n. 4775/2013 e n. 64317/2011;
-accoglieva l’istanza risarcitoria di Trenitalia S.p.A. per extraconsumo di guarnizioni, liquidando il danno equitativamente, in euro 350.000,00, tenuto conto: a) del prezzo della singola guarnizione e dei parametri forniti dall’ausiliario; b) del fatto che Trenitalia S.p.A. non aveva fornito la prova di aver subito un danno maggiore; c) del deposito cauzionale non riscosso;
-rigettava le domande di RAGIONE_SOCIALE: sia quella relativa alla declaratoria di illiceità dell’esclusione dalla gara bandita nel giugno 2011 sia quelle risarcitorie nonché di reiscrizione nel Sistema di Qualificazione -elenco dei fornitori accreditati con Trenitalia S.p.A. -«in ragione dell’esito del presente procedimento e in ragione della cessazione dell’utilizzo da parte di Trenitalia del suddetto sistema già dal 2011».
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5963/2022, depositata il 29/09/2022 e notificata il 18/10/2022, ha rigettato il
gravame proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e ha confermato integralmente la decisione di primo grado.
Segnatamente, e per quanto ancora di interesse in questa sede:
-ha disatteso il motivo con cui venivano dedotte l’illegittimità, l’inammissibilità e l’inidoneità della prova 143, perché il C.T.U., più volte chiamato a fornire chiarimenti e a replicare alle osservazioni delle parti, aveva reso un’ampia spiegazione delle ragioni delle sue conclusioni;
-ha rigettato anche il motivo di gravame con cui l’appellante deduceva il vizio di extrapetizione quanto al risarcimento del danno per l’extraconsumo di guarnizioni e l’erronea quantificazione del danno, reputando che: a) la relativa domanda fosse stata ritualmente proposta; b) fosse stata oggetto dell’accertamento tecnico; c) il tribunale avesse adeguatamente enunciato le ragioni che lo avevano indotto a ricorrere alla liquidazione equitativa nonché che avesse specificato i parametri utilizzati;
-ha ritenuto infondato il motivo di gravame con cui l’appellante denunziava l’illogicità della sentenza del tribunale in quanto non conforme all’ordinanza con cui, in considerazione della mancata determinazione delle somme dovute da Trenitalia S.p.A., aveva rigettato la richiesta di dichiarare i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, sostenendo che le ordinanze istruttorie non possono condizionare la decisione di merito, atteso che possono, di norma, essere, anche tacitamente, revocate;
-ha dichiarato assorbite le altre domande dell’appellante, poiché presupponevano tutte l’adempimento della fornitura con materiale conforme alle previsioni contrattuali.
Il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
Trenitalia RAGIONE_SOCIALE.p.RAGIONE_SOCIALE. resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., in riferimento agli artt. 112, 115, 116 e 132 cod.proc.civ., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.
Ripercorse le fasi che hanno preceduto il deposito della versione finale della C.T.U. espletata in primo grado, allo scopo di dimostrare che la richiesta di chiarimenti che l’ausiliario del giudice era stato chiamato a rendere in ordine alla conclusività della prova 143 non era stata soddisfatta, la società ricorrente ribadisce le censure già formulate in grado d’appello circa l’inammissibilità di detta prova, perché effettuata a posteriori , con modalità tecnicamente inidonee, e circa la sua inefficacia, non solo per essere stata eseguita a causa già avviata, a circa un anno dalla risoluzione contrattuale, senza l’indispensabile contraddittorio tecnico preventivo, ma soprattutto perché si era basata sul programma di prova della VII edizione della Fiche UIC anziché della IV, quella prevista per contratto: nel bando di gara a procedura negoziata n. 5305 – ribadisce la società ricorrente -era fatto obbligo ai concorrenti di produrre la dichiarazione di omologazione alla FICHE UIC 541 -3 IV edizione (ottenuta, nella specie, nel febbraio 2000 e valida fino al 31 gennaio 2010).
In particolare, secondo la prospettazione qui illustrata, il programma di prova adottato dall’ausiliario del giudice era totalmente improprio e tale era stato definito dallo stesso esperto di freni interpellato dalla convenuta, il quale aveva escluso che, al fine di accertare la rispondenza delle pastiglie dei freni TARGA_VEICOLO a quelle originariamente omologate nel 2000, le prove eseguite secondo la VII edizione potessero essere poste a confronto con quelle espletate secondo la IV edizione della Fiche UIC 541.3.
