Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26546 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26546 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33296/2019 R.G. proposto da:
NOME, NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
nonchè contro
NOME IGOR
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1376/2019, depositata il 20/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. Nel maggio del 2016 NOME, NOME e NOME COGNOME hanno chiamato in giudizio la società cooperativa sociale ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ e il fratello NOME COGNOME, chiedendo al Tribunale di Torino di accertare l’intervenuta risoluzione del contratto di compravendita immobiliare concluso, insieme al fratello NOME COGNOME, con la convenuta ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ e di condannare quest’ultima a riconsegnare gli immobili oggetto del contratto e al risarcimento del danno. Gli attori deducevano che il contratto era stato stipulato in data 9 gennaio 2015, che si era stabilito che il prezzo, euro 100.000, sarebbe stato versato in tre rate, ciascuna da pagarsi ‘improrogabilmente’ entro e non oltre il 31 dicembre degli anni 2015, 2016 e 2017 e che dopo alcuni solleciti e una diffida era stata pagata all’inizio del 2016 unicamente parte della prima rata. Si costituiva ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, proponendo domanda riconvenzionale subordinata all’accoglimento di quella principale; tra l’altro eccepiva che la risoluzione del contratto non era stata chiesta da NOME COGNOME e che, trattandosi di parte complessa, la domanda di tutti i venditori era condizione dell’azione. NOME COGNOME non si costituiva e veniva dichiarato contumace.
Con sentenza n. 5940/2017, il Tribunale di Torino ha rigettato le domande di NOME, NOME e NOME e la domanda riconvenzionale della convenuta. Quanto alla domanda di risoluzione del contratto, il Tribunale ha ritenuto che la mancata partecipazione al processo di tutti i comproprietari la rendesse non vagliabile in quanto, trattandosi di un contratto a parte complessa
plurisoggettiva, tutti i venditori dovevano manifestare espressamente la volontà di risolvere il contratto.
La sentenza è stata impugnata in via principale da NOME, NOME e NOME COGNOME e in via incidentale da ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘. L’appellato NOME COGNOME non si è costituito ed è stato dichiarato contumace. Con la sentenza n. 1376/2019 la Corte d’appello di Torino ha respinto sia l’appello principale che quello incidentale. In relazione alla domanda di risoluzione del contratto, la Corte ha confermato la decisione di primo grado: trattandosi ‘di vendita bilaterale a parte venditrice plurisoggettiva, in mancanza del consenso validamente prestato da parte di tutti i costituenti la parte collettiva-venditrice, le dichiarazioni di risoluzione del contratto avanzate solo da alcuni dei comproprietari non possono spiegare effetti giuridici’.
Avverso la sentenza NOME, NOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resiste con controricorso ‘La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ società cooperativa sociale.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1292, 1296, 1317, 1319, 1320, 1453, 1459 e 1726 c.c.: il principio generale secondo cui la domanda di risoluzione costituisce una legittima reazione all’altrui inadempimento è applicabile anche alla parte soggettivamente complessa, con riferimento alla quale si pone lo specifico problema se l’iniziativa possa essere presa da un solo dei soggetti che costituiscono la parte complessa oppure se sia necessaria una iniziativa congiunta; la legge disciplina espressamente la sola domanda di adempimento e ritiene sufficiente l’iniziativa individuale (artt. 1319 e 1292 c.c.) e non si vede perché la stessa soluzione non possa valere anche per la
domanda di risoluzione; il rischio, sottolineato dalla Corte d’appello, che un contratto sia risolto soltanto nei confronti di uno dei contraenti e rimanga in vita per gli altri è ‘scongiurato dal litisconsorzio necessario’, dovendo tutti i soggetti della parte complessa partecipare al giudizio volto alla pronuncia di risoluzione; vanno poi considerate la disposizione di cui all’art. 1459 c.c. relativa ai contratti plurisoggettivi con comunione di scopo, che esprime un principio generale, applicabile a tutti i contratti plurisoggettivi, nonché il disposto dell’art. 1726 c.c. in materia di mandato conferito da più persone con un unico atto e per un affare di interesse comune.
Il secondo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 102 c.p.c., 1296, 1459 e 1726 c.c.: affinché l’effetto risolutorio possa spiegare i suoi effetti è sufficiente che tutte le parti del rapporto complesso siano messe in condizione di partecipare al processo, il che è avvenuto nel caso in esame.
Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1105, 1108 e 1110 c.c.: in applicazione delle norme sulla comunione, in assenza di prova contraria deve presumersi il consenso di NOME COGNOME rispetto all’azione dei ricorrenti, consenso che trova conferma nella sua inerzia di fronte alla citazione in giudizio.
È anzitutto necessario chiarire la fattispecie in esame.
La Corte d’appello ha precisato che i quattro fratelli COGNOME avevano stipulato un unico contratto di compravendita, considerando il bene in comproprietà inscindibile e come tale non trasferibile separatamente, ricavando tale affermazione dall’esame dell’atto pubblico stipulato tra le parti (si veda al riguardo Cass. n. 11986/1998, secondo cui ‘la vendita di un bene in comunione è di norma considerata dalle parti come un unicum inscindibile e non come somma delle vendite delle singole quote che fanno capo ai singoli comproprietari, per cui questi ultimi costituiscono un’unica
parte complessa e le loro dichiarazioni di vendita si fondono in un’unica volontà negoziale, tranne che dall’unico documento predisposto per il negozio risulti chiaramente la volontà di scomposizione in più contratti in base al quale ogni comproprietario vende la propria quota all’acquirente senza nessun collegamento negoziale con le vendite degli altri’).
Siamo pertanto di fronte -in base all’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, non contestato dai ricorrenti -a un contratto di compravendita di beni immobili che è un unicum inscindibile; il contratto è stato concluso da due parti, delle quali l’una, la parte venditrice, è una parte complessa, formata dai quattro comproprietari del bene costituenti un unico centro di interessi (sulla nozione di parte complessa v. la pronuncia di questa Corte n. 265/1981).
Tre dei quattro venditori hanno chiesto al giudice di pronunciare la risoluzione del contratto di compravendita, instaurando il processo nei confronti dell’acquirente e del quarto venditore, che è rimasto contumace.
La causa pone pertanto la questione -l’unica oggetto del presente giudizio -della legittimazione a chiedere la risoluzione del contratto a effetti reali nel caso di parte soggettivamente complessa.
La questione, non regolata dal legislatore, è stata affrontata ‘in tutti i modi possibili’ in dottrina. Secondo una prima tesi, a fronte dell’inadempimento di controparte, ogni singolo creditore può chiedere la risoluzione del contratto, soluzione che viene ricavata dagli artt. 1296 e 1319 c.c. e che dirime il conflitto tra chi ha interesse alla risoluzione e chi invece all’esecuzione del contratto sulla base della regola della prevenzione temporale di cui all’art. 1296 c.c. Opposta la tesi secondo cui presupposto della domanda di risoluzione è il consenso unanime di tutti i componenti della parte complessa, che devono essere presenti nel processo e
manifestare la propria volontà di risolvere il contratto, dovendo la contitolarità del rapporto obbligatorio essere ricondotta al paradigma della comunione. Vi sono poi posizioni meno nette, che ad esempio negano che possano trarsi indicazioni dall’art. 1296 c.c., che si occupa della legittimazione a chiedere l’adempimento, e individuano invece nell’art. 1726 c.c. la presenza di un principio generale che accorda il potere di risolvere il contratto a ciascun componente della parte complessa e risolvono il conflitto non in base al criterio temporale, ma alla regola di cui al secondo comma dell’art. 1453 c.c. e quindi con la prevalenza della domanda di risoluzione; tale potere viene però da taluni riconosciuto, richiamando il dettato del primo comma dell’art. 1507 c.c., solo quando il creditore che chiede la risoluzione integrale ha il potere di chiedere l’adempimento integrale, altrimenti la risoluzione può essere chiesta solo congiuntamente da tutti i creditori; analogamente, pur partendo dal diverso presupposto teorico secondo cui dal contratto con parte complessa derivano in capo ai soggetti che la compongono non un unico rapporto giuridico, ma una pluralità di rapporti giuridici paralleli, si sostiene che ciascun creditore ha legittimazione a fare valere la risoluzione in relazione ai soli rapporti di cui è titolare; infine non mancano soluzioni che propugnano la tesi intermedia dell’iniziativa assunta a maggioranza.