Lo stesso C.T.U., del resto, dopo aver messo a confronto 55 condizioni di prova del programma IV edizione della Fiche UIC 541 -3 e le corrispondenti della VII edizione, aveva ravvisato una differenza del 58% tra le distinte modalità di prova, ciononostante aveva concluso che «Il confronto tra le due edizioni, escludendo il ciclo di nove frenate 60 -68 caratteristiche della 7a edizione, È DUNQUE CAUTELATIVO per i risultati ottenuti secondo la 7a edizione», lasciando trasparire tutti i dubbi circa la confrontabilità dei due programmi.
Sulla scorta di quanto esposto, la sentenza resa dalla corte d’appello risulterebbe viziata, avendo il giudice a quo fatto proprie le risultanze della C.T .U., ma senza tener conto dei rilievi critici mossi alla stessa, senza darne conto e senza esplicitare le ragioni di fondo per le quali ha inteso disattenderli.
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., in riferimento agli artt. 112, 115, 116 e 132 cod.proc.civ., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.
Oggetto di censura è la statuizione di accoglimento della domanda riconvenzionale con cui Trenitalia S.p.A. aveva chiesto il risarcimento del danno derivante dal maggiore consumo di guarnizioni che era stata costretta ad affrontare, quantificando detta voce di danno in euro 303.000,00 circa.
La ricorrente ritiene che il C.T.U. abbia fornito al tribunale parametri errati su cui basare la liquidazione equitativa del danno e che, a fronte di una puntuale denuncia degli errori di calcolo commessi, imputabili all’omessa considerazione del numero di guarnizioni nuove e inutilizzate ancora giacenti in magazzino, non abbia reso una spiegazione plausibile della sua conclusione, trincerandosi dietro una mera conferma di quanto già dedotto, e
cioè riproponendo lo schema di calcolo adottato, limitandosi a ritenere non condivisibile la richiesta di sottrarre le guarnizioni nuove e inutilizzate, di cui ammetteva comunque la sussistenza.
Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente perché muovono alla impugnata sentenza la stessa tipologia di censure, sono infondati.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è, quindi, necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte» (Cass. 10/06/2025, n. 15449; Cass. 31/03/2025, n. 8470; Cass. 1/08/2024, n. 21675; Cass. 22/12/2023, n. 35825). In altri termini, l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche per relationem, dell’elaborato implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente.
Peraltro, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere allegazioni difensive che non possono configurare il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. (Cass. 20/04/2020, n.7947; Cass. 20/12/2019, n. 34150; Cass. 11/06/2018, n.15147); vizio neppure deducibile nel caso di specie, atteso il mancato superamento della preclusione processuale di cui all’art. 348 ter , ult. comma, cod.proc.civ.
Nello specifico, la corte territoriale ha rilevato che proprio «sulla base delle osservazioni delle parti» il C.T.U. era stato più volte chiamato a rispondere e «che la causa, nonostante i plurimi chiarimenti, è stata rimessa in istruttoria, una volta trattenuta in decisione, proprio per chiarire la questione posta in discussione in questa sede» e, con una motivazione che rende percepibile il fondamento della decisione, ha condiviso le conclusioni del C.T.U., ancorandosi alle ragioni, del tutto sufficienti, dal medesimo addotte. In altri e più chiari termini, dalla lettura della sentenza si comprende per quali motivi prima il C.T.U. e poi la corte territoriale abbiano ritenuto conclusiva la prova 143 oggetto di contestazione, là dove è stato specificato che: a) le guarnizioni fornite non erano conformi a quelle dell’autorizzazione che la ricorrente aveva ottenuto nel 2000 e valevole per dieci anni; b) non rispettavano la normativa sulla sicurezza vigente al momento della conclusione del contratto e al momento della sua risoluzione; c) non avevano il valore del coefficiente di attrito -rimasto invariato dalla IV alla VII edizione della FISCH 54 -3 – imposto dal bando di gara; d) il calcolo dell’usura era stato effettuato in base ai parametri oggetto dell’attestazione di idoneità.