In giurisprudenza la questione della legittimazione della parte complessa a proporre la domanda di risoluzione, lo si è sottolineato in dottrina, non è stata esaminata in modo sistematico.
Un elemento emerge però in modo netto dall’analisi delle pronunzie di questa Corte ed è rappresentato dalla regola del contraddittorio necessario tra tutti i contraenti. Si afferma infatti che nel caso di contratto con parte complessa, cioè formata da più soggetti costituenti un unico centro di interessi, nel quale l’oggetto del contratto riveste carattere di indivisibilità, ‘si configura la
necessità che tutti costoro partecipino al giudizio promosso per ottenere la risoluzione del negozio, in quanto diretto a modificare, attraverso l’eliminazione del titolo contrattuale, la situazione plurisoggettiva inscindibile da esso disciplinata’ (Cass. n. 265/1981, già richiamata). Ancora si sottolinea che ‘qualora sia proposta domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto con pluralità di parti, anche soltanto da un lato, si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto il rapporto sostanziale, essendo comune a più persone, non può sussistere nei confronti di alcuni soggetti interessati e non sussistere nei confronti di altri, con la conseguenza che la decisione è inutiliter data , anche in sede d’appello, se non è emessa nei confronti di tutte le parti contraenti’ (così Cass. n. 2925/1986, negli stessi termini Cass. n. 11049/1993, Cass. n. 27302/2005, Cass. n. 20346/2012 e Cass. n. 9042/2016; v. anche Cass. n. 320/1998 e Cass. n. 2922/1974, secondo cui ‘la parte complessa, come unico centro di interesse, va considerata sia agli effetti negoziali che agli effetti processuali come unico soggetto, con conseguente necessità che il giudizio sull’esistenza, portata e nullità del negozio si svolga nei confronti di entrambi i soggetti che compongono la parte complessa’; cfr. pure Cass. n. 208/1973 e Cass. n. 5041/1977).
In dottrina si è osservato che, dalla lettura delle pronunzie, non è chiara la finalità della necessità del litisconsorzio, ossia se sia affermata come strumento per constatare la comune volontà di risolvere il contratto oppure per consentire alla sentenza di spiegare i suoi effetti verso tutti i componenti della parte complessa. L’obbligatoria partecipazione al processo di tutti i soggetti coinvolti nel contratto ha in effetti in questo ambito una duplice finalità, quella di ottenere una sentenza utile, di risoluzione del contratto con efficacia nei confronti di tutti i componenti la parte complessa, e non potendo ciò avvenire senza che questi siano stati tutti posti in condizione di essere parte del processo, in
modo che tutti i componenti la parte complessa abbiano la possibilità di svolgere le loro difese e quindi, anzitutto, di manifestare il loro dissenso rispetto alla risoluzione e di chiedere invece l’esecuzione del contratto.
Ciò significa che tutti i soggetti coinvolti nel contratto devono agire o essere convenuti nel processo nel quale è proposta la domanda di risoluzione del contratto e che se ciò non accade il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio. Se poi il componente della parte complessa che non ha proposto la domanda di risoluzione sceglie di rimanere assente dal processo, si deve presumere, se non la sua volontà di sciogliere il contratto, quantomeno la sua indifferenza nei confronti della sorte del medesimo.
Al riguardo va considerato l’orientamento espresso da questa Corte in relazione all’ipotesi della locazione della cosa comune. Privilegiando esigenze di ‘snellezza dei traffici e di tutela dell’affidamento del conduttore’, la giurisprudenza utilizza l’ ‘artificio’ del consenso presunto di tutti i comproprietari e ammette il singolo componente della parte complessa a proporre, anche nell’interesse degli altri, la domanda di risoluzione del contratto per l’inadempimento del conduttore; ove però risulti l’espressa volontà contraria degli altri comproprietari tale legittimazione va negata, ‘trattandosi di un atto incidente sul potere di disposizione dell’immobile nella sua interezza’, ‘fin quando il conflitto, non superabile con il criterio della maggioranza economica, non venga composto in sede giudiziaria a norma dell’art. 1105 c.c.’ (così Cass. n. 171/2002; v. pure Cass. n. 2558/1983, Cass. n. 962/2000, Cass. n. 14772/2004, Cass. n. 2399/2008, Cass. n. 480/2009, Cass. n. 11553/2013, Cass. n. 1650/2015).
Il riconoscimento del consenso presunto di tutti i componenti della parte complessa se può -in nome della semplificazione, valore particolarmente sentito nell’ambito delle locazioni –
legittimare il singolo comproprietario a chiedere la risoluzione del contratto di locazione senza necessità di instaurare il contraddittorio nei confronti degli altri proprietari, non può valere nella diversa ipotesi di domanda di risoluzione di un contratto come la compravendita, ove a seguito della risoluzione i componenti della parte riacquistano la titolarità di un diritto reale. In tale ipotesi, come si è già detto, l’azione di risoluzione deve essere proposta nei confronti di tutti i soggetti del contratto. Dall’orientamento in materia di locazione della cosa comune, vanno però -ad avviso del Collegio -ricavati due profili rilevanti, ossia la necessità dell’espressa volontà contraria alla risoluzione e, una volta che sia emerso il conflitto tra chi vuole la risoluzione e chi chiede invece l’adempimento, la composizione di tale conflitto sulla base del criterio della maggioranza o, comunque ad opera del giudice, secondo quanto prevedono gli artt. 1108 e 1105 c.c.
Instaurato, ab origine o a seguito dell’ordine di integrazione reso dal giudice, il contraddittorio tra tutti i soggetti del contratto di compravendita, la domanda di risoluzione è pertanto proponibile anche se uno, o più, dei componenti la parte complessa non si sia costituito in giudizio e non abbia espresso volontà favorevole allo scioglimento del contratto; una volta accolta, la sentenza di risoluzione sarà efficace nei confronti di tutti i concreditori. Il diritto del concreditore ‘all’adempimento altrui, finché il suo diritto al buon fine del contratto non venga travolto dalla sua propria inadempienza’ va infatti coordinato con la situazione di contitolarità della medesima posizione contrattuale, così che il componente della parte complessa non può rimanere inerte, ma deve manifestare, costituendosi in giudizio, la propria opposizione alla risoluzione, ad esempio contestando la gravità dell’inadempimento, e chiedere l’esecuzione del contratto.
Ove poi uno, o più, dei componenti la parte complessa, costituendosi in giudizio, si opponga allo scioglimento del contratto,
il conflitto tra chi ha interesse alla conservazione del contratto e chi invece ha interesse al suo scioglimento, può essere utilmente risolto sulla base del criterio della maggioranza secondo quanto prevede l’art. 1108 c.c. e, ove questo non possa operare (la parte complessa è ad esempio costituita da due parti), sia composto dal giudice così come dispone l’art. 1105 c.c.