In sostanza, i vizi riscontrati non dipendevano dalla comparazione con un parametro diverso da quello previsto nel contratto, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene anche in questa sede.
E quanto al danno per extraconsumo, dalla lettura della sentenza, si intuisce chiaramente che esso è stato calcolato tenendo conto dell’impiego di un più consistente numero di guarnizioni imposto d alla maggiore usura delle guarnizioni fornite rispetto a quella attesa e dovuta in forza del contratto n.NUMERO_DOCUMENTO; il che spiega perché dal calcolo siano state escluse le guarnizioni non utilizzate e ancora presenti in magazzino, come, del resto, il C.T.U. non aveva mancato di precisare, spiegando, in maniera che non lascia spazio
a equivoci, che il calcolo aveva riguardato il maggior numero di guarnizioni utilizzate e non quelle ancora giacenti in magazzino.
Neppure ricorrono gli estremi per considerare violati gli artt. 115, 116 e 112 cod.proc.civ.
Secondo quanto ripetutamente chiarito da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la violazione , comma 1, (a tenore del quale «… il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero…») è predicabile (solo) allorquando il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, “il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso ), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma , che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”» (principio affermato da Cass. 10/06/2016, n. 11892 e successivamente avallato anche da Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598 in
motivazione).
Quanto alla denunziata violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. -[anche senza considerare che «In sede di legittimità è intrinsecamente contraddittoria la denuncia, con un unico motivo, dei vizi di omessa pronuncia e omessa motivazione, il primo dei
quali implica la totale mancanza del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce nella violazione dell’articolo 112 del Cpc, mentre il secondo presuppone che la questione sia stata esaminata dal giudice di merito, che l’abbia tuttavia risolta senza alcuna motivazione o con motivazione apparente, perplessa, illogica o gravemente contraddittoria, e va fatta valere ai sensi dell’articolo 132, comma 2, del Cpc.» (Cass. 1°/09/2022, n. 25855)], è sufficiente rilevare che, essendosi la corte territoriale espressamente pronunciata sulle doglianze formulate con il terzo e il quarto motivo d’appello, non può esserle imputato il vizio di omessa pronuncia.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ., in riferimento agli artt. 111 Cost., 112 e 132 cod.proc.civ., nonché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., in relazione all’art. 1458 cod.civ.
Pur essendo stato accertato che RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato e consumato 128.000 guarnizioni (ovvero le 245.000 guarnizioni di cui alle quattro specifiche d’ordine emesse, al netto delle 117.000 rimaste in magazzino e da restituire), per una cifra complessiva di euro 830.720,00 (euro 6,49 per 245.000,00), la corte d’appello, incorrendo nella violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e/o in subordine nel vizio di carenza di motivazione, non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello con cui era stato denunciato che il tribunale aveva erroneamente ritenuto – senza nulla motivare sul punto – di dover considerare quale unico effetto possibile dell’accertata risoluzione per inadempimento operata da Trenitalia S.p.A. l’azzeramento dei crediti vantati per effetto delle forniture eseguite, consegnate ed utilizzate, con conseguente revoca dei ingiuntivi opposti, non seguita dalla condanna di
RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle prestazioni comunque rese in suo favore.
Il tribunale, infatti, dopo aver considerato legittimi la risoluzione di diritto e il recesso, aveva precisato che «Considerato che RAGIONE_SOCIALE ha sollecitato il ritiro delle guarnizioni rimaste inutilizzate nei propri magazzini, incombente che RAGIONE_SOCIALE dovrà assolvere al più presto e delle quali evidentemente non può pretendere il pagamento».
La ricorrente deduce:
di essersi specificamente doluta del fatto che, in aperta contraddizione con l’ordinanza del 6.11.2015, la quale aveva rimesso alla sentenza la quantificazione delle somme dovute da Trenitalia S.p.A., con la sentenza, il tribunale le avesse poi negato il diritto di percepire il corrispettivo per le guarnizioni utilizzate da Trenitalia S.p.A., revocando i decreti ingiuntivi opposti, azzerando il suo credito e non prendendo in considerazione neppure la possibilità di compensarlo con quanto dovuto a titolo risarcitorio all’appellata Trenitalia S.p.ARAGIONE_SOCIALE;
di avere invocato la sussistenza di una risoluzione solo parziale del contratto, rilevando che, oltre che ai sensi dell’art. 1458 cod.civ., detta risoluzione parziale ricorre «anche nell’ipotesi di contratto ad esecuzione istantanea, quando l’oggetto di esso sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità, il che si verifica allorché ciascuna di esse, separata dal tutto, mantenga una propria autonomia economico funzionale che la renda definibile come un bene a sé stante e come possibile oggetto di diritti e di autonoma negoziazione» (Cass. 13/12/2010, n. 25157);
di avere osservato che, anche se il contratto per cui è causa fosse stato qualificato come di somministrazione, le conseguenze non sarebbero state differenti, atteso che per costante
giurisprudenza «Potendo le prestazioni continuative di merci configurare un contratto di somministrazione, nel caso di vizi o difetti di cose da consumare e non da godere, per la domanda o l’eccezione di riduzione del prezzo ovvero di compensazione con quello dovuto per altre, la normativa applicabile, per il rinvio effettuato dall’art. 1570 cod.civ., è quella della vendita (perché le prestazioni possono considerarsi separatamente) e, quindi, quella contenuta negli art. 1492, 1494 e 1495 cod.civ., mentre, se la domanda è di risoluzione, si applica la norma di cui all’art. 1564 cod.civ. -secondo la quale l’inadempimento deve avere una notevole importanza e deve essere tale da menomare la fiducia nei successivi adempimenti -in deroga all’art. 1455 cod.civ., e gli effetti sono quelli disciplinati dall’art. 1458, comma 1, cod.civ. e non dall’art. 1493 cod.civ.» (Cass. 11/10/2000, n.13533; Cass. 19/10/2007, n. 21973).
Il motivo è p.q.r. fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Sul quinto motivo di appello la corte di merito si è così espressa: «(…) l’appellante eccepisce una presunta illogicità della decisione in quanto non conforme all’ordinanza resa nel corso del giudizio con la quale i decreti ingiuntivi non erano stati dichiarati provvisoriamente esecutivi per incertezza delle somme dovute da Trenitalia. Invero, com’è noto, le ordinanze istruttorie non possono condizionare la decisone di merito, potendo essere sempre revocate, salvo casi espressamente previsti, anche tacitamente».
Ha omesso invece di pronunciare, come lamentato dall’odierna ricorrente, relativamente alla dedotta richiesta di risoluzione parziale del contratto.
la corte di merito si è espressa solo su una parte del motivo di gravame, quella con cui veniva denunciata la contraddittorietà della sentenza emessa dal giudice di primo grado nella parte in cui aveva mancato di determinare quanto Trenitalia S.p.A. era tenuta a
corrispondere per l’impiego parziale delle guarnizioni, nonostante con ordinanza avesse rinviato alla sentenza la determinazione del relativo quantum debeatur . Non anche sulla domanda di accertamento della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della risoluzione parziale del contratto, con i conseguenti corollari in punto di determinazione del quantum debeatur e di eventuale compensazione con il credito risarcitorio riconosciuto a Trenitalia S.p.A. per l’extraconsumo di guarnizioni.
Non può infine sottacersi che il Fallimento odierno ricorrente ha finalmente dedotto che «Nella auspicata ipotesi di accoglimento del presente ricorso, con particolare riferimento al vizio della decisione resa dalla Corte di Appello in ordine alle risultanze della C.T.U. ed alle motivazioni assunte dai Giudici di seconde cure», esso intende espressamente riproporre i motivi di gravame ritenuti assorbiti nella sentenza impugnata, coltivando le domande formulate in primo grado.
Orbene, è al riguardo appena il caso di rilevare che non si tratta in realtà di un motivo cassatorio che questa Corte è chiamata a scrutinare, bensì della mera richiesta di disamina delle censure in sede di gravame dichiarate dalla corte di merito assorbite.
Va al riguardo invero ribadito che «Nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell’art. 346 cod.proc.civ., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado; pertanto, sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio» ( v. Cass. 26/5/2023, n. 14813 ).
Alla fondatezza nei suindicati termini del terzo motivo -infondati il primo e il secondo -consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla
Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a