Si è consapevoli delle critiche che sono state rivolte in dottrina all’applicazione delle disposizioni proprie della comunione alla materia contrattuale e come proprio la dottrina che ritiene applicabili alla parte contrattuale soggettivamente complessa le regole dettate in tema di comunione dei diritti reali escluda che vi sia spazio per una operatività del principio maggioritario in tema di concredito. Si ritiene però da un lato che il principio maggioritario non sia principio limitato alla materia della comunione dei diritti reali (pensiamo ai rapporti societari) e che proprio in relazione alla parte contrattuale soggettivamente complessa sia meritevole di considerazione, come riconosce la dottrina cui si è da ultimo fatto cenno, l’esigenza di evitare che magari uno solo dei componenti la parte imponga agli altri la sua volontà di mantenere un contratto quando ‘il calcolo dei benefici rende oggettivamente preferibile la risoluzione’. Dall’altro lato non pare obbligata l’applicazione della regola di cui al terzo comma dell’art. 1108 c.c., che prescrive la necessità del consenso di tutti i partecipanti alla comunione per una serie di atti, tra i quali non vi è la risoluzione del contratto, potendo in via analogica trovare applicazione la diversa regola di cui al secondo comma del medesimo art. 1108 c.c., che per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione prescrive il criterio della deliberazione a maggioranza qualificata.
Nel caso poi che non possa operare il criterio della maggioranza (la parte complessa è ad esempio formata da due concreditori), il conflitto andrà risolto dal giudice, che dovrà considerare la presenza nel nostro ordinamento di indici a favore della risoluzione
rispetto all’adempimento (si pensi al secondo comma dell’art. 1453 c.c., che consente di domandare la risoluzione quando il processo è stato promosso per ottenere l’adempimento, ma non viceversa; si pensi ancora alla previsione di meccanismi unilaterali volti alla risoluzione del contratto, meccanismi unilaterali da ultimo al centro del dibattito in dottrina e oggetto di attenzione da parte del legislatore, in particolare nella materia della vendita ai consumatori). D’altro canto, a fronte di una richiesta di esecuzione del contrato, il giudice dovrà valutare con particolare rigore il requisito di gravità dell’inadempimento di cui all’art. 1455 c.c.
Si è fatto riferimento ai meccanismi di risoluzione unilaterale. Al riguardo va precisato che a fronte del mancato, espresso consenso di tutti i componenti la parte complessa, la risoluzione non può essere esercitata in via stragiudiziale. Così, a fronte della diffida ad adempiere ad opera di un solo componente o comunque non della totalità dei componenti la parte complessa, non si avrà la risoluzione di diritto del contratto, ma sarà necessario proporre la domanda di risoluzione al giudice.
Tornando alla sentenza impugnata, la Corte d’appello di Torino ha optato per la soluzione interpretativa rigorosa, che condiziona la proponibilità della domanda di risoluzione alla unanime volontà dei componenti la parte complessa.
Tale soluzione, alla luce delle considerazioni che si sono appena svolte, non è condivisibile. Nel caso in esame, la domanda di risoluzione è stata proposta, da tre dei quattro venditori, nei confronti non solo dell’acquirente, ma anche del quarto venditore, che è stato quindi posto in condizione di partecipare al processo.
Il quarto venditore ha scelto di non prendere parte al processo e non ha quindi manifestato una volontà contraria allo scioglimento del negozio. In questa situazione, pur a fronte della mancata espressa manifestazione di volontà di tutti i venditori, la domanda
di risoluzione era proponibile e doveva essere esaminata dal giudice.
6. Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Torino, che si atterrà al seguente principio di diritto: ‘nel caso di stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare ove la parte venditrice sia una parte complessa, costituita da più soggetti costituenti un unico centro di interessi, la domanda di risoluzione del medesimo contratto deve essere proposta nei confronti di tutti i soggetti contraenti; qualora uno, o più, dei soggetti componenti la parte complessa sia contrario allo scioglimento del contratto e voglia invece la sua esecuzione, deve manifestare tale volontà costituendosi nel processo; nel caso in cui rimanga contumace, la domanda di risoluzione sarà esaminata dal giudice e l’eventuale sentenza di scioglimento del contratto avrà efficacia nei suoi confronti’.
Il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